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LE ESTATI DEI MISTERI ITALIANI: LUGLIO 1964, “PIANO SOLO”

(2 Luglio 2013)

antosegn

Antonio Segni

Nel corso della storia d’Italia il mese di Luglio è sempre apparso come favorevole allo svolgersi di avvenimenti importanti ed anche avvolti in certo alone di mistero: dal 25 luglio 1943 con la caduta di Mussolini, al Luglio del 1948 con l’attentato a Togliatti e ancora al Luglio del 1960 quando moti di piazza costrinsero alle dimissioni il governo Tambroni appoggiato dal Movimento Sociale.

In quest’occasione ci occuperemo, invece, di ricostruire , in modo del tutto schematico, quanto accadde nel Luglio del 1964 : in quell’estate, infatti, scrive Mimmo Franzinelli, autore di un fondamentale saggio sull’argomento: “Il Piano Solo, i servizi segreti, il centro – sinistra e il “golpe” del 1964” (Mondadori Editore, 2010): “ il generale Giovanni De Lorenzo, comandante dell’Arma dei Carabinieri e il Presidente della Repubblica Antonio Segni, predisposero un piano d’emergenza che prevedeva il controllo del Paese da parte dell’Arma e l’arresto di centinaia di attivisti di sinistra”.

Andiamo comunque per ordine.

Nel 1964 l’Italia era governata , da alcuni mesi, dal primo centro – sinistra a presenza socialista, guidato da Aldo Moro e contrastato dal presidente Antonio Segni, che ricercava soluzioni alternative.

Il Capo dello Stato aveva a fianco in questa sua battaglia personalità quali il presidente del Senato Cesare Merzagora, il governatore della Banca d’Italia Guido Carli e il ministro del Tesoro, Emilio Colombo.

Il Presidente della Repubblica giudicava il centro – sinistra quasi come un “cavallo di Troia” attraverso cu i comunisti sarebbero arrivati al potere.

Per scongiurare il peggio, Segni si affidò essenzialmente ai carabinieri, il cui comandante Giovanni de Lorenzo aveva diretto fino al 1962 il Servizio Informativo delle Forze Armate (SIFAR) al riguardo della cui direzione manteneva comunque una forte influenza.

In una democrazia fragile, com’era all’epoca quella italiana e a meno di quattro anni dai sanguinosi incidenti che avevano estromesso il monocolore DC Tambroni, governo “presidenziale” voluto dal precedente Capo dello Stato, Giovanni Gronchi e sostenuto dai neofascisti dell’MSI, il rischio di un’ulteriore prova di forza poteva ben essere considerato reale.

Tanto più che per la prima volta dalla fine della guerra, il Paese attraversava un’emergenza economico – finanziaria (la cosiddetta “congiuntura”) e per l’autunno si prevedevano milioni di disoccupati.

La crisi era acuita dalla divisioni interne alla DC, incapace in quel momento di decidere con gli strumenti ordinari del dibattito politico in quale direzione procedere; veti incrociati e ambizioni dei capi – corrente mantenevano la situazione in uno stato di stallo, mentre cresceva un pericoloso dualismo tra Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio.

Lo scenario ipotizzato da Segni e dai suoi consiglieri prefigurava, una volta ottenute le dimissioni di Moro, l’incarico a una personalità centrista per un monocolore o un esecutivo tecnico – presidenziale che, minoritario in Parlamento, avrebbe comunque gestito le elezioni anticipate.

In tale eventualità era prevedibile una saldatura tra i socialisti esclusi dal governo e i comunisti, in una straordinaria mobilitazione, com’era già avvenuto nel luglio del 1948 dopo l’attentato a Togliatti e di nuovo, com’è già stato ricordato, nel luglio 1960 contro Tambroni.

Di qui la predisposizione di un intervento: il cosiddetto “Piano Solo” (“Solo” perché affidato esclusivamente all’arma dei carabinieri) elaborato come estensione (e autonoma) del “Piano Emergenza Speciale” diramato dal capo della Polizia nel novembre del 1961, quando la crisi internazionale di Berlino sembrava presagire situazioni di guerra tra Est e Ovest.

Su Segni si concentrarono tensioni istituzionali e disfunzioni del sistema alimentate da informazioni che raffiguravano il Paese sull’orlo della bancarotta : un’ossessione per il Capo dello Stato che arriva far registrare segretamente, da parte del comandante Emanuele Cossetto (ex-ufficiale dei servizi segreti della Marina) i colloqui con le delegazioni ricevute al Quirinale.

Nelle consultazioni avviate al momento delle effettive dimissioni rassegnate da Moro, fu coinvolto direttamente lo stesso generale de Lorenzo: l’Arma dipendeva dal Ministero dell’interno ma Segni si comportò come se ci si trovasse in una Repubblica Presidenziale e il Capo dello Stato potesse disporre dei carabinieri per la gestione dell’ordine pubblico.

Il progetto di Segni però non riuscì a concretizzarsi, perché le segreterie dei quattro partiti di maggioranza (DC,PSI,PSDI,PRI) indicarono nuovamente il nome di Moro come Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica, in linea con la Costituzione, fu costretto a conferire nuovamente l’incarico al Premier uscente.

Il quadro internazionale, del resto, appariva avverso ai disegni del Capo dello Stato: all’indomani dell’assassinio di Dallas il nuovo presidente americano Lindon B. Johnson aveva riconfermato il “nuovo corso” kennediano che, per quel che riguardava l’Italia, prevedeva un appoggio al centro – sinistra, in chiave di isolamento del PCI.

I canali diplomatici aggiornarono le autorità di Washington sui fermenti italiani: dalle analisi di de Lorenzo sull’ordine pubblico ai programmi di tipo gaullista del movimento Nuova Repubblica costituito nel marzo del 1964 dall’ex ministro della Difesa (e comandante delle Brigate Garibaldi durante la guerra di Spagna) il repubblicano Randolfo Pacciardi.

Ma i settori oltranzisti dell’apparato militare e del mondo politico non ottennero il sostegno statunitense e neppure quello del Vaticano, dove era già iniziato il papato giovanneo.

Nella seconda settimana di luglio la crisi appariva davvero avvitata su se stessa e il Capo dello Stato cercò di convincere Moro a lasciare il campo libero all’opzione centrista che avrebbe previsto, dal punto di vista della composizione della maggioranza, la sostituzione del PSI con il PLI, partito che all’epoca poteva ben essere considerato poco più che il portavoce dell’Assolombarda.

In questa prospettiva vanno intese sia l’udienza al Quirinale del generale de Lorenzo, sia l’incontro segreto avvenuto il 16 Luglio, a casa del futuro presidente del Senato Tommaso Morlino, tra lo stato maggiore democristiano, il comandante dell’Arma e il Capo della Polizia.

All’origine della riunione vi era l’intenzione di Segni di mostrare ai leader DC la praticabilità, anche sul terreno dell’ordine pubblico, dell’alternativa al centro – sinistra, con un governo monocolore minoritario e le elezioni anticipate.

Per scongiurare tale situazione Moro e Nenni pilotarono l’alleanza di centro – sinistra su di un programma (scritto, disse Nenni, al suono del “tintinnar di sciabole”) meno sbilanciato sul versante riformista.

Dal programma di governo sparirono i più significativi provvedimenti: dalla pianificazione economica, alla riforma urbanistica, all’istituzione delle regioni.

Pagarono gli esponenti politici che avevano sostenuto quei provvedimenti: da Antonio Giolitti a Fiorentino Sullo.

In quella contrastata estate del 1964 non era avvenuta soltanto la saldatura tra il Piano “Solo” e l’esecutivo agognato da Merzagora, e nemmeno si erano attuati i concreti preparativi golpisti da parte dell’Arma.

Era stato, piuttosto, il SIFAR del Generale Egidio Viggiani, piuttosto, a spingere verso la prova di forza, con la distribuzione ai carabinieri degli “enucleandi”: 731 persone da prelevare e internare in una base militare in Sardegna come primo passo per l’attuazione – appunto – del Piano “Solo”.

L’esito politico di quella fase drammatica fu quello di favorire, alla fine, il ricompattamento del centro - sinistra in chiave del tutto moderata.

Al depotenziamento dell ‘impulso riformista si accompagnò il rafforzamento della lottizzazione, sino a configurare una vera e propria occupazione del potere da parte dei partiti; nella sostanza si trattò della soluzione profetizzata da Merzagora che, per evitare una simile deriva, aveva inutilmente preparato a fine giugno il mai realizzato governo d’emergenza.

Tramontate le “riforme di struttura”, ovvero il progetto di spezzare equilibri consolidati e di trasformare a fondo la società, i socialisti si rassegnarono alla sostanziale subalternità alla DC.

Il PCI (che in quella stessa estate del 1964 avrebbe visto scomparire, a Jalta, il suo segretario generale Palmiro Togliatti) accentuò la polemica con Nenni e gli autonomisti del PSI, in una campagna che avrebbe portato ulteriori consensi ai comunisti.

Il “Piano Solo” fu poi portato allo scoperto, dal punto di vista dell’opinione pubblica, nel 1967 da una serie di servizi pubblicati dall’Espresso e firmati da Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari : si verificò un dibattito pubblico, sia giornalistico, sia parlamentare (Jannuzzi e Scalfari erano stato eletti in Parlamento nel 1968, con le liste del Partito Socialista Unificato) e, successive vicende giudiziarie dagli esiti alterni. Anche de Lorenzo alla fine approdò alla Camera, come deputato monarchico confluendo poi con quel partito nel MSI-DN.

Il presidente della Repubblica Antonio Segni, colpito da ictus, fu costretto alle dimissioni: al suo posto fu eletto il socialdemocratico Giuseppe Saragat, quasi a suggello dei nuovi equilibri moderati dell’alleanza di centro – sinistra.

Il Piano “Solo” occupa un ruolo importante nelle ricostruzioni storiografiche del primo sessantennio repubblicano, considerato come un tornante decisivo nell’evoluzione della vita pubblica italiana.

Sullo sfondo un Paese condizionato dalla guerra fredda e sospeso sull’orlo della guerra civile, con il possibile passaggio dei poteri ai militari.

Nel nostro caso il ricordo di un momento critico della democrazia italiana.

Franco Astengo

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