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Boom high-tech palestinese: moderna normalizzazione?

L'High-Tech in Palestina sta vivendo una fase di enorme crescita. Un fenomeno che non poteva sfuggire alle compagnie israeliane ed internazionali che hanno deciso di investire nei Territori. L'ennesimo esempio di alleanza tra élite palestinesi e israeliane. Unico obiettivo: massimizzare i profitti.

(21 Maggio 2012)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Boom high-tech palestinese: moderna normalizzazione?

foto: nena-news.globalist.it

LUCA SALERNO

Beit Sahour (Cisgiordania), 21 Maggio 2012, Nena News - “Oltre l'immagine malinconica di una desolata ed isolata Palestina c'è una verità d'ispirazione. Attraverso le barriere fisiche e mentali splende il mondo della tecnologia dell'informazione, che libera i consumatori e serve come faro di speranza per una società giovane e talentuosa”.

Con queste ottimistiche parole è stato annunciato il TechWadi’s 2011 Fall Forum che presentava l'immenso potenziale del settore IT (Information Technology) per espandere le opportunità economiche e contribuire al cambiamento in Palestina. Ed effettivamente il settore High-Tech palestinese sembra vivere negli ultimi anni un notevole boom. Secondo alcune stime, sono circa 300 le compagnie nel settore tecnologico in Cisgiordania e Gaza Strip e circa 5000 le persone che lavorano su applicazioni per cellulari e siti web innovativi.

Questa continua specializzazione del settore tecnologico palestinese ha portato ad un crescente interesse delle compagnie internazionali. Cisco System è stata la prima azienda internazionale con centri di ricerca e sviluppo in Israele a iniziare il processo di esternalizzazione verso la Cisgiordania. Successivamente rami israeliani di Hewlett-Packard Co., Intel Corp. e Microsoft Corp. hanno seguito l'esempio di Cisco ed hanno cominciato a stabilire accordi di outsourcing con compagnie palestinesi.

Le prospettive di crescita hanno subito attirato l'attenzione delle compagnie israeliane che vedevano in questo sviluppo una possibilità di esternalizzare il lavoro, con una crescente riduzione dei costi di produzione, che in questo settore è rappresentato principalmente dal fattore lavoro.

Secondo la Mercy Crop, un gruppo internazionale di aiuto che incoraggia joint ventures, circa 10 start-up e compagnie internazionali israeliane, negli ultimi 4 anni, hanno esternalizzato il lavoro in West Bank, e circa 32% delle aziende tecnologiche palestinesi collabora con aziende israeliane attraverso accordi di vendita e di outsourcing.

Solo un anno fa la Mellanox Thechnologies LTD ha scelto la Cisgiordania per un nuovo centro di progettazione software. In un'intervista al sito Bloomberg il portavoce e capo esecutivo della società, Eyal Waldman, ha affermato che israeliani e palestinesi “hanno lo stesso fuso orario e sono molto simili culturalmente. [...] La scelta di Ramallah è avvenuta dopo aver considerato l'India e la Cina, a causa dei costi più bassi e della vicinanza alla sede Mellanox in Yokne'am Ilit”.

“Il gap culturale è minore di quello che si pensa” riferisce Gai Anbar, capo esecutivo di Comply, - una star-up israeliana che si occupa di sviluppare software per grandi compagnie farmaceutiche – al sito Ha'aretz. Nonostante le belle parole sull'importanza di lavorare insieme e superare le barriere politiche, è lo stesso Anbar ad ammettere che la vera ragione dell'esternalizzazione è finanziaria: le compagnie palestinesi sono pagate 4mila dollari per ingegnere, la metà di quanto costerebbe esternalizzare ad una società israeliana.

Il boom del settore tecnologico palestinese sta diventando un vero e proprio polo di attrazione anche per gli investimenti in 'venture capital'. Il venture capital consiste nell’apportare capitale di rischio da parte di un investitore con lo scopo di finanziare l’avvio o la crescita di un’attività in settori che hanno un elevato potenziale di sviluppo. Questo tipo di rischio operativo è poi, nel caso di buona riuscita del business, ripagato da rendimenti futuri decisamente elevati.

L'ultima nata è la Sadara Ventures, un nuovo fondo di venture capital pioniere negli investimenti in High-Tech., con sede a Ramallah. Creata da Yadin Kaufmann – un americano-israeliano con una lunga esperienza nel settore e già fondatore della Veritas Venture Partners– e da Saed Nashef – un uomo d'affari palestinese-, Sadara è riuscita a recuperare circa 30 milioni di dollari negli ultimi 3 anni da società come Cisco Systems Inc., Google Inc., European Investment Bank, e George Soros Fund.

L'idea è quella di investire esclusivamente nello start-up di iniziative per mobile tech, software ed industrie simili. Ma Sadara non è certamente l'unica società di venture capital. Rasmala Investment Bank Ltd, ha creato un fondo palestinese e pianifica di arrivare ad investire oltre 100 milioni di dollari nei prossimi 3 anni mentre il Siraj Found Management ha creato il Siraj Palestine Found I con un capitale di oltre 60 milioni di dollari.

Sia palestinesi che israeliani vedono in questo nuovo tipo di investimenti enormi possibilità per la crescita dell'economia palestinese e per il superamento dello stallo politico nella soluzione del confitto. Ma i dubbi sull'effettiva bontà di questi piani sembrano essere più che legittimi. Considerare gli investimenti delle compagnie israeliane come una realtà al di fuori dell'Occupazione o addirittura come uno strumento per arrivare ad una pacificazione tra le parti, può essere considerato come l'ennesimo tentativo di 'normalizzazione'.

Il settore privato non è un realtà isolata dal contesto in cui si sviluppa, ed ha comunque come fine ultimo il profitto. É per questo che, come già storicamente mostrato dagli alti paesi colonizzati, va tenuta in considerazione l'alleanza tra élite borghesi nel processo di perpetuazione delle politiche di sfruttamento e colonialismo che sono alla base dell'Occupazione israeliana.

Anche nel caso palestinese è bene non sottovalutare il fatto che ampie parti delle élite e del settore privato riescono a trarre enormi profitti dall'occupazione dei Territori Palestinesi, diventando così il mezzo di connessione tra il contesto palestinese ed il mercato capitalistico israeliano e mondiale. L'Occupazione si trasforma, per queste élite, in un partita win-win, il cui fine ultimo non è la fine della colonizzazione dei Territori, quanto piuttosto la massimizzazione del profitto generato proprio dalla relazione di subalternità tra colonizzato e colonizzatore. Nena News

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