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Colombia: fascismo uribista e scambio di prigionieri

(22 Maggio 2005)

Come abbondantemente illustrato nel precedente articolo sul n. 14 di questa rivista, non è improprio, anzi, è importante e quanto mai opportuno segnalare come il regime narco-paramilitare di Uribe Vélez si caratterizzi per il suo stampo fascista. Accentramento, anche formale ed istituzionalizzato, dei poteri dello Stato, imposizione manu militari di misure e riforme di stampo neo-corporativo (in materia di mercato del lavoro, pensioni, educazione, settore energetico e delle telecomunicazioni), politica della “seguridad democratica” a livello interno e salto qualitativo e quantitativo della repressione su più livelli, sono i principali -anche se non gli unici- cardini di una dittatura mascherata da democrazia presidenzialista. La proiezione internazionale della Colombia, speculare e consustanziale alla gestione interna del processo di fascistizzazione dello Stato, si è caratterizzata per l’atteggiamento arrogante ed aggressivo nei confronti del Venezuela in particolare e della regione in generale, in cui Uribe sta giocando sempre più il ruolo di “Sharon dell’America Latina”, quale cane da guardia ed avamposto più “fedele” e ricattabile per l’imperialismo statunitense.

Il vertiginoso peggioramento delle condizioni di vita di lavoratori, contadini, studenti, sfollati e settori popolari in generale, causato anche e soprattutto dal processo reale d’imposizione del Trattato di Libero Commercio con gli USA (indiscutibilmente antecedente alla sua sottoscrizione ufficiale, non ancora avvenuta ma imminente) ha contribuito in termini strutturali a tendere come la corda di un arco le storiche e secolari contraddizioni in seno alla società colombiana, e con esse le sempre più forti, radicali ed unificate mobilitazioni e lotte popolari e di classe. Parallelamente, il cosiddetto Plan Patriota quale ariete militare della strategia del South Com nel continente, organico al Plan Colombia ed all’Iniziativa Regionale Andina e lanciato, ufficialmente, nei primi mesi del 2004 per schiacciare la resistenza ed il controllo di vaste aree nel sud colombiano da parte delle FARC-EP, sta fallendo clamorosamente. Basti pensare che nei soli dipartimenti dell’oriente colombiano, in cui opera ed esercita la propria influenza il Blocco Orientale dell’organizzazione guerrigliera, durante l’anno scorso sono stati messi fuori combattimento (tra morti e feriti) 4717 effettivi militari e paramilitari, in oltre 2400 scontri ed azioni delle forze insorgenti che hanno anche abbattuto 4 elicotteri da guerra, danneggiandone 38, e messo fuori combattimento 19 aerei nemici.

Nonostante la museruola applicata dall’uribismo ai media di regime, in margine agli esiti e sviluppi reali del Plan Patriota, i suddetti risultati ne dimostrano l’inconsistenza strategica, oltre che tattica, e chiariscono una volta per tutte che l’altra appuntita spina nel fianco di Uribe, la questione dei prigionieri di guerra detenuti dalla guerriglia, non può e non potrà essere rimossa con la forza e con operativi militari. Nelle selve e montagne della Colombia, infatti, le FARC hanno in loro potere 57 prigionieri di guerra, tra ufficiali delle Forze Armate, 3 agenti della CIA e politici (come l’ex candidata alla presidenza Ingrid Betancourt), alcuni dei quali detenuti da oltre sei anni, che l’insorgenza è disposta a rilasciare nell’ambito di un accordo di scambio che deve contemplare la liberazione di oltre 500 guerriglieri imprigionati nelle carceri dello Stato. Un accordo di questa natura tra le parti, peraltro già effettuato in passato con altri governi alla luce del secondo protocollo aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra, implicherebbe il riconoscimento de iure dello status di forza belligerante delle FARC, con tutte le conseguenze del caso. Accordo che, quand’anche venisse presentato come “umanitario”, Uribe non ha la benché minima volontà politica di siglare, nonostante le pressioni di diversi ed importanti settori internazionali ed il parere maggioritariamente favorevole del popolo colombiano. Tra i prigionieri di guerra rivoluzionari si trova il dirigente della Commissione Internazionale delle FARC-EP Rodrigo Granda (Comandante Ricardo Gónzales), sequestrato in Venezuela nel pieno centro di Caracas il 13 dicembre scorso da agenti colombiani e venezuelani (prezzolati da Bogotá), con la regia della CIA, che lo hanno poi consegnato a Cúcuta alla polizia di quella città per mettere in scena una presunta cattura in territorio colombiano. Inutile dire che il sequestro di Ricardo in territorio venezuelano ha costituito una palese e criminale violazione della sovranità della Repubblica Bolivariana del Venezuela, che ha risposto con veemenza e dignità richiamando a tempo indefinito il proprio ambasciatore a Bogotá e rompendo tutte le relazioni commerciali tra i due paesi.

Un altro prigioniero di guerra, Simón Trinidad, portavoce al Tavolo dei Dialoghi durante il processo di pace con l’ex governo Pastrana, era stato sequestrato dai servizi segreti colombiani e statunitensi a Quito, in Ecuador, il 2 gennaio del 2004, con la complicità ed il servigio del locale governo burattino di Lucio Gutiérrez, a riprova del fatto che il fascismo uribista sta mettendo in pratica metodi del tutto aderenti al famigerato Plan Condor, che negli anni ’70 consistette -tra le altre cose- in sequestri ed omicidi extraterritoriali di militanti rivoluzionari e dissidenti politici oppostisi alle dittature dei paesi del Cono Sud.

Come ulteriore schiaffo alla sovranità del popolo colombiano, Uribe Vélez ha estradato negli USA Simón Trinidad il 31 dicembre scorso, mettendo un’ipoteca negativa sulle possibilità di giungere ad uno scambio di prigionieri di guerra di entrambe le parti. Simón “Dignidad”, come sempre più colombiani e persone di tutto il mondo lo hanno ribattezzato, è stato intervistato a distanza (fisicamente era impossibile) dal periodico comunista colombiano Voz, che gli ha fatto pervenire domande e contro-risposte che fanno di questa intervista un materiale inedito, che in Italia non è ancora stato diffuso e che abbiamo il piacere di proporre ai lettori di Senza Censura, lanciando così una campagna per sostenere lo scambio di prigionieri, denunciare il meccanismo perverso dell’estradizione negli USA e sostenere i prigionieri combattenti e rivoluzionari colombiani che resistono.

Associazione nazionale Nuova Colombia

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