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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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PARTE TERZA: PER UNA DISCUSSIONE SULLE FORME DELLA POLITICA. I MOVIMENTI DI MASSA

(9 Luglio 2013)

La fase che stiamo vivendo, sul piano storico, pare essere contrassegnata da una sorta di “conflitto permanente” tra i movimenti di massa e le forme strutturate di iniziativa e partecipazione politica come i partiti, con momenti di intreccio, sovrapposizione, trasposizione di ruoli spesso fonte di fraintendimenti ed equivoci tali da sgomentare le grandi masse, all’interno delle quali spuntano consistenti elementi di sfiducia o disaffezione a cui si contrappongono momenti molto alti di mobilitazione in forma collettiva, come sta accadendo in questo momento in diverse parti del mondo dalla Turchia al Brasile all’Egitto, ovviamente con diversi obiettivi, specificità di iniziativa, contesto sociale e politico.
Si è così pensato, all’interno di una discussione sulle forme della politica che dovrebbe essere portata avanti e in una qualche misura “riprogettata” in ambiti di dibattito più ampi, in particolare sul tema del conflitto, di fissare alcuni punti di fondo, si direbbe quasi “fondamentali” al riguardo delle linee di sviluppo teorico dell’analisi politica relativa ai movimenti di massa.
Come possono essere considerati, allora, i “movimenti”?
In primo luogo i “movimenti” possono essere considerati come una rete di relazioni informali tra una pluralità di individui e gruppi, più o meno strutturati dal punto di vista organizzativo.
Se i partiti o i gruppi di pressione hanno confini organizzativi abbastanza precisi, essendo l’appartenenza sancita da una tessera di iscrizione (che, adesso, può anche essere acquisita virtualmente “on line”) a una specifica organizzazione, i movimenti sono invece composti di reticoli dispersi e debolmente connessi di individui che si sentono parte di uno sforzo collettivo.
Sebbene esistano organizzazioni che fanno riferimento ai movimenti, i movimenti non sono organizzazioni, ma piuttosto reti di relazioni tra attori diversi, che spesso includono, a seconda delle condizioni, anche organizzazioni dotate di struttura formale (ad esempio, come accaduto all’interno del “Genoa Social Forum” all’epoca del G8 2001).
Un tratto peculiare dei movimenti è, infatti, il poterne far parte, sentendosi quindi coinvolti in uno sforzo collettivo, senza dover automaticamente aderire a una qualche organizzazione.
Queste reti di relazione assolvono la fondamentale funzione di permettere la circolazione delle risorse necessarie per l’azione collettiva, favorendo l’elaborazione di nuove interpretazioni della realtà.
Esse vengono considerate come costituenti un “movimento sociale” nella misura in cui i loro membri condividono un “sistema di credenze” (definizione da Donatella Della Porta – introduzione alla Scienza Politica – il Mulino 2002) nutrendo nuove solidarietà e identificazioni collettive.
Caratteristica dei movimenti è, infatti, l’elaborazione di visioni del mondo e sistemi di valori alternativi rispetto a quelli dominanti.
I movimenti contribuiscono al formarsi di un vocabolario e all’emergere di idee e opportunità di azione che, in passato, erano sconosciute o persino inconcepibili (si pensi agli “indignados” spagnoli, o al movimento americano di “Occupy Wall Street”).
Per questo i movimenti sono considerati i protagonisti del mutamento sociale.
I valori emergenti sono poi alla base delle definizione dei conflitti attorno ai quali gli attori si mobilitano.
In particolare dagli anni’70 del secolo scorso si è imposta l’esigenza, a livello teorico e di azione concreta sul campo, di un intreccio tra la centralità del conflitto capitale/lavoro e le rilevanze di diversi criteri di stratificazione sociale, in particolare generazionali e di generi, mutando i termini complessivi della contrapposizione sociale “classica” tra una classe popolare e una classe superiore che si erano contrapposte all’interno della società industriale, come era già avvenuto in quelle agrarie e mercantili.
Differenza di genere, difesa dell’ambiente naturale, convivenza tra diverse culture hanno rappresentato i temi sui quali sono sviluppati nuovi movimenti che hanno assunto, rapidamente, rilevanza globale.
Si è così cercato di organizzare questa nuova qualità di proposta dei movimenti attraverso un modello di tipo pluralista: un sistema, cioè, di rappresentanza degli interessi con associazioni multiple, volontarie, concorrenti, non gerarchiche e non necessariamente differenziate secondo criteri funzionali.
Questo sistema pluralista è poi rapidamente “scivolato” (a partire dai paesi a più alto tasso di protezione sociale da parte dello Stato, come ad esempio nel Nord Europa) in un modello definito “neocorporativo”.
Il modello neocorporativo moderno, detto anche corporativismo liberale o societario è, infatti, un sistema di rappresentanza degli interessi in cui le unità costitutive, come è stato appena ricordato, sono singole, caratterizzate da un sistema di relazioni poco sviluppato, con una struttura organizzativa frammentata, che deve fare forte affidamento sulla sua base, e ha quindi difficoltà a sviluppare programmi di lungo periodo.
Alla fine questa logica dei movimenti strutturati su “single issue” conduce a due esiti dal punto di vista della dinamica di confronto sociale e politico: quello del lobbyng e quello della ricerca della concertazione, attraverso il meccanismo della consultazione degli interessi organizzati da parte delle istituzioni pubbliche e una loro partecipazione alle decisioni.
Si tratta, per rimanere all’interno dei confini del “caso italiano”, del modello che si potrebbe definire dei “beni comuni” ( portato avanti, essenzialmente, attraverso la logica referendaria, oppure dell’offerta alle istituzioni di “agenzie di servizi” utili per elaborare attorno a temi specifici).
Insomma: qualcosa di molto lontano dalla prospettiva di un’elaborazione e di una pratica di massa tendente a una trasformazione complessiva del sistema.
Sullo sfondo l’ipotesi di grandi compromessi tra i gruppi focalizzati su temi legati alla produzione e gruppi legati ai consumi: come sta avvenendo del resto, in tante realtà, sui temi di carattere ambientale e di conflitto tra industria, ambiente, difesa della salute.
In ogni caso si tratta di un modello che pone in evidenza la necessità di ridurre da parte delle istituzioni ,l’eccesso di domande frammentate e contraddittorie: in assenza di una capacità di sintesi alternativa l’ipotesi è quella della riduzione del rapporto tra politica e società: una riduzione di rapporto che equivale a un restringimento nei margini di agibilità democratica ( presidenzialismo, ruolo del governo, leggi elettorali maggioritarie, elezione diretta delle cariche monocratiche, ecc), con l’obiettivo di emarginare sempre di più i gruppi non dotati di potere di ricatto economico (disoccupati, studenti, consumatori, ecc.).
E’ evidente che il solo antidoto a questo processo di vera e propria degenerazione della democrazia, che si avvale ovviamente anche dell’utilizzo dei meccanismi di innovazione tecnologica sul piano della comunicazione, del processo di spettacolarizzazione della politica, dell’eccesso di individualismo e di personalizzazione, è quello della ripresentazione sulla scena del conflitto sociale delle grandi sintesi del cambiamento, dei grandi progetti complessivi di trasformazione politica e sociale.
E’ un tema novecentesco che si ripropone per intero in quest’ avvio di millennio, ed è il tema della strutturazione politica, dei partiti.
Un tema che si intreccia fortemente, è il caso di sottolinearlo davvero, con quello dei movimenti e della loro produttività sociale, nella ricerca di una costante dialettica sul piano del progetto e dell’azione.
Il tema del partito in questa sede, potrà essere riassunto schematicamente con una frase, scritta da Neumann (teorico del partito a integrazione di massa) nel 1956: “Ogni partito deve presentare all’elettore individuale e ai suoi gruppi di interesse specifici un’immagine di comunità come entità.
Deve costantemente ricordare al cittadino questa realtà collettiva, adattare le sue esigenze a quelle della comunità, indicare le necessità di sintesi e la scala di rilevanza delle diverse tematiche in ordine ad un progetto e a un relativo programma di ordine generale”.

Franco Astengo

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