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QUESTIONE POLITICA E QUESTIONE MORALE

(16 Agosto 2013)

La vicenda di stretta attualità, riguardante la sentenza della Corte di Cassazione sul caso Berlusconi /Mediaset sta riempendo le cronache e mandando in fibrillazione il già fragile sistema politico italiano.
Il frangente naturalmente appare del tutto eclatante, ma sembra che comunque possa essere compreso, dal punto di vista dell’analisi, in quel filone del rapporto tra “Questione politica e questione morale” spesso evocato, ma mai affrontato davvero, neppure nel turbine di Tangentopoli e successivi ampliamenti di scenario.
“Questione politica e questione morale”: un titolo usato e abusato nel corso degli ultimi 30 anni (ed anche prima..) per commentare lo sviluppo delle vicende politiche italiane: un titolo che torna ancora d'attualità (se mai ce ne fosse stato bisogno) in questi giorni, davanti ai fatti che si stanno dispiegando davanti all'opinione pubblica.
Cosa c'è di diverso rispetto al passato?
Da un certo punto di vista poco, l'organizzazione del rapporto di affari tra politica, imprenditoria, amministrazione più o meno appare inalterata.
Così come non pare cambiato il ruolo di “supplenza” esercitato dalla magistratura nei confronti della politica.
Enucleiamo però alcuni due elementi di evidenti “diversità” rispetto all'epoca di Tangentopoli.
Il primo fra tutti riguarda il quadro istituzionale nel suo insieme, con il passaggio a una forma di governo incentrata sul presidenzialismo che adesso s’intende anche costituzionalizzare con procedura d’urgenza. Si tratta del “suffragio” al sistema leaderistico che adesso consente a Berlusconi di reclamare l’agibilità politica e a Napolitano di “riconoscerne il ruolo politico”.
Su queste basi si comprende meglio la reazione avuta, nel corso degli anni, dal ceto politico di (tipica di chi si sente arroccato nel fortino del “cartel party”) che ha tentato di coartare, per via legislativa, la giustizia (penso che tutti si saranno accorti che certe leggi non sono “ad personam” come si tentava di far credere, riguardavano un intero ceto politico, all'interno anche di un’idea di “alternanza”).
Si è così cercato di fare in modo, attraverso l’atteggiamento tenuto dai mezzi di comunicazione di massa, che emergessero gli elementi determinanti di uno spostamento complessivo a destra: populismo, personalizzazione della politica, cooptazione dall'alto e/o “dal basso” se guardiamo ai criteri di selezione del ceto dirigente, cui ovviamente non possono opporsi le “primarie all'italiana”, il cui meccanismo, invece, non fa altro che alimentare lo scenario inquietante che si sta cercando di descrivere.
Non basta per fronteggiare questo stato di cose, assai grave, quella che è stata definita “bella” o “buona” politica: intenzioni di cui appare lastricata di sassi la strada dell'inferno.
Serve, invece, prima di tutto l'ingresso sulla scena politica italiana di un soggetto che manca: un soggetto in grado di indicare, in prospettiva, un diverso modello di società, di relazioni politiche, economiche sociali.
Un soggetto dove l'interesse pubblico e collettivo prevalga, che non sia “un'isola”, si confronti con il resto, ma si realizzi comunque attraverso strumenti di agibilità dell'azione politica in modo da tenere assieme la partecipazione, la rappresentanza, la capacità di direzione.
Serve un partito che intrecci assieme questione politica e questione morale, nell'accezione in cui Machiavelli distingue i partiti dalle fazioni (portatrici di disordini), quali portatori degli “umori sociali”: un partito portatore, insieme, di una ragione universale e strumento per l'intervento nelle istituzioni e, insieme, punto di coagulo del blocco sociale più avanzato.
Abbiamo ceduto su questo terreno; abbiamo ceduto al corporativismo e a un’idea, sbagliata, di democrazia diretta di tipo sostanzialmente “referendaria” (non a caso tutte le ultime tornate elettorali in Italia, sono state praticamente dei “referendum” su di una persona, quella al centro delle clamorose contese di questi giorni).
Occorre questa idea di partito, comprendendo appieno come quella che è stata definita “partitocrazia” (da Maranini) può essere superata soltanto tornando alla piena rilevanza della rappresentanza politica collettiva.
In questo modo, nel recupero di questo tipo di idea di partito, può sciogliersi in positivo l'intreccio tra “questione politica” e “questione morale”, interpretando la crescente complessità sociale nella forma della tensione al cambiamento e impedendo che il definitivo crollo della partecipazione politica apra la strada al trionfo finale dei “corpi separati”.

Franco Astengo

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