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(30 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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(4 Aprile 2007)

La realtà, qualche volta ci complica le cose ma altre volte dobbiamo ammettere che ce le semplifica. La discussione che c’è stata finora, con il tentativo di definire una nuova forma di rappresentanza della politica e dei movimenti e di replicare alla accuse di antipolitica che alcuni dirigenti della sinistra di governo hanno rovesciato contro il movimento, trova una sintesi molto semplice nella realtà che stiamo vivendo ed in cui siamo immersi.
Già qualcuno prima di me ha rammentato la nota definizione di Von Clausewitz sulla guerra come prosecuzione della politica. Oggi – anche alla luce dei discorsi e delle analisi che abbiamo sentito in questi mesi in Parlamento e nei luoghi della “politica” sulle missioni militari - possiamo affermare che nella fase che stiamo vivendo è “la politica che è diventata la prosecuzione della guerra con altri mezzi”, confessando apertamente di avere gli stessi obiettivi che altri (gli USA ad esempio) pensano di raggiungere con la guerra. L’essenza del multilateralismo dalemiano potrebbe essere tutta qua.
In questo senso la divaricazione tra la politica (quella che fanno i governi e i partiti di governo) e quella che con dispregio viene definita “l’anti-politica” di chi si oppone alla guerra, è già definita nei contenuti e nelle forme dalla realtà stessa.
A tale scopo penso che un po’ tutti debbano ringraziare gli studenti universitari che hanno contestato il Presidente della Camera all’ateneo di Roma, perché hanno fatto crollare un totem che ipotecava ormai arbitrariamente i movimenti e ne hanno riaffermato l’autonomia senza fare sconti per nessuno. In sostanza adesso possiamo e dobbiamo chiedere a tutti: “Dimmi come resisti contro la guerra e ti dirò chi sei e se possiamo essere compagni di strada”. Più o meno la stessa cosa che aveva detto Gino Strada all’assemblea nazionale del 15 luglio dello scorso anno (quella a sostegno dei senatori dissidenti sulla guerra) quando affermò che la discriminante ormai non era più la pace ma la guerra e la posizione contro la guerra.
Vorrei sottolineare un altro aspetto di questo rapporto tra il movimento contro la guerra, la politica e la realtà. Dopo la manifestazione riuscita del 17 marzo scorso contro la guerra a Roma, abbiamo tenuto un SIT IN sotto il Senato molto meno entusiasmante in occasione del dibattito sulla missione in Afghanistan. Ma se noi là fuori non eravamo euforici, il clima dentro al Senato ci è sembrato ancora più plumbeo ed inquietante. I senatori (e prima di loro i deputati) della sinistra che avevano deciso di votare a favore del decreto sulla missione in Afghanistan, davano l’impressione di vivere dentro una commedia di De Filippo e di aspettare che passasse a’nuttata, sperando che una volta passata la tensione del voto tutto potesse tornare come prima. In realtà questa nottata pare destinata a durare molto a lungo e a popolarsi di incubi. Già oggi la realtà ci presenta scenari pesanti e da incubo: non possiamo ancora domandarci a lungo se gli USA e Israele attaccheranno l’Iran ma quando lo attaccheranno e che cosa dobbiamo mettere in campo noi come movimento contro la guerra, anche alla luce della materializzazione di un incubo a lungo rimosso e cioè la possibilità che vengano utilizzate bombe nucleari “tattiche” nei bombardamenti. Parlare di armi nucleari tattiche è un orrendo e inquietante ossimoro esattamente come guerra umanitaria.

Il secondo punto che vorrei affrontare è quello relativo alle mobilitazioni contro la guerra e la militarizzazione. Volevo segnalare l’importanza del fatto che a Sigonella, in Sicilia, ci sia stata una manifestazione di 1.000 persone contro l’allargamento delle infrastrutture civili della base per poter ospitare altri militari USA e le loro famiglie. Mille persone ad una manifestazione contro le basi militari in Sicilia sono importanti come 100.000 a Vicenza e cioè in un contesto assai diverso. Lo sanno bene alcuni compagni che vedo qui e con i quali abbiamo condiviso l’esperienza dei blocchi contro la base di Comiso negli anni Ottanta.
La Rete Disarmiamoli a tale scopo intende mettere in campo nei prossimi mesi la proposta di una Carovana nazionale contro le basi militari e la militarizzazione coinvolgendo tutti i comitati locali nell’organizzazione, gestione e passaggio della Carovana che dovrebbe partire proprio dalla Sicilia per giungere al Nord (con una spedizione dei Mille alla rovescia) passando via via per i siti militarizzati in Puglia, Campania, Lazio, Toscana, Emilia etc. Sabato 15 aprile a Bologna, ci sarà una riunione nazionale su questa proposta (alla saletta dei ferrovieri) alla quale sono invitati tutti i comitati presenti oggi, a cominciare da Vicenza e Novara dove tra l’altro saremo presenti alla manifestazione nazionale del 19 maggio contro l’impianto degli F 35 a Cameri.

L’ultimo punto che voglio toccare e proprio quello di Vicenza. Tra noi dobbiamo essere leali e segnalarci anche i problemi esistenti. L’esperienza di Vicenza e della mobilitazione popolare contro il Dal Molin è oggi l’esperienza più avanzata e di massa di lotta contro le basi militari. Rappresenta la possibilità concreta di interdire l’operatività della macchina bellica e della militarizzazione del territorio. Nel mondo le uniche esperienze che in qualche modo ci sono riuscite totalmente o parzialmente sono quelle del poligono di Vieques a Puerto Rico, in parte a Okinawa in Giappone e a Larzàc in Francia.
Consentitemi di fare un esempio dell’Ottocento. Vicenza oggi è l’esperienza più avanzata ma corre il rischio di diventare come la Comune di Parigi che era l’esperienza di autorganizzazione popolare e rivoluzionaria più avanzata di tutta l’Europa ma rimase isolata e fu stroncata sanguinosamente.
I prussiani fornirono al governo francese contro cui avevano combattuto fino a qualche settimana prima i cannoni e i soldati prigionieri per poter stroncare la Comune che minacciava l’ordine costituito in tutta l’Europa.
Nei prossimi mesi a Vicenza, il movimento non si troverà di fronte solo il governo Prodi ma si troverà di fronte un sistema militarista bipartizan che magari fino al giorno prima è sembrato scannarsi sull’agenda politica e parlamentare. In sostanza il movimento contro la base di Vicenza si troverà contro lo Stato con tutti i suoi apparati, ideologici, economici, mediatici e coercitivi.
L’unico alleato su cui potrà contare è il radicamento popolare e la soggettività politica potenziale rappresentata dal Patto di Mutuo Soccorso con il resto delle realtà dei movimenti sociali.
Questo significa che dovremo lavorare seriamente al rafforzamento del Patto di Mutuo Soccorso contro la guerra e a difesa del territorio ma sulla base di una reciprocità effettiva e con una vera capacità di fare rete a livello nazionale. Non possiamo consentire che Vicenza o la Val di Susa vengano isolate e distrutte come la Comune di Parigi. Grazie.

Intervento tenuto al Global Meeting di Venezia, 1 aprile

Sergio Cararo

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