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Un Mediterraneo, tutto «da rifare»?

La storia di un mare plurale che aiuta a interpretare le vicissitudini del presente

(30 Gennaio 2019)

Su un prezioso volume pubblicato dalle Edizioni di Storia e studi sociali

storia dei mediterranei 2

Tutti aggiornati e interessanti, i saggi di vari studiosi specialisti, pubblicati nell’ampia raccolta "Storia dei Mediterranei. Popoli, culture materiali e immaginario dall’età antica al Medioevo". Le aspettative suscitate dal lungo sottotitolo non vanno certo incontro a possibili delusioni, nel lettore attento a una divulgazione di alto livello culturale e scientifico. È tuttavia lecito ipotizzare che esistano lettori maggiormente interessati a certi periodi storici, rispetto ad altri, e quindi magari predisposti a iniziare la lettura in maniera non strettamente consequenziale e diacronica, bensì per così dire piuttosto «anarchica». È il caso di chi qui scrive, attratto non tanto dal nome noto dell’autore Franco Cardini, quanto da quello del personaggio non meno illustre menzionato nel suo saggio: Un pacifista paradossale. Ramon Llull e la crociata come «atto d’amore» (buon ultimo, nella serie di interventi storicamente ordinati, nel volume in questione).
Raimondo Lullo, se ne preferiamo il nome italianizzato, era un pensatore catalano medievale del XIII-XIV secolo, la cui maggiore preoccupazione religiosa fu quella della conversione di musulmani ed ebrei alla fede cristiana. Tanto, da acculturarsi specialmente e direttamente all’ancora fiorente civiltà araba mediterranea, a lui contemporanea. La sua comprensione di essa, annota Cardini, si spinse al punto da non considerare più i saraceni “infedeli”, bensì diversamente fedeli, eppure a maggior ragione bisognosi di conversione, con le buone meglio che con le catttive maniere, secondo un parziale fraintendimento dello spirito originale francescano. Vale a dire, la sua critica delle Crociate – in via, peraltro, di definitivo fallimento – le accusa di aver mirato alla conquista territoriale, più che alla convinzione ideale. Ma quest’ultima non esclude affatto la prima. Anzi, le due operazioni dovrebbero svolgersi in modo coordinato, complementare e parallelo.
Questo, in breve, il paradosso individuato da Cardini: nella misura in cui Lullo giunge ad apprezzare la civiltà arabo-musulmana, o addirittura a farne propri certi spunti filosofici o mistici, questo strano e posssessivo amore si traduce in rinnovata e potenziata volontà di conversione dell’altro, per il suo preteso bene. Il paradosso è tale, che può indurci a esaminare retrospettivamente l’intera storia dell’area mediterranea, nella sua ambigua luce. A ben vedere, rapporti di amore-odio fra le diverse culture vi ricorrono dialetticamenre. L’incontro precede lo scontro, o viceversa. Tante e così differenti popolazioni si sono affacciate su questo bacino inter-continentale, che spesso le contraddizioni diventano antagonismi, prima di poter pervenire a una sintesi. Un laboratorio del progresso umano, dove le reazioni possono essere violente e a volte perfino, temporaneamente regressive.
Comunque, ci spetta e conviene focalizzare gli incontri, gli scambi anche commerciali che finiscono per essere culturali, anziché fratture e scontri a lungo andare rovinosi o sterili, in modo da evidenziare e promuovere una basilare e «naturale disposizione a relazionarsi». È quanto anticipato, nell’introduzione redazionale al volume: «Si tratta di tante storie, che però finiscono inevitabilmente con il convergere e l’intrecciarsi. È la storia di un Oriente che in alcuni tratti nodali riesce a supportare le trame civili dell’Occidente. È la vicenda di un Nord che finisce con il condividere i propri destini con quelli del Sud, ancora attraverso contagi, materiali e culturali. È la storia di mondi sacrali attraversati da chiusure identitarie e in grado però di riconoscersi nel concreto della vita materiale e nelle vicissitudini intellettuali. È la vicenda, ancora, di conflitti accesi e radicali, che non frustrano tuttavia la determinazione dei popoli nella ricerca, in realtà inesauribile, del contatto».
Nel saggio L’immagine del mondo nel Mediterraneo antico. I percorsi di una rivoluzione lenta: dalle rotte dei Fenici alle rappresentazioni dei Greci d’Oriente, Carlo Ruta suggerisce che il primo passo verso una presa di coscienza condivisa sia stata la stessa rappresentazione del proprio ambiente, inizialmente circoscritta al Mar Mediterraneo o coincidente con parte di esso, ma poi sempre più ampia, fino a concepire un mondo onnicomprensivo benché approssimativo. In altri termini, la nascita di una geografia e di una cosmologia. Di per sé, un tale evento concorse ad attenuare una visione etnocentrica, se non proprio a superarla e tanto meno a dissolverla. Il graduale dilatarsi dell’orizzonte portò all’auto-consapevolezza, e talora all’utilizzazione di quanti solcavano quelle acque per fini esplorativi, nostante ogni persistente competizione o conflittualità. Presso le popolazioni rivierasche, le scoperte dei naviganti diedero luogo a un’aurorale conoscenza scientifica.
Nell’impostazione di Ruta, è da intravedersi l’intuizione hegeliana che non c’è sviluppo senza contraddizioni, ma è pur vero che la nostra intelligenza può mutare gli antagonismi in più innocue tensioni, raffinando il processo dialettico senza la necessità di traumatici e problematici «tagli cesarei» nel ventre della Storia. Coerente ed eloquente, il titolo del saggio dell’archeologo Massimo Cultraro: Una distesa d’acqua crudele ed imprevedibile. L’immaginario del mare nella Grecia dell’età del Bronzo. In particolare, il capitoletto intitolato Mare, tsunami e terremoti marini ci rammenta come, già prima dell’omerica immaginazione dei Greci, la naturale pericolosità marina non era limitata al realistico rischio di naufragi o di più o meno mitico-epiche derive, ma poteva contemplare cataclismi suscettibili di influire sulle sorti di intere civiltà, quale quella minoico-cretese.
Non potendo in questo spazio menzionare tutti gli interventi che rendono il libro un mosaico caleidoscopico, piace concludere citando almeno il triplice contributo archeologico-storico di Francesco Tiboni: Tradizioni navali nel Mediterraneo occidentale all’alba della storia; Roma e la damnatio memoriae di Cartagine; Dal Mare Nostrum alle repubbliche marinare. Il ruolo della marineria bizantina nel commercio e nella guerra sul mare. La competenza dell’autore ci introduce peraltro alla cognizione di un aspetto poco noto, i progressi nella tecnica cantieristica navale: «Per quanto attiene alla sfera prettamente tecnologica, le scoperte susseguitesi negli ultimi decenni ci forniscono alcune importanti notizie relative a questo periodo di grande cambiamento, consentendoci di analizzare alcune delle principali modifiche che intervengono nel campo dell’architettura e della costruzione navale». Avvenuto nell’alto e «oscuro» Medioevo, un tale cambiamento sarà tuttavia alla base della marineria moderna, stando a Tiboni nel terzo dei suoi saggi.

Pino Blasone

Fonte

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