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1 Maggio: fuori da ogni rito, per riprenderci la vita, per unire le lotte!

volantino diffuso alla manifestazione del Primo Maggio a Napoli

(2 Maggio 2005)

1 maggio 2005: il rischio della ricorrenza svuotata di contenuti questa volta può essere evitato.
Possono finalmente riemergere le valenze di una data simbolica per la storia del movimento operaio.
Quelle già evidenti in ciò che accadde a partire dal 1 maggio del 1886, quando, negli USA, i lavoratori di 12000 fabbriche iniziarono uno sciopero per le otto ore, subendo, nei giorni seguenti, in particolare nella città di Chicago, una repressione cruenta.
Quelle, ancora, confermate dal proseguimento della lotta, che portò, il primo maggio di quattro anni dopo, alla prima mobilitazione mondiale per la riduzione dell'orario di lavoro.

Come a dire che il nostro grido attuale (riprendiamoci la vita!) non è una novità.
Certo, oggi viene tematizzato in modo più esplicito, ma ciò avviene anche all'insegna di equivoci.
Si pensi a come, spesso, viene veicolata la parola d'ordine in sé sacrosanta del reddito garantito.
Se, giustamente, si ribadisce che non è un valore produrre per questa società e che a tutte/i spetta di vivere anche a prescindere da una prestazione lavorativa, nello stesso tempo si accredita una pia illusione: quella per cui oggi sarebbe possibile un tempo liberato, magari attraverso il denaro e la possibilità che esso dà di accedere al consumo.
In questo modo, da un lato si valuta positivamente il concetto di tempo libero, concesso, in questo ordine sociale, non certo per soddisfare i propri più autentici bisogni.
Dall'altro non ci si avvede che con la manciata di soldi che si otterrà si potrà superare lo spettro della miseria e concedersi qualche botta di vita nei week end, ma ciò non comporterà il superamento di quella condizione di precarietà che ormai, riguarda ogni sfera della vita, dal lavoro alla questione della casa, fino all'assenza di servizi sociali.
Con il reddito ci si potrà difendere un po' di più, risultando raggiunti, talvolta, dal flusso ininterrotto di merci che si riversa sulle città.
Ma la precarietà, appunto, rimarrà.
E ciò in un contesto segnato dalla frammentazione dei soggetti che la vivono, divisi nella miriade di figure contrattuali cui ha portato la flessibilità del lavoro, separati tra chi è dentro e chi è fuori dalla produzione o tra nativi ed immigrati, questi ultimi i più sfruttati, sottoposti come sono al ricatto del permesso di soggiorno.
Certo è anche vero che tra i soggetti sociali che compongono l'universo proletario metropolitano, le spinte conflittuali ultimamente si sono intensificate, diventando pure più incisive.
Tuttavia, esse sono ben lontane dall'essere unificate, perché ancora manca un rapporto stabile tra i soggetti che le pongono in essere.
Ora, ciò rimanda alla necessità di creare collegamenti, allo svolgimento, cioè, di un'attività certosina volta a far incontrare chiunque viva le condizioni di precarietà imperanti.

La parola d'ordine del reddito garantito, per quanto capace di mettere a fuoco problemi reali, non è una parola magica che risolve ogni problema.
Anzi, il suo lancio, se non ci si vuol limitare ad una campagna d'opinione, abbisogna proprio di quei collegamenti e deve trovare la sua ratifica ultima nei luoghi di riunione creati dai soggetti sfruttati.

Ce lo conferma una esperienza proletaria che ha ormai più di 150 anni.
Dagli esempi prima citati, infatti, viene una indicazione precisa: la campagna per le otto ore fu il portato di un processo che partì dalle prime lotte di fabbrica e sfociò, col tempo, in un movimento mondiale, dimostrando che non v'è scissione tra la pratica quotidiana e quel perseguimento della dimensione internazionale d'una lotta che oggi risulta obiettivo meno difficile di un tempo.
Ora, proprio l’EuroMayDay può andare in tale direzione perché spinge ad un 1 maggio continentale.
Ma, in prospettiva, si può pensare ad una data che superi i confini europei, unificando le lotte da Chicago a Napoli, da Tokyo a Colombo, fino a Manila, Quito, Dakar.
Sembra un paradosso, ma ciò vuol dire proprio partire dal quotidiano, poiché può essere conseguenza del rapporto costante e della lotta comune con gli immigrati.
In sostanza, lasciandosi guidare dalla concretezza è possibile fare in modo che l’istanza della possibilità incondizionata di vivere per tutte/i, diventi - traducendosi o meno, nei vari luoghi, in una richiesta di reddito – una parola d'ordine universale.
Rinviando alla prospettiva d'una società dove a ciascuno sia dato secondo i suoi bisogni e dove siano finalmente questi ad orientare ogni decisione su cosa, come, quanto produrre.

Corrispondenze Metropolitane - Collettivo di controinformazione e d'inchiesta

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