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ALITALIA, TELECOM: ENNESIMA CONFERMA DI UN DISASTRO ANNUNCIATO

(25 Settembre 2013)

In una sola giornata, 24 Settembre 2013, due dei più importanti “asset” strategici nel campo delle comunicazioni e dei trasporti sono passati di mano: Alitalia ai francesi (finalmente!) Telecom agli spagnoli.
Questa la sostanza del discorso, al di là delle tecnicalità relative a quote, forme di passaggio, ruolo del sistema bancario o altro: tutti temi sui quali evitiamo di intervenire e, del resto, ben noti.
Interessa, invece, costatare direttamente come siamo all’ennesima conferma di un disastro annunciato, quello della politica industriale italiana.
In queste parole non si trova alcun rigurgito nazionalista, né di richiesta di revanscismo protezionista, ma la considerazione – appunto – del fallimento pressoché totale di una nazione come l’Italia, pur in tempi come sappiamo di cessione di sovranità da parte dello “Stato – Nazione”.
Ma dalla cessione di sovranità a una pessima qualità di governo (voluta, per favorire precisi interessi? Forse sarebbe stato il caso di non apporre neppure il punto interrogativo) qualcosa in mezzo pur ci dovrebbe stare.
Siamo di fronte ad un Paese stremato, dove in una grande città come Genova, antico vertice dell’altrettanto antico triangolo industriale, si forma una coda di 500 persone per concorrere a tre posti di commessa di negozio.
Un Paese privo di un minimo di politica industriale e di programmazione dell’economia da circa cinquant’anni: dal primo centrosinistra quello Moro – Nenni del 1963; un Paese dove nel sistema bancario emergono vere e proprie “punte de lanza” della corruzione tra MPS e Carige; un Paese “record” nella disoccupazione giovanile; un Paese nel quale il modello sbagliato fondato sull’abbandono della grande industria e dell’esaltazione di quella piccola e media in determinate aree (dorsale Adriatica, Nord – Est) mostra oggi la corda del dramma del supersfruttamento, della delocalizzazione, della perdita tragica di marchi importanti in settori fondamentali nella produzione manifatturiera (elettrodomestici, mobili).
Ci troviamo alla mercé delle “larghe intese” europee, ferocemente monetariste e liberiste, con l’esito delle privatizzazioni in campo siderurgico, laddove la produzione è bloccata dalla Magistratura per via di un disastro ambientale di dimensioni epocali; la chimica è stata spazzata via da tempo dalla “questione morale”; l’agroalimentare ha fornito occasione per speculazioni gigantesche che hanno impoverito fortemente intere schiere di risparmiatori e consegnato il settore in mano alle grandi multinazionali; l’elettronica è scomparsa da tempo di scena dopo aver recitato per anni un ruolo di avanguardia; le ferrovie che risultano essere, complessivamente, in condizioni pietose mentre si pensa soltanto all’alta velocità per determinate tratte e in nome di questa si militarizzano interi territori dalla Val Susa alle valli tra la Liguria e il Piemonte; il sistema autostradale che risulta talmente obsoleto da rappresentare un vero e proprio punto di frattura tra il Nord e il Sud se si pensa alle condizioni della pluri-inaugurata Salerno – Reggio Calabria; il sistema portuale, sottoposto anch’esso alla ghigliottina delle privatizzazioni che annunciano proprio in questi giorni una loro “nuova stagione”, e che appare del tutto al di sotto delle esigenze di paese moderno.
In uno stato di cose come quello, molto superficialmente, fin qui descritto il governo PD-PDL annuncia un nuovo piano di privatizzazioni e cessioni (pensiamo all’Ansaldo) che s’innesterebbero in un vero e proprio deserto tecnologico, produttivo, occupazionale.
Servirebbe un’alternativa, una svolta; servirebbe porre, alla rovescia di quanto si sta facendo, il tema dell’intervento pubblico, delle nazionalizzazioni a partire dal settore bancario, della ripubblicizzazione di interi settori strategici, del ritorno a una vera e propria programmazione della politica industriale.
I sindacati, almeno quelli rappresentati dal CGIL-CISL-UIL non muovono paglia sotto quest’aspetto, non presentano uno straccio di proposta concreta, non sviluppano e non promuovono alcuna forma di conflitto serio in direzione del lavoro, limitandosi a porre alcune questioni di carattere fiscale che certo non mettono in discussione il sistema.
Perché questo è il punto: la messa in discussione del sistema, l’elaborazione di una proposta alternativa sia rispetto all’Europa sia rispetto al complesso della politica economica nazionale.
Un’alternativa che risulti essere messa in discussione del sistema: a questo ci richiamano anche i casi Alitalia e Telecom, emblematici – appunto – dell’ennesima conferma di un disastro annunciato.

Franco Astengo

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