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Jobs Act avanti senza fiducia, è bastato il disprezzo

(26 Novembre 2014)

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La Camera ieri pomeriggio ha approvato il nuovo testo del famigerato “Jobs Act” dopo le ridicole modifiche apportate nella discussione tutta interna al Pd. Addio all'art.18 per i neoassunti, niente reintegra per i licenziamenti economici, via libera al demansionamento e al controllo a distanza dei lavoratori, cancellazione della cassa integrazione per le aziende in fallimento e contratto a tutele crescenti mantenendo intatta la legislazione che autorizza la precarietà assoluta (...)
. Lo ha fatto senza bisogno di ricorrere al voto di fiducia, è bastato appunto il solo disprezzo. Disprezzo verso la dignità degli uomini e delle donne che lavorano, nei confronti della vita di milioni di giovani. Solo un parlamento che ha messo al centro della sua attività il disprezzo per la condizione di chi dovrebbe rappresentare poteva immaginare di approvare un provvedimento così regressivo socialmente, reazionario e meschino. Al lavoro viene chiesto di pagare tutto il prezzo della crisi di lor signori, tutto il prezzo dell'ignominia di classi dirigenti intente a edificare le loro ricchezze sull'ingiustizia sociale e sul ladrocinio. Dovrebbero solo vergognarsi coloro che con la loro tessera elettronica ieri hanno detto si alla cancellazione di un pezzo di civiltà di questo paese. Ci chiediamo come Guglielmo Epifani ex segretario generale Cgil abbia potuto, per disciplina di partito, dare il proprio consenso a un atto criminale contro il mondo del lavoro. I diritti del lavoro sono alla base della civiltà di un paese. Sono elementi che distinguono un regime autoritario da una democrazia formale. Sull'altare di una presunta modernità che sa tanto di restaurazione capitalistica viene sacrificata tutta una lunga e sofferta storia di lotte per l'emancipazione del lavoro dalla condizione servile, dall'essere senza diritti davanti al padrone e al suo dominio. Ora il Jobs Act ritorna al Senato per l'approvazione definitiva forse prima dello sciopero del 12 dicembre, quanto mai tardivo. Non permettiamo che venga approvato. Non lasciamo che il senato proceda nel silenzio generale. Mettiamo in campo il massimo di mobilitazione possibile dentro e fuori i luoghi di lavoro.

Sergio Bellavita

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