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Detenuta palestinese continua sciopero della fame

Hanaa al-Shalabi è in sciopero della fame contro la detenzione amministrativa accordatole dalle autorità militari israeliane. Liberata nello scambio di prigionieri dell’ottobre scorso, è nuovamente vittima della diffusa politica illegale israeliana che prevede l’incarcerazione senza motivo d’accusa.

(28 Febbraio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Detenuta palestinese continua sciopero della fame

foto: nena-news.globalist.it

ELENA VIOLA

Beit Sahour, 28 Febbraio 2012, Nena News -Khader Adnan ha recentemente ultimato il più lungo sciopero della fame nella storia detentiva palestinese. Il suo caso ha avuto il merito di attirare l’attenzione pubblica internazionale sulla a lungo abusata pratica della detenzione amministrativa israeliana ai danni della popolazione palestinese. Detto ciò, le circostanze contro le quali Adnan ha combattuto sono ancora lontane dall’esser risolte.

La prigioniera politica Hanaa al-Shalabi ha cominciato oggi il suo 13esimo giorno di sciopero della fame nella prigione israeliana di HaSharon. Come il suo avvocato Fawaz al-Shuli dice a AFP, “Hanaa esige la fine della sua illegale detenzione amministrativa e pretende che i soldati israeliani che hanno abusato di lei in passato siano processati.”

Al-Shalabi è una tra i nove membri di una famiglia di contadini residente nel piccolo villaggio di Burqin, non lontano da Jenin. La notte del 16 febbraio i soldati israeliani hanno irrotto nella sua casa di famiglia e, dopo aver trattenuto i familiari come ostaggi e aver sequestrato diversi dispositivi elettronici, hanno rapito la giovane. Bendata e con le manette ai polsi, al-Shalabi è stata condotta verso una destinazione ignota. Il giorno seguente le è stata comunicata la sentenza: sei mesi in detenzione amministrativa.

Dopo aver prestato visita alla figlia in prigione, Yahya al-Shalabi ha affermato di fronte all’agenzia palestinese Maan che il morale della figlia è alto e che Hanaa è determinata a continuare lo sciopero della fame e “a seguire le orme di Khader Adnan”, il quale stamani è stato riportato in stabili condizioni dopo un’operazione chirurgica all’intestino seguita alla prolungata astinenza da cibo.

Non si tratta della prima esperienza per al-Shalabi come detenuta amministrativa: in passato ha passato due anni e mezzo nelle prigioni israeliane senza accusa né processo. Dal marzo 2009 la sua sentenza è stata confermata per sei volte – nonostante la legge preveda che non si possano superare i sei mesi in carcere senza un capo d’accusa ben definito.

Ad ottobre 2011 al-Shalabi è stata una dei 1000 prigionieri politici ad essere rilasciati in cambio del soldato israeliano Gilad Shalit, rapito dai militanti di Hamas nel 2006. In tal senso, lo sciopero della fame di al-Shalabi è stato preso a modello della difficile condizione di quei prigionieri palestinesi rilasciati ma da allora strenuamente vessati. Se cinque di loro, tra cui Hanaa, sono stati detenuti ancora in seguito, tanti sono i casi di abusi verbali e fisici ai danni dei prigionieri politici liberati.

Come molte famiglie palestinesi quella di al-Shalabi non è nuova a dimostrazioni di forza gratuita da parte dei soldati israeliani. Il fratello 24enne di Hanaa, Samir al-Shalabi, è stato assassinato dalle forze militari israeliane nel 2005, mentre la sorella e due dei suoi fratelli hanno passato periodi più o meno lunghi in detenzione nelle carceri israeliane.

L’organizzazione Addameer si è battuta in passato contro le accuse non fondate, perché mai di fatto provate, del coinvolgimento di al-Shalabi in un presunto attacco terroristico. Dopo 17 giorni d’investigazione, tra cui otto di interrogatorio non-stop, gli ufficiali israeliani non riuscirono a raccogliere prove sufficienti per incarcerare al-Shalabi in veste di organizzatrice di qualsivoglia attentato o in quanto affiliata a un partito politico o militare palestinese. Il giudice aveva deciso al tempo di condannarla a sei mesi di detenzione amministrativa perché, secondo un file segreto, rappresentava un pericolo per l’ordine pubblico nazionale.

La storia si ripete nel presente. AFP riporta che pochi giorni fa al-Shalabi è stata detenuta, sempre in virtù di oscuri documenti, per la sua supposta “vicinanza al movimento islamico jihadista” e per rappresentare una temibile “minaccia nell’area.”

Il 23 febbraio i genitori di Hanaa hanno affisso una tenda di protesta nel giardino di fronte alla loro casa di Burqin. Lì hanno iniziato uno sciopero della fame in supporto della battaglia avanzata dalla figlia e si sono dichiarati determinati a non interrompere il voto di astinenza finché la figlia non sarà liberata e l’ingiusta pratica della detenzione amministrativa abolita.

Su scala nazionale, i 320 detenuti senza accusa o processo come al-Shalabi hanno deciso di boicottare le corti militari israeliane a partire dall’1 marzo per protestare contro corti ingiuste – che basano i loro verdetti su file segreti e mancanza di accuse concrete – usate dall’esercito e dai servizi segreti israeliani come copertura per una detenzione illegale.

Il caso di Adnan ha avuto due risultati positivi: se da un lato la sua strenua protesta è riuscita a salvargli la vita e ad accorciare il suo periodo di detenzione, dall’altro i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane stanno alzando progressivamente la testa e dimostrando contro i costanti abusi e violenze esercitati impunemente dalle autorità israeliane.

Ora c’è solo da domandarsi se il prossimo passo comporterà una presa di posizione forte da parte delle rappresentanze mondiali contro una politica ingiusta e illegale dal punto di vista della legge condivisa a livello internazionale. Nena News

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