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Compagni disobbedienti, non è mai troppo tardi...

lettera aperta del Forum Palestina

(6 Giugno 2002)

"Non è mai troppo tardi" era il titolo di uno storico programma televisivo degli anni 60 che – rivolgendosi alle fasce di popolazione che non avevano avuto l’opportunità di frequentare la scuola – contribuì a sradicare l’analfabetismo in Italia. Non è mai troppo tardi per capire, imparare, riflettere.
La riflessione aperta dai Disobbedienti a seguito dell’evidente stato di crisi del "movimento dei movimenti" e, soprattutto, delle sue forme di rappresentanza, dunque, va accolta con rispetto e merita un’interlocuzione serena e costruttiva.

Preso atto del fallimento delle ultime mobilitazioni, in particolare di quella contro il vertice NATO - Russia di Pratica di Mare, nonché delle sperimentazioni elettorali (che hanno conferito alle liste "di movimento" percentuali da prefisso telefonico), i Disobbedienti si interrogano sulla chiusura del ciclo espansivo che da Seattle è arrivato a Genova e sulla deriva burocratica assunta da molti Social Forum, trasformati "in una sorta di modellino preconfezionato e scontato". Dal servizio del Manifesto di oggi, infine, appare anche una dura critica alle manifestazioni degli ultimi mesi a favore della Palestina, che avrebbero riproposto "i termini vecchi e angusti della mobilitazione classica e rituale", provocando lacerazioni che "sono state un regalo all’apartheid di Sharon".

Per parte nostra, come contributo alla riflessione generale e senza alcuna volontà polemica, vorremmo far notare solo tre questioni:

1 – Se il ciclo espansivo del movimento di Seattle si è chiuso a Genova, cioè nel luglio 2001, come mai se ne prende atto a distanza di un anno, perdipiù un anno in cui si è insistito ossessivamente sulla centralità totalizzante di quel movimento?

2 – La deriva burocratica di molti Social Forum, a cominciare dall’esemplare caso romano, è stata messa in luce da molti sin dall’autunno scorso, quando è apparso evidente che si trattava di organismi egemonizzati da questo o quel ceto politico, più simili agli "intergruppi" di antica memoria che a luoghi di espressione e organizzazione di quel che si muove nella società.

3 – Sui regali a Sharon, infine, i più graditi glieli hanno fatti coloro che hanno tentato prima di ignorare e poi di stravolgere il grande moto di solidarietà al popolo palestinese che ha preso corpo nei mesi scorsi e che ha prodotto le grandi manifestazioni che tanto hanno preoccupato le lobby israeliane (sia di destra che di centrosinistra) da indurle ad esercitare ogni sorta di pressione nei confronti dell’informazione e della politica: sono di questi giorni le minacce telematiche e le pressioni verso i parlamentari e i consiglieri comunali colpevoli di aver aderito al boicottaggio dell’economia di guerra israeliana e di averne denunciato le connessioni italiane. Boicottaggio che, sia detto per inciso, anche i Disobbedienti hanno proclamato e rispetto al quale siamo ovviamente pronti a confrontarci sulla concretezza dell’iniziativa.

Se a questi tre elementi di riflessione ne aggiungiamo un quarto – quello riguardante le grandi mobilitazioni del sindacalismo di base, sostanzialmente ignorate dai Disobbedienti e da molti Social Forum – possiamo dire che emerge un quadro diverso da quello delineato nell’intervista al Manifesto di oggi. Non si tratta di problemi connessi al "meccanismo di riconoscimento, condivisione e attrazione dei Social Forum" o alla mitica "piazza"; siamo in presenza, a nostro modesto avviso, di un tornante politico di valenza strategica, non a caso evidenziatosi in occasione delle mobilitazioni del sindacalismo di base e di quelle per la Palestina. Per farla breve, ci sembra che il nodo da sciogliere sia quello dell’erosione irreversibile dei margini di praticabilità di quella che potremmo definire "globalizzazione temperata", compreso il suo risvolto liberista moderato sul terreno delle relazioni economiche e produttive.

Quella "globalizzazione temperata" e quel "liberismo moderato" che costituiscono i cardini della politica del centrosinistra italiano, sindacati confederali compresi, e che mal si conciliano con l’altro mondo possibile delineato a Porto Alegre, ma anche a Durban. La deriva burocratica dei Social Forum non è una figlia di nessuno: è la risultante del tentativo di ingessare il movimento nello schema – vecchio come il riformismo imbelle – della rappresentanza per ceti politici e della finalizzazione verso percorsi eterodiretti, come quelli elettorali, che hanno l’obiettivo dichiarato di

relegare l’antagonismo e l’alterità al ruolo di massa d’urto per riequilibrare gli assetti politici e i rapporti di forza nel centrosinistra. Non c’è da stupirsi che il movimento si sia sottratto a questa pantomima, cioè che decine di migliaia di uomini e di donne stiano cercando altre strade dai Social Forum per organizzarsi ed esprimersi. La riflessione aperta dai Disobbedienti, per quanto tardiva ed autoreferenziale, è un fatto positivo, come sempre quando si mettono da parte pruriti egemonici e si rimette in moto il dibattito; siamo intenzionati a seguirne gli sviluppi e a dare a nostra volta un contributo ad una ricerca che appare una necessità per tutti.

Roma, 6.6.2002

FORUM PALESTINA

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