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Iran, panahi: se non posso fare film, posso immaginare come si fa

Costretto a girare film tra le mura di casa sua, finirà di nuovo in carcere il pluripremiato regista iraniano, Jafar Panahi. Confermata dalla Corte di appello di Teheran, la sentenza a 6 anni di reclusione e il divieto a girare nuovi film per i prossimi 20 anni.

(17 Ottobre 2011)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in nena-news.globalist.it

Iran, panahi: se non posso fare film, posso immaginare come si fa

foto: nena-news.globalist.it

Roma, 17 ottobre 2011 - Non vedremo più le indimenticabili donne di Panahi muoversi sullo schermo di celluloide. Almeno per 20 anni. Così il regime iraniano, con la conferma della sentenza di condanna in Corte d’appello, stronca definitivamente la carriera di Jafar Panahi, pluripremiato cineasta, vincitore del Leone d’oro a Venezia nel 2000 con “Il cerchio”.

Nonostante gli appelli, le petizioni e le mobilitazioni di attori e registi di mezzo mondo, la Corte d’appello di Teheran ha ribadito la sentenza del Tribunale di Teheran, condannando Panahi a 6 anni di carcere, e al divieto per 20 anni di dirigere film, scrivere sceneggiature, rilasciare interviste ai media nazionali e internazionali, vietandogli di lasciare il paese (tranne per motivi di salute o per l’Hajj, il pellegrinaggio alla Mecca). Non vedremo più nemmeno la realtà degli arresti domiciliari, quella che Panahi ha documentato nel suo ultimo lavoro, “This is not a film”, non un film per l’appunto, ma immagini girate sul set cinematografico delle 4 mura domestiche, dove il regista – condannato nel dicembre 2010 – ha trascorso questi mesi in attesa dell’appello, rilasciato a fronte di una cauzione di 200.000 dollari. Arrivato in clandestinità a Cannes quest’anno – c’è chi dice su una chiavetta usb – “This is not a film” è stato infatti girato nella casa del 51enne regista, anche con l’utilizzo di un iphone, e documenta l’attesa del verdetto, i colloqui con il suo avvocato ma anche i film che Panahi ha in testa, le immagini che rimarranno nella sua mente. “Se non posso fare film, posso immaginare come si fa”, dichiarò allora.

I prestigiosi premi vinti - oltre al Leone d’Oro anche il Pardo d’oro a Locarno nel 1997 con “Lo specchio” e il Premio della giuria a Cannes nel 2003 nella sezione Un certain regard con il noir “Oro rosso” e poi ancora l’Orso d’Argento a Berlino nel 2006 con “Offside” - nella sua carriera, non lo hanno salvato dalla scure del regime iraniano; a nulla è valsa la sua “presenza assente” ai festival di cinema internazionale: a nulla è valso che le immagini nel 2010 a la Croisette della bellissima Juliette Binoche in lacrime davanti alla poltrona vuota – dove avrebbe dovuto sedersi il regista, come membro della giuria, se il suo governo gli avesse consentito di lasciare il paese – abbiano fatto il giro del mondo. La sua condanna vuole essere da esempio a chiunque si azzardi ad usare il cinema, come altre forme d'arte, in quanto veicolo della libertà di espressione. L’ "arresto di un’idea” come l’ha definito il giornalista e scrittore iraniano Ahmad Rafat.

Torna in carcere quindi Panahi, perché “scomodo” per il regime che lo accusa di aver “agito contro la sicurezza nazionale e di aver fatto propaganda contro il regime”, per aver voluto raccontare – con la sua arte –e aver sostenuto l’Onda verde, ovvero il movimento di protesta giovanile in seguito alla rielezione del presidente Ahmadinejad, nel giugno del 2009. Torna in carcere anche Mohammad Rasoulof, 38 anni, di Shiraz, altro regista iraniano vittima del sistema, altra "presenza assente" lo scorso maggio a Cannes, con il film “Au revoir”, “Arrivederci”, con una condanna ridotta però a un anno di reclusione contro i sei del verdetto iniziale.

Dopo averlo arrestato per aver partecipato agli eventi commemorativi di Neda Agha Soltan, la giovane donna uccisa nel corso delle proteste che seguirono le elezioni nel 2009, il regista è già stato vittima in questi due anni di una serie di divieti e restrizioni, volte a estrometterlo dal contesto cinematografico internazionale e a silenziare la sua voce. Ora lo si condanna definitivamente all’isolamento culturale.

"Mi hanno condannato a 20 anni di silenzio (…)cercherò nei film degli altri i miei sogni, cercando di trovarvi ciò di cui io sono stato privato". Disse nel suo messaggio letto da altri (la Rossellini) indirizzato al Festival di Berlino, dove Panahi non è mai arrivato. “So già che nella mia mente continuerò a girare i miei film dando corpo ai miei sogni”. Nena News

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