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USA. 46 milioni di poveri

USA. 46 milioni di poveri

(28 Settembre 2011) Enzo Apicella
I poveri negli USA sono 46 milioni, il 15% della popolazione. I due terzi di questi poveri lavorano, ma per un salario da fame

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Il partito operaio

(22 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.operaicontro.it

L’inizio fu un partito operaio informale.

Organizzarsi ed agire come operai è gia un programma, nel momento in cui gli operai, come tali, si riuniscono e cercano una via d’uscita dalla loro precaria condizione sociale trovano già, in questa ricerca, i mezzi e i modi per attuarla. Non hanno bisogno di un programma già pronto, elaborato in tutti i particolari, un elenco di obiettivi a metà strada fra grandi fanfaronate e piccoli effimeri risultati.

Questo partito si installa ed esprime la sua forza in un territorio che non è geografico, locale o nazionale: è un territorio sociale. La fabbrica, o qualunque luogo di lavoro dove esiste una comunità operaia è il territorio del partito operaio, lì bisogna condurre una lotta senza quartiere ai partiti politici delle altre classi.
L’influenza politica sugli operai viene da fuori da questo territorio, i partiti politici prendono gli operai a casa, nei quartieri, cittadini fra cittadini, il partito operaio ha a sua disposizione un territorio abbandonato dalla politica. Nella divisione dei poteri tocca al padrone la gestione dei suoi uomini, direttamente, nessuna interferenza è consentita, la produzione è sacra. può sfruttare a suo favore questa situazione, la comunità operaia può riempire questo spazio vuoto, trovare in se, in modo indipendente, un modo di agire politico che gli sia proprio.
gestisce la resistenza degli operai oltre il vecchio sindacalismo collaborazionista. Il sindacalismo del “meglio questo che niente” viene travolto dalla crisi economica che riserva agli operai il niente e il meno di niente. Invece di prendere forza dalla crisi economica, come prova del fallimento del modo di produzione fondato sul profitto, i vecchi sindacalisti si accordano per gestire socialmente la miseria operaia con gli ammortizzatori sociali, in attesa che passi la bufera. Mettiamo invece il caso che la bufera non passi velocemente, che il superamento della crisi richieda sacrifici insopportabili, mettiamo ancora che nella resistenza agli effetti della crisi gli operai si convincano che questo modo di produzione e di scambio ha fatto il suo tempo e deve essere superato, verso quali prospettive dobbiamo muoverci? Non toccherà forse al partito operaio informale iniziare ad elaborare delle risposte?

L’estraneità di consistenti settori operai verso i classici partiti parlamentari si manifesta in tutti i modi, non tanto attraverso l’astensione, per quanto è un fenomeno quantitativamente rilevante ma soprattutto nella militanza, nell’apporto concreto a sostenere questo o quel progetto politico. I partiti che conosciamo pescano i gruppi dirigenti e i militanti da altre classi, sono espressione di altre classi. Alla base della militanza dei partiti che si dicono “dei lavoratori” nella migliore delle ipotesi troviamo maestri, impiegati, tecnici, mai operai. Gli operai hanno prodotto invece, da quando sono comparsi sulla scena sociale, organizzatori, agitatori e propagandisti che hanno messo nel sacco partiti con grandi mezzi e grandi sostegni economici.
Gli operai non possono più produrre oggi un ceto politico siffatto? Non possono più produrre militanti della loro causa? Negare questa possibilità conviene ad altri non a noi stessi, dipende per quale partito bisogna impegnarsi, per quale partito iniziare a militare, ed una possibilità oggi è data: si può diventare militanti ed organizzatori di un nostro partito, per un partito operaio, o almeno muovere in questa direzione i primi passi. I programmi, le forme organizzative le scopriremo insieme mano a mano che ci costituiremo in classe e con ciò in partito politico indipendente.

All’inizio ognuno resti dove è, continui a simpatizzare o mostrare interesse verso le formazioni politiche che vuole, partecipi all’attività di comitati, centri sociali, di questo o quel sindacato di base o di vertice, il partito operaio informale non chiede atti di fede, chiede solo che si inizi a ragionare ed agire in quanto operai, ad elaborare e sostenere un proprio punto di vista su tutte le questioni che ci riguardano direttamente. La grande crisi dissolve la nebbia che aveva tenuto nascosti i contrasti di interessi su cui si regge questa società, dov’è finito il lavoro produttivo di milioni di operai di questi anni? Nelle tasche dei padroni, nelle casse delle banche, negli stipendi d’oro dei funzionari statali. Agli operai briciole ed ora la miseria. La cosa divertente è la sfrontatezza con cui chiedono a tutti, noi compresi, di fare squadra comune per superare la crisi. Ma la crisi è la crisi del loro sistema, il loro modo di accumulare ricchezza sul nostro lavoro ad un certo punto è collassato e noi come caproni senza intelletto dovremmo oggi ancora accettare sacrifici per farli arricchire ancora di più aspettando una nuova e più sconvolgente crisi? Benvenuta la grande crisi, le rivoluzione sociali maturano la dove la vecchia struttura economica non è più in grado di proseguire il suo processo di accumulazione, la ribellione degli operai è oggi veramente possibile, il lavoro direttamente produttivo degli operai può servire per un’altra formazione sociale senza padroni, banchieri, funzionari ben pagati dello stato, può servire agli operai stessi.

Non abbiamo tempo, i padroni ad un certo punto avranno bisogno di centralizzare il comando sulla società, di ridefinire i rapporti fra le classi per rimettere in piedi il processo di accumulazione, saranno loro stessi a mettere in discussione il funzionamento politico istituzionale dello Stato. Se la forma democratica non gli servirà più saranno i primi a chiederne il superamento. Non condanniamoci ad essere fra coloro che difendono sempre il passato, oltre la Repubblica dei padroni, nella successione storica, può esserci anche la Repubblica operaia. Se ai padroni, per salvare i loro capitali serviranno prove di forza sul mercato mondiale andranno per “necessità verso la guerra” Questi continui richiami all’unità nazionale vanno in questa direzione. Chi potrà fermarli se non gli operai che sono una classe internazionale? Operai non abbiamo tempo, una organizzazione di partito è necessaria, presente in ogni fabbrica, che inizia a costituirsi senza inutili formalità ma che comincia già oggi ad agire. Non è nemmeno un caso che ogni tanto qualcuno si ricordi che esistono gli operai reali, in carne ed ossa e che nessuno sia in grado di rappresentarli politicamente, siamo all’assurdo che la Lega di Bossi si arroghi la capacità di rappresentare anche fasce di operai “del Nord” aprendo qualche sezione nelle fabbriche, proprio la Lega, che rappresenta i peggiori padroncini e padroni che per fare profitti sono capaci di uno sfruttamento operaio inaudito. imponendosi sul territorio che le è proprio, la fabbrica, li farà ballare tutti, scioglierà la farsa interclassista dei Padani e là dove c’è il padrone ci sarà l’operaio a fargli una lotta senza quartiere. La terribile lotta fra le classi che tanto fa paura, anche alla Lega di “lotta e di governo”.

Ora tocca fare qualche appunto al nostro campo, ai lavoratori colpiti dalla crisi ed a coloro che in qualche modo dicono di rappresentarli. La struttura sociale in Italia produce e riproduce parrocchie politiche. Non solo siamo di fronte ad una massa di artigiani, di bottegai, ma anche di lavoratori indipendenti e poi di dipendenti statali, liberi professionisti. Impiegati di produzione gestori dello sfruttamento operaio…Ognuno con interessi economici particolari e particolari interessi politici.
E anche vero che la crisi sta producendo una discesa verso il basso di quanti si illudevano di aver trovato una collocazione lavorativa soddisfacente. Il malcontento cresce fra tutti i lavoratori, questo è il prodotto della grande crisi. Le risposte politiche che ognuno di questi settori dà risentono dalla particolare condizione sociale che li contraddistingue. Se sono dipendenti statali vogliono la difesa del “pubblico”, se sono impiegati del commercio vogliono una politica espansiva dei consumi, se sono ricercatori l’incremento della ricerca nazionale, e così avanti…Tralasciamo qui la particolare mania di inventarsi partiti di sinistra a sinistra di Rifondazione, ad ognuno la sua speranza di rientrare in gioco nei consigli regionali comunali o in parlamento. Parliamo qui dei diversi tentativi di dare vita a coordinamenti, comitati, sindacati di base, dei centri sociali che si fanno concorrenza, dei comitati di studenti in lotta per l’egemonia e diciamo loro che senza l’insorgenza degli operai non esiste una vera alternativa al sistema, che senza la centralità operaia le piccole parrocchie non potranno essere superate.
Costituire da subito, anche se in modo informale, un partito operaio è nell’interesse di tutti coloro hanno intenzione di usare la grande crisi per mettere in discussione questo modo di produzione e di scambio. Dal lamentoso “la crisi non la vogliamo pagare” passeremo al grido di battaglia “padroni vi chiederemo il conto della crisi”.
Ma se il costituirsi degli operai in partito viene riconosciuto come un fatto nuovo, centrale, un contributo può venire anche da quei militanti non operai, che faticosamente, per propria esperienza, per acquisizione teorica, sono giunti a capire il ruolo che hanno gli operai nella possibilità di superare questo sistema.

Passare dal parlare di partito operaio a costituirlo è un salto molto difficile, quasi impossibile, ma le missioni impossibili si possono rilevare le uniche che realizzate producono grandi risultati. Alla INNSE il partito operaio informale ha dimostrato cosa può fare una comunità operaia, unita, che sa dove andare. Perché non tentare in altre fabbriche la stessa pratica organizzativa? In poche parole è così difficile riconoscersi e costituirsi in ogni luogo di lavoro, fra operai, come sezione di un partito ancora informale che si va definendo? La risposta può venire solo dalle fabbriche. Nel momento in cui ci renderemo conto reciprocamente che questo progetto può iniziare a camminare potremo cominciare con riunioni pubbliche nei diversi centri industriali e passare a nuovi livelli di ragionamenti. I preti laici delle piccole e piccolissime parrocchie politiche, che si richiamano ai lavoratori, esamineranno questa proposta con sufficienza, la bocceranno senza appello come settaria, o cercheranno di farla passare sotto silenzio. Ma hanno fallito su tutta la linea, quando parlano in pubblico addormentano la gente con le solite litanie sulle lotte mai organizzate, sulla generalizzazioni delle iniziative che si risolve in un accordo privato fra due o tre individui, sulle chimere di un grande movimento che mai si muoverà, sui loro fumosi obiettivi. Ebbene se gli operai più avanzati non riusciranno a fare i conti con questi personaggi sarà ben difficile andare verso il partito operaio, ma anche da questo lato la crisi ci sta dando una mano, lo scontro fra operai e padroni si fa sempre più serio e tante chiacchiere su una gestione politica di sinistra del capitalismo riformato hanno fatto il loro tempo.

Queste note sono state discusse e redatte da alcuni operai della INNSE, sono gli stessi che hanno gestito la lunga lotta e che si sono guadagnati sul campo il rispetto di tanti e tanti che li hanno sostenuti, quello che chiediamo è prima di tutto, nel bene e nel male, una risposta agli interrogativi che abbiamo posto. Meglio del silenzio, dell’indifferenza …La nostra intenzione è rispondere a tutti. Se arriveranno adesioni convinte al progetto, nel più breve tempo possibile, prima dell’estate, organizzeremo una riunione pubblica per incontrarci e definire le tappe successive. All’ordine del giorno non sarà la consumata voglia di coordinare le lotte, il come uscire dalla crisi senza il coraggio di guardare oltre il capitalismo, il come salvare il salvabile. Faremo semplicemente il punto sull’organizzazione degli operai in partito, registreremo le fabbriche in cui può o si è gia costituito, discuteremo su come centralizzare la sua azione. Questa può essere veramente la svolta politica a cui ci ha spinto la grande crisi, sarebbe un risultato di portata storica, dipende da noi.

www.operaicontro.it

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