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Il referendum catalano è solamente un tentativo della borghesia catalana di evitare la rivoluzione sociale

(7 Novembre 2012)

Il referendum proposto dal presidente della Generalitat de Catalunya, Artur Mas i Gavarrò, è il tentativo della borghesia catalana di separare la classe salariata e la piccola borghesia rovinata catalane dal movimento di lotta anticapitalistico in tutto lo stato iberico, che nella lotta dei minatori asturiani ha toccato il punto più alto raggiunto fino ad ora. Artur Mas i Gavarrò è il 129° presidente della Generalitat de Catalunya, presidente della federazione di di Convergenza e Unione (Convergència i Uniò -CiU) e segretario generale di Convergenza Democratica di Catalogna, formazioni di centrodestra. Un bell’accumulo di cariche per un anticentralista.
La marcia catalanista dell’11 settembre è stata indetta dall’Assemblea Nazionale Catalana, o meglio da Convergenza e Unione (maggioranza relativa nel parlamento regionale), da Iniziativa per la Catalogna Verde, da Sinistra Repubblicana di Catalogna e da Solidarietà catalana per l’Indipendenza. Sotto il governo di Convergenza e Unione la polizia regionale si è scatenata contro il movimento di lotta della classe salariata catalana occupata e disoccupata.
I partiti catalanisti della borghesia catalana in vista delle prossime elezioni regionali attingono dall’etno-romanticismo d’accatto per galvanizzare la piccola borghesia in crisi e gli strati arretrati delle masse popolari col romanticismo nazionale. In Catalogna il catalinismo di sinistra borghese, coagulato nella formazione storica Sinistra Repubblicana di Catalogna (Esquerra Repubblicana de Catalunya, fondata nel marzo del 1931), non ha avuto una tradizione democratico rivoluzionaria. Un solo esempio: la sera del 18 luglio 1936 alla richiesta dell’armamento generale del popolo formulata dalla CNT e dalla FAI, Lluis Companys, presidente della Generalitat ed esponente massimo di Esquerra Repubblicana de Catalunya, rifiutò di consegnare le armi. I lavoratori e le lavoratrici anarchici di Barcellona si procurarono le armi con ogni mezzo e con l’aiuto di alcuni elementi delle guardie d’assalto si impadronirono di intere rastrelliere di fucile di proprietà dello Stato. Le automobili vennero requisite per assicurare rapide comunicazioni fra gli insorti. In Catalogna si sviluppò un dualismo dei poteri tra la borghese Generalitat della Catalogna e il Comitato Centrale delle Milizie Antifasciste di Catalogna. Il programma del Comitato Centrale delle Milizie antifasciste di Catalogna era il seguente: “Controllo operaio della produzione, che risvegli al più alto grado l’iniziativa e l’entusiasmo del proletariato. Mobilitazione delle masse armate, indipendenti dal controllo del governo. Vigilanza contro il tradimento da parte del governo e nessuna rinuncia, neanche per un momento, alla critica più netta nei sui confronti. E il coinvolgimento dei contadini nella lotta attraverso la sola parola d’ordine che può rivitalizzare l’arretrata e affamata campagna: LA TERRA A CHI LA LAVORA!”. Il Comitato Centrale delle Milizie era in maggioranza composto dagli anarchici della CNT-FAI, guidati dai due grandi rivoluzionari Buenaventura Durruti e Francisco Ascaso, e dal Partido Obrero de Unificacion Marxista. I socialisti dell’UGT e gli stalinisti del Partito Socialista Unificato di Catalogna erano un infima minoranza. Il trotskista americano Felix Morrow giudicava il programma del Comitato Centrale delle Milizie “identico a quello agitato dai bolscevichi nell’agosto 1917 durante la lotta contro la controrivoluzione di Kornilov”. Il proletariato catalano comprese: “che la guerra civile deve essere combattuta con metodi rivoluzionari, e non con gli slogan della democrazia borghese. Egli capisce che la guerra civile non può essere combattuta solo con metodi militari, ma che i metodi politici, ridestando le grandi masse all’azione, possono persino strappare l’esercito ai suoi ufficiali reazionari. Egli dirige la lotta, al fronte e nelle retrovie, non tramite agenzie del governo ma attraverso organi controllati dalle organizzazioni proletarie”, per questa ragione la Catalogna era “la fortezza più inespugnabile della guerra civile”( Felix Morrow).
Questa è la tradizione delle masse della Catalogna e non il mito di Rafael Casanova, giurista catalano (1660-1743), che nella guerra di successione spagnola (1702-1714) si schierò dalla parte degli Asburgo. Rivendicare a Rafael Casanova un progetto nazionale catalano è puro etno-romanticismo reazionario e come tutti i prodotti di questa ideologia è una falsificazione storica.
Dalla sua propria tradizione la classe salariata catalana può assorbire altra linfa per la lotta rivoluzionaria di oggi nello stato iberico e nell’Unione Europea.
I successi elettorali del Partito nazionale scozzese e della Nuova Alleanza Fiamminga (NieuwVlaamse Alliantie , N-VA), partito di destra fiammingo sono utilizzati, al pari del catalanismo, per dividere la classe salariata scozzese e quella fiamminga dal resto della classe salariata europea. In cambio di questo servigio all’oligarchia finanziaria europea, questi partiti richiedono una fetta più grande, rispetto all’attuale, del bilancio dell’Unione Europea, questo è il contenuto politico dello slogan della manifestazione dell’11 settembre 2012 a Barcellona, “Catalunya, nou estat d'Europa” ("Catalogna, nuovo stato d'Europa"). La “multitudinaria manifestazione di indipendenza che ha riempito le strade di Barcellona lo scorso 11 settembre” ( Adriano Cirulli- Lo strappo della Catalogna) dimostra solamente che il partito al governo in Catalogna è in grado di sfruttare a suo vantaggio le lotte contro la politica economica del governo di Madrid, data l’assenza di una direzione rivoluzionaria centralizzata nell’UE. La conferenza delle forze rivoluzionarie europee non è ulteriormente rinviabile.
Al contrario di Rosa Luxemburg, Lenin considerava ineluttabili, nell’epoca dell’imperialismo, le guerre nazionali. La lotta e la guerra di liberazione nazionale sono un prodotto stesso dell’imperialismo, del capitalismo nell’epoca della sua decadenza. Contrariamente al mito dell’armonico sviluppo del capitalismo proprio dell’economia politica classica, il capitalismo procede in modo diseguale e combinato producendo dei veri e propri salti di qualità nei popoli che entrano nella storia mondiale per l’internazionalizzazione del modo di produzione capitalistico. Le guerre di liberazione nazionale non sono estrinseche al processo rivoluzionario mondiale. Fu proprio la rivoluzione d’Ottobre ad accelerare l’apparizione di guerre e movimenti anticoloniali nei paesi dominati dall’imperialismo non solo in Africa, Asia ed in America latina ma anche in Europa, la più antica potenza imperialista. Lenin dall’eroica insurrezione irlandese il giorno di Pasqua del 1916 traeva un’importante lezione sulla lotta delle nazione oppresse in Europa: queste lotte “condotte fino in fondo con insurrezioni e combattimenti di strada, in grado di abbattere la ferrea disciplina militare e la legge marziale, porterebbe la crisi rivoluzionaria in Europa ad un grado infinitamente superiore di una ribellione in una lontana colonia. Il colpo dato alla borghesia imperialista inglese da una ribellione in Irlanda è cento volte più importante che un colpo dato in Africa o in Asia”. (Sull’insurrezione irlandese del 1916). Ma l’importanza del colpo dato all’imperialismo inglese è dovuta, anche, al ruolo decisivo assunto dalla giovane classe operaia irlandese nella lotta contro l’imperialismo britannico. Lo chiarisce Trotsky in un articolo dedicato all’insurrezione di Pasqua (Sugli eventi di Dublino (Irlanda 1916) )”: “ la borghesia commerciale e industriale irlandese, nella misura in cui essa si è formata nel corso del decenni passati, ha immediatamente adottato una posizione antagonistica di fronte al giovane proletariato irlandese, rinunciando alla lotta rivoluzionaria nazionale e raggiungendo il campo dell’imperialismo. La giovane classe operaia irlandese, formandosi nell’atmosfera satura dei ricordi ereoici delle ribellioni nazionali e confrontandosi con l’arroganza egoista, limitata, imperialista, del sindacalismo britannico, esita naturalmente tra il nazionalismoe il sindacalismo, sempre pronta a unire queste due concezioni nella sua coscienza rivoluzionaria. Essa attira la giovane élite intellettuale e le entusisaste personalità nazionaliste, che, a loro volta, impongono al movimento la preponderanza della bandiera verde su quella rossa”. E’ evidente che per il marxismo nella lotta per la liberazione nazionale, la classe operaia della nazione oppressa deve lottare per conquistare l’egemonia contro la stessa borghesia nazionale oppressa e quella opprimente. La lezione del XX secolo sull’Irlanda e sulle formazioni nazionaliste è che non poggiandosi sulla classe operaia e su un programma di espropriazione della borghesia imperialista e indigena non si risolve né la questione nazionale né la questione sociale. L’Irlanda che è venuta fuori dal Trattato Anglo-Irlandese del 6 dicembre 1921 è divisa, le sei contee dell’Ulster sono sotto l’oligarchia finanziaria inglese; la Repubblica irlandese è una succursale della finanza britannica ed internazionale e il Sinn Fein governa col Democratic Unionist Party le sei contee dell’Ulster sottomesse alla Gran Bretagna. Martin Mc Guinness, ex capo dell’IRA, ora vice primo ministro delle sei contee, il 26 giugno 2012 ha stretto la mano ad Elisabetta d’Inghilterra. In Una intervista alla BBC ha dichiarato che “ora si tratta di tendere la mano della pace e della riconciliazione alla regina Elisabetta, che rappresenta centinaia di migliaia di unionisti nel nord. Si tratta dimostrare agli unionisti del nord che siamo preparati a rispettare ciò in cui loro credono, sebbene noi restiamo repubblicani irlandesi. Sono un repubblicano irlandese ora e lo sarò ancora dopo aver incontrato la regina Elisabetta”. La riconciliazione con il criminale imperialismo britannico.
Sulla questione sarda che esplose nel primo dopoguerra imperialista con il movimento rivoluzionario della piccola borghesia rurale, il movimento sardista, che occupava i latifondi, assaltava caserme, assaltava municipi e si proponeva l’abbattimento dello stato unitario monarchico da sostituire con una repubblica democratica federale, i comunisti, al V congresso del PSd’A, chiamarono i sardisti a lottare per la Repubblica sarda dei consigli degli operai, dei minatori e dei pastori nel quadro della federazione soviettista d’Italia. Proponeva ai sardisti di battersi per espropriare le banche e centralizzarle in un'unica banca di proprietà della Repubblica dei consigli. Su questo punto centrale di ogni programma rivoluzionario un fronte unico era possibile. I sardisti nel Programma di Macomer sostenevano, seppur in modo confuso, delle forme di nazionalizzazione che colpivano, il governo centrale, le cricche isolane e gli industriali lattiero-caseari del continente, i nemici di classe dei pastori. I sardisti rivendicavano, secondo la tradizione democratico rivoluzionaria, la “Nazione armata al solo scopo della difesa da oppressioni. La gioventù sarda imparerà nelle scuole l’uso delle armi per essere pronta ad una sciagurata ipotesi di difesa della nazione. I combattenti vogliono l’immediato scioglimento dei reparti regionali: la Brigata Sassari, i Battaglioni CC.RR., Guardie Regie e Guardie di Finanza. Non per piazze deve essere deriso chi rappresenta una stirpe orgogliosa della sua gloria, né la Sardegna può soffrire di diventare il deposito dei poliziotti d’Italia. L’arruolamento in questi corpi speciali deve essere abolito”.
Oggi il compito dei comunisti in Sardegna è quello di unificare la classe lavoratrice per instaurare un governo rivoluzionario dei lavoratori che espropri il sistema creditizio presente nell’isola e le grandi imprese private e regionali ponendole sotto il controllo dei lavoratori, avvii un piano di risanamento del sistema stradale, ferroviario; riduca l’orario di lavoro, aumenti i salari e metta mano ad un piano per la piena occupazione; riorganizzi il sistema scolastico dall’infanzia all’università secondo i criteri della pedagogia socialista e del razionalismo materialista, promuova una nuova generazione di insegnanti competenti e colti; difenda l’infanzia assicurandone lo sviluppo armonico. Questo è l’unico programma che libererà le masse sarde dall’oppressione presente e da quella storica. Su questo programma ci confronteremo con i compagni e le compagne di A Manca pro s’Indipendentzia quando si renderanno conto che la rivendicazione della zona franca - che sono stati costretti ad accettare facendo parte dello squallido cartello elettorale, i cui artefici pomposamente ed abusivamente hanno chiamato “Consulta rivoluzionaria”- li pone sul fronte anticomunista.

Di fronte alla rivendicazione della sovranità di una nazione oppressa i marxisti fanno la scelta di sostenerla se la lotta per essa infligge un colpo al capitalismo, ovvero se il proletariato della nazione oppressa e quello della nazione che opprime se ne avvantaggiano nella lotta per la conquista del potere. Il resto sono fumoserie anticomuniste ed antiproletarie.


5 novembre 2011

PCL-sezione provinciale di Sassari

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