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Colombia: lo scambio dei prigionieri di guerra e' una necessita'

(21 Gennaio 2006)

A causa del conflitto sociale ed armato colombiano, che si protrae da oltre mezzo secolo e che vede contrapposti il regime oligarchico da una parte ed il movimento insorgente dall'altra, negli ultimi dieci anni è aumentato considerevolmente il numero dei prigionieri di guerra di entrambi i contendenti, catturati in combattimento e non. Di fronte a questa realtà innegabile, si è estesa e rafforzata la battaglia per propiziare accordi di scambio, aventi come obiettivo e contenuto la loro liberazione.

In questo lungo percorso, che ha già visto la materializzazione di accordi di tale tipo come nel caso di quello siglato tra il governo Pastrana e le FARC, durante il processo di pace rotto artatamente dal primo nel febbraio del 2002, la guerriglia ha già liberato unilateralmente oltre 300 prigionieri - per lo più soldati e poliziotti - in suo potere.

Nei penitenziari colombiani, veri e propri gironi danteschi di sovraffollamento e violazione dei diritti umani, vi sono attualmente alcune centinaia di guerriglieri incarcerati, mentre nelle selve e montagne di questo paese andino-amazzonico sono detenute dalle FARC circa 60 persone, tra cui diversi politici, (come l'ex candidata alla presidenza Ingrid Betancourt e 12 deputati del Valle), decine di ufficiali delle governative forze armate e di polizia e 3 agenti della CIA.

Se tutti i presidenti della Repubblica della storia relativamente recente della Colombia sono sempre stati carenti di volontà politica di realizzare scambi di prigionieri, quello attuale, il narco-paramilitare Alvaro Uribe Vàlez, li batte tutti. Con la sua arroganza, degna di un mini-fuhrer, e la sua cecità, propria di chi marcia a passo sostenuto verso il baratro proclamando pirriche vittorie, Uribe continua ad ostacolare in tutti i modi possibili il recupero della libertà dei prigionieri di guerra. Da una parte, infatti, ha più volte affermato che non possono essere messi sullo stesso piano dei "cittadini per bene" e dei "terroristi" e "banditi", ridicola tesi per sostenere la quale si è spinto addirittura a negare l'esistenza in Colombia di un conflitto sociale ed armato.

Dall'altra, ha mantenuto invariata la politica di guerra totale (altresì detta Seguridad Democratica), la quale in merito alla questione si proietta con il tanto perentorio quanto irresponsabile ordine di riscatto a sangue e fuoco dei detenuti in potere delle FARC, che non solo non ha dato risultato alcuno ma che ha anche provocato la morte dell'ex ministro della difesa, Gilberto Echeverry, e del governatore di Antioquia, Guillermo Gaviria. Il suddetto ordine, che peraltro palesa un disprezzo totale per la vita dei medesimi militari che hanno difeso gli interessi dell'oligarchia che egli rappresenta, è stato duramente criticato e sconfessato dagli stessi familiari dei prigionieri.

Quando le FARC-EP proposero in tempi non lontani la smilitarizzazione di San Vicente del Cagun e Cartagena del Chair, al fine di creare le condizioni di garanzia e sicurezza indispensabili ad avviare un dialogo tra le parti sul tema, Uribe ed i suoi Generali si strapparo no le vesti rispondendo istericamente che, essendo i due municipi del sud del paese compresi nel teatro operativo del Plan Patriota, la proposta aveva come unico scopo bloccare l'avanzata dello stesso, che nei fatti si è dimostrato fallimentare alla luce delle migliaia di morti e feriti tra le fila delle forze militari e paramilitari di Stato; allorché, dimostrando un'incontrovertibile volontà politica di realizzare lo scambio, il Segretariato dello Stato Maggiore Centrale delle FARC ha risposto proponendo la smilitarizzazione di altri due municipi, Pradera e Florida, ubicati nel dipartimento del Cauca e distanti oltre 500 chilometri dall'area delle operazioni del Plan Patriota. Uribe, che vorrebbe uno scambio in cui i guerriglieri liberati dovrebbero essere esiliati in un paese europeo, ha risposto offrendo -come lu ogo d'incontro dei rispettivi portavoce- una "scuolina", una "cappella" o una "chiesetta".

Più recentemente, il governo ha accettato la creazione di una commissione internazionale di facilitazione, formata da Francia, Svizzera e Spagna, che dovrebbe avere il compito di favorire l'avvicinamento e l'intesa tra le parti. E' delle ultimissime settimane la notizia secondo cui Uribe Vàlez accetterebbe anche di smilitarizzare El Retiro, minuscola frazione di Pradera.

Indipendentemente dalle varianti prospettate, sono evidenti due cose: la prima è che Uribe si pronuncia ed agisce in modo surreale come se si trovasse di fronte ad un interlocutore logoro e sconfitto, e la seconda è che ogni mossa sullo scacchiere della vicenda in questione è, per lui, una manovra di sciacallaggio finalizzata a guadagnare -nell'amb ito della campagna rielezionista- un sempre più eroso consenso.

Per ultimo, ma non in ordine d'importanza, va sottolineato l'elemento nefasto delle estradizioni negli USA di prigionieri rivoluzionari, come Simon Trinidad e Sonia, così come il sequestro un anno fa a Caracas del dirigente della Commissione Internazionale delle FARC-EP, Rodrigo Granda; azioni dell'esecutivo di Bogotà, queste, che hanno rischiato d'infliggere un colpo di grazia alle speranze di uno scambio, e che fanno parte di una macabra riproposizione del Plan Condor. E' superfluo aggiungere che, senza il rimpatrio di Simon e Sonia e la liberazione dei tre, il raggiungimento di un accordo tra il movimento guerrigliero e lo Stato sarebbe una pura e semplice chimera.

Nonostante il cammino verso la materializzazione di uno scambio resti disseminato di difficoltà e prove della mancanza di volontà politica da parte di Uribe, la gran maggioranza del popolo colombiano e della comunità internazionale sono favorevoli ad un accordo ed appoggiano le mobilitazioni, che vedono in prima fila i familiari dei prigionieri di guerra, affinchà questi possano recuperare la libertà. Con questo governo, che disconosce sia il carattere politico sia quello di forza belligerante dell'insorgenza colombiana, indiscutibile anche alla luce della Convenzione di Ginevra e del suo II Protocollo Aggiuntivo, sarà molto difficile. Ciò nonostante, i popoli del mondo, le organizzazioni rivoluzionarie e progressiste, i giuristi ed i settori democratici e tutti quelli che hanno a cuore l'affermazione della pace con giustizia sociale per il popolo colombiano, hanno l'imperativo di intensificare gli sforzi per contribuire a vincere questa storica battaglia.

Tratto dal N. 81, di gennaio-febbraio 2006, di Resumen Latinoamericano (ediz. italiana)

Max Lioce
Associazione nazionale Nuova Colombia

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