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(19 Agosto 2013) Enzo Apicella

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La “volonta’ di pace” di Alvaro Uribe e la farsa governativa del Ralito

(9 Dicembre 2004)

L’anno 2004, non lontano dal volgere al termine, è stato caratterizzato da un’imponente offensiva diplomatica del Governo Uribe, il quale ha sguinzagliato i propri ambasciatori e funzionari in mezzo mondo per cercare di convincere l’eterogenea e variegata comunità internazionale circa le presunte efficacia e bontà della sua politica di “sicurezza democratica”.

Secondo la propaganda demagogica della Casa de Nariño, i risultati ottenuti dall’esecutivo in materia politica, economica, militare ed internazionale sarebbero tangibili. Ma la verità, manco a dirlo, è largamente lontana e contrapposta al trionfalismo dell’establishment.

Sul piano politico, Uribe ha ricevuto un forte schiaffone già nell’ottobre 2003, quando la maggior parte dei colombiani aventi diritto al voto, mobilitatisi nell’ambito del forte e vasto movimento contro il referendum uribista, nei sogni presidenziali plebiscitario ma in realtà ultraminoritario, disertò le urne per sabotarlo nonostante l’oligarchia avesse martellato per mesi con i potenti media di regime. Dopo quella fragorosa sconfitta il governo Uribe, che sempre più organizzazioni ed ong in tutto il mondo definiscono come narco-paramilitare, ha subito un’emorragia di consensi e di ministri, alcuni silurati ed altri obbligati a dimettersi per scandali a ripetizione (corruzione, narcotraffico, peculato, ecc.). Più recentemente, il consolidarsi di un vasto movimento antiuribista ha avuto ripercussioni anche nel Congresso, che Uribe Vélez tenta di imbrigliare al fine di neutralizzare la pur moderatissima e socialdemocratica opposizione parlamentare, che si oppone al progetto di modifica costituzionale che permetterebbe ad Uribe di ricandidarsi ad un secondo mandato.

Sul piano economico, aldilà delle cifre ufficiali di enti statali ed organismi multilaterali, il Paese è in ginocchio: aumentano le importazioni, che dopo l’inizio della nefasta “apertura economica” nel ’90 sono passate da 500.000 a quasi 10 milioni di tonnellate all’anno; prosegue implacabilmente il processo di smantellamento dell’apparato produttivo colombiano, ora privatizzato ora svenduto al capitale transnazionale; aumenta la voragine del buco nero del riciclaggio dei narcodollari, con modalità non identiche ma analoghe a quelle usate nei decenni passati dai cosiddetti cartelli delle droghe; infine, ma non per ordine d’importanza, la Colombia sottoscriverà presto con gli USA il TLC, “Trattato di Libero Commercio” bilaterale che i secondi perseguono come forma di far passare l’ALCA, gradualmente, pur senza il consenso di tutti i governi latinoamericani (Venezuela in primis). E’ doveroso ricordare che il TLC-ALCA andrà a distruggere definitivamente l’economia contadina e rurale, espanderà lo strapotere -anche giuridico- delle transnazionali ed il saccheggio delle ingenti risorse naturali andino-amazzoniche, e porterà all’ennesima potenza la svendita della già calpestata sovranità nazionale della Colombia, così come di tutti gli altri paesi che l’hanno sottoscritto (Cile) o sono in procinto di sottoscriverlo (Perú, Ecuador e diversi paesi centroamericani).

Sul piano sociale, la politica economica di Uribe ha generato e continua a generare un allargamento della forbice tra l’oligarchia, sempre più potente e ricca, e quasi l’80% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà, guadagnando appena 1 dollaro al giorno. E mentre i diritti sindacali a un lavoro dignitoso vengono conculcati e negati, così come quelli umani, il tasso di disoccupazione rasenta il 30% (il più alto dell’America Latina), senza contare la sottoccupazione quale fenomeno in perenne crescita nel modello economico neoliberista, al pari del lavoro precario ed informale (secondo l’Asobancaria, dei 15 milioni di occupati ben 9, ossia il 60%, lavorano nel settore informale). E se gli ospedali e le scuole chiudono i battenti per via dei tagli stratosferici alla spesa pubblica, in perfetta sintonia con i dettami del FMI e della Banca Mondiale, la controriforma agraria avanza a colpi di sangue e piombo paramilitare, e l’emarginazione e l’esclusione sociali si espandono quali condizione in cui la maggior parte della popolazione si trova a dover difficilmente sopravvivere.

Sia chiaro che, dei miliardi e miliardi di pesos sottratti alla spesa pubblica, gli unici a non essere impiegati nella guerra sporca contro il popolo e le sue organizzazioni sono quelli che si “perdono” nei meandri della burocrazia centrale e dipartimentale dell’amministrazione dello Stato.

Molto si è detto e scritto sulla reingegneria delle Forze Armate governative, conseguente al controinsorgente Plan Colombia quale braccio armato dell’ALCA ed alla sua recente e disperata accelerazione, chiamata “Plan Patriota”, in cui decine di migliaia di soldati addestrati e diretti sui campi di battaglia da ufficiali USA e dal South Com del Pentagono cercano di decapitare il movimento guerrigliero. Ma è sul piano militare e della “sicurezza” che la “Seguridad democratica” di Uribe, che è poi una politica di netto stampo fascista, sta fallendo. Il tentativo di togliere l’acqua al pesce, e cioè di sterminare l’opposizione sociale e popolare per isolare la guerriglia, incontra una sempre più accesa resistenza; ed il movimento guerrigliero, lungi dall’essere militarmente indebolito, ha intensificato gli attacchi al regime cambiando il proprio modus operandi e rafforzando la propria presenza nelle aree metropolitane.

Anche i media filogovernativi (El Tiempo, El Espectador, Semana, Caracol, ecc.) hanno dovuto riferire in merito all’insubordinazione di alcune unità di truppe speciali contro-guerriglia mandate a gettare, nell’ambito del “Plan Patriota”, ulteriore benzina sul fuoco del conflitto sociale ed armato colombiano. Insubordinazione, anche violenta, che è fuoriuscita dal controllo della catena di comando dell’Esercito colombiano per via degli scarsi risultati ottenuti in aree in cui la guerriglia ha una influenza storica, la conoscenza totale del terreno operativo ed un grande appoggio della popolazione, tutti fattori, questi, a cui si sono aggiunte le inondazioni, prima, e le siccità, poi, che hanno fatto saltare i nervi alle sedicenti “truppe d’acciaio” di regime, che dal febbraio 2004 ad oggi hanno subito (solo nel sud-oriente colombiano) più di 1500 perdite, tra morti e feriti.

Sullo scenario internazionale, Uribe raccoglie indubbiamente le simpatie dei settori più guerrafondai e reazionari, che vedono nella sua amministrazione un partner incondizionato nella crociata contro il cosiddetto “terrorismo”, capitanata dai falchi della Casa Bianca. Tuttavia, l’isterismo e l’auto-sacralizzazione con cui si è posto nei confronti della comunità internazionale (“chi non è con me sta con i terroristi!”) l’hanno reso marcatore di numerosissimi autogoals, tra i quali valgono la pena di essere citati il boicottaggio della stragrande maggioranza degli europarlamentari alla sua visita al Parlamento Europeo, scenario di un prepotente intervento di fronte ad una sala pressoché deserta, e i continui attacchi pubblici all’ufficio del Segretario dell’ONU per la Colombia, “reo” di aver criticato la sua amministrazione per via dell’ininterrotta violazione dei diritti umani.

Inoltre, non va dimenticata una delle colonne vertebrali della politica fascista e corporativa di Uribe Vélez: la legalizzazione e lo sdoganamento dei gruppi paramilitari, responsabili di indicibili ed infinite mattanze, con i quali il Governo colombiano ha aperto da alcuni mesi un “processo di pace” farsa smilitarizzando il municipio di Santa Fe del Ralito (dipartimento di Córdoba); in proposito, vanno chiarite alcune questioni sulle quali la stampa internazionale ha seminato non poche menzogne e cortine fumogene. In prima battuta, è bene sottolineare che i gruppi paramilitari non sono nati, come l’oligarchia cerca di far credere, quali risposta “agli abusi ed alle violenze del movimento guerrigliero”; i paras esistevano già negli anni ’50, quando queste bande di assassini (chiamati pajaros o chulavitas) vennero implementate sulla scia della dottrina della “Sicurezza Nazionale” e del “nemico interno”, esportata dagli USA in tutta l’America Latina. Da sempre organizzati, diretti e controllati dalla Forze Armate ufficiali, sono stati al contempo una politica ed uno strumento del terrorismo di Stato contro la popolazione civile, soprattutto in quelle aree in cui l’imposizione di megaprogetti e grandi interessi economici dell’oligarchia latifondista e delle multinazionali passava (e passa) per lo sfollamento forzato delle popolazioni locali. Inoltre, i paramilitari sono stati il paravento dell’Esercito per quel che concerne la guerra sporca, praticata dallo Stato contro il movimento democratico e che ha sterminato decine di migliaia di sindacalisti, dirigenti popolari, leaders contadini, studenteschi ed indigeni, giornalisti indipendenti e candidati alla presidenza, parlamentari, senatori e rappresentanti locali dell’opposizione sociale e politica al regime bipartitico di liberali e conservatori.

Come documentato ampiamente da Joseph Contreras, giornalista del News Week, Uribe Vélez, negli anni in cui fu governatore del dipartimento di Antioquia, promosse la legalizzazione dei gruppi paramilitari organizzati in “cooperative” di sicurezza privata, le “Convivir”, sancita da una legge ad hoc.

Di conseguenza, il “processo di pace” del Ralito non è un dialogo bensì un monologo, un assolo di due corde dello stesso mandolino che strimpella da decenni la colonna sonora del circo politicante colombiano. Un circo in cui i domatori di Washington, gli acrobati delle grandi confederazioni economiche, i giocolieri dei media di regime ed i clown del Congresso hanno tutto l’interesse ad inglobare ufficialmente nelle Forze Armate i paramilitari “smobilitati”, processando alcuni dei loro capi per il delitto di narcotraffico (onde evitargli i capi d’imputazione legati ai crimini di guerra e di lesa umanità), in modo da dare un contentino agli osservatori ed alla comunità internazionali, salvo poi ricollocare sull’altare dell’ingiustizia cronica l’impunità totale di questi assassini mediante la legge di “alternatividad penal”, che garantirebbe la riconversione delle pene in non meglio definiti “affidamenti sociali”.

Descritta la cornice di questa abominevole operazione uribista, naturalmente appoggiata dagli USA, accompagnata dall’Organizzazione degli Stati Americani ed addirittura finanziata dalla Svezia, non resta che svelarne la tela: il riciclaggio legalizzato, da parte dello Stato e dell’oligarchia colombiani, dei milioni di ettari -usurpati ai contadini a ferro e fuoco dai paras- e dei narcocapitali accumulati in tutti questi anni di lutto e distruzione.

Di fronte all’oggettivo allontanarsi dell’orizzonte della soluzione politica al grave conflitto sociale ed armato colombiano, impossibile senza la rimozione strutturale delle cause che l’hanno storicamente, socialmente, politicamente ed economicamente generato, la conquista di una vera pace con giustizia sociale per il popolo colombiano passa per una sola strada: la costruzione di un governo realmente democratico e pluralista, che difenda la già vessata sovranità nazionale e che rappresenti e promuova i diritti delle maggioranze.

Associazione nazionale Nuova Colombia

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