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Articolo 18

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(13 Marzo 2012) Enzo Apicella

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DI FRONTE ALLA “RIVOLUZIONE LIBERALE” DELLA NUOVA SEGRETERIA DEL PD. SUBITO L’OPPOSIZIONE PER L’ALTERNATIVA ANTICAPITALISTA.

APPUNTI PER UNA IDEA DI PROGRAMMA

(19 Dicembre 2013)

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Dietro alla sprezzante dichiarazione del neo-segretario del PD Matteo Renzi “Il problema è il lavoro e non l’articolo 18” si cela tutta intera la carica eversiva che s’intende, da quel versante, portare avanti sui temi dell’economia, del lavoro e dello stato sociale. “Repubblica” invoca, usando l’antico slogan berlusconiano “Una Rivoluzione Liberale” e le ricette sembrano essere sempre eternamente uguali a quelle dell’iperliberismo reaganian- tachteriano.
Sarà su questo terreno che si sveleranno due grandi mistificazioni: quella delle primarie e quella del “rinnovamento”.
Dal nostro punto di vista proprio l’analisi di ciò che sta accadendo, anche al di là delle implicazioni direttamente politiche (non c’è più il centrosinistra e il PD ricopre ormai un ruolo e una posizione nel sistema politico affatto diversa da quella indicata appunto da uno schieramento di centrosinistra. Non c'è neppure più la logica bipolare, che pure sarà ancora strumentalmente evocata) mostra evidente la necessità di costruire urgentemente una soggettività politica all’altezza delle contraddizioni che la crisi produce all’interno della società.
Serve subito una forza di opposizione provvista della capacità di avanzare proposte d’alternativa nel merito.
Non è il caso, allora, di inoltrarsi più di tanto nell’esplorazione delle vicende politiche attuali, all’interno e all’esterno del sistema politico italiano, proprio per affermare con nettezza un’esigenza complessiva di azione politica che deve essere prima di tutto provvista di proprie autonome coordinate di fondo.
La forma che lo sviluppo capitalistico ha assunto, fin dagli anni’80 del secolo scorso superando brutalmente quella fase definita come fordista e keynesiana ha assunto i tratti di un vero e proprio “liberismo selvaggio” che ha rotto, nell’Occidente sviluppato, quella base, che pure appariva solida, del compromesso sociale: politiche di sostegno alla domanda e impresa pubblica in funzione anticiclica e per consentire la crescita dell’occupazione; relazioni industriali basate su di un forte ruolo del sindacato; politiche redistributive del reddito in connessione con la produzione dei beni di consumo di massa.
Quell’equilibrio (riassumibile anche come “modello renano”) si è rotto irrimediabilmente e dal quel momento, nell’imperversare di una gestione iper-liberista delle contraddizioni economiche e sociali assunta come base di valore anche dalle formazioni politiche ex-socialdemocratiche, il sistema è apparso profondamente trasformato nel suo funzionamento e nell’espressione del suo blocco sociale di sostegno, provocando anche quella crisi nel ruolo politico dei corpi intermedi che, in Italia, ha assunto caratteri specifici e particolari di utilizzo in chiave fortemente negativa, di vera e propria riduzione dei meccanismi democratici, da parte di un sistema politico sempre più ridotto al mero e acritico sostegno alle istanze di un’economia condotta selvaggiamente dal grande capitale.
L’esito immediato, che abbiamo sotto gli occhi, è quello di un impoverimento per larghi strati della popolazione e di un pauroso arretramento sul terreno dei diritti dei lavoratori.
Ha riassunto efficacemente questo stato di cose il premio Nobel per l’economia Paul Krugman (un keynesiano, beninteso): “la crisi è un prodotto dell’antagonismo di classe, esercitato dagli ultra – ricchi e dalla destra radicale”.
Per questi motivi appaiono del tutto scomparsi gli spazi possibili per un contrasto basato su di un riformismo gestionale e moderato.
Appare quindi del tutto coerente con lo stato di cose in atto, realisticamente assunto, l’elaborazione di un programma di opposizione fondato, innanzi tutto, sull’organizzazione di lotte sociali a forte intensità, anche di carattere meramente difensivo, nella logica della “guerra di posizione”.
Per non incorrere però nel rischio di costringere il quadro delle lotte sociali ad adagiarsi su di un impianto di carattere neocorporativo (rischio presente ed evidente) è necessario però costruire subito il riferimento a una soggettività politica posta in grado di esprimere, prima di tutto, un orizzonte complessivo di sfida per la trasformazione radicale del sistema, proponendo un programma di transizione nella crisi.
A questo punto appare assolutamente propedeutico a una discussione di merito, un dibattito da svolgersi attorno a due punti: il ruolo dello Stato Nazionale e quello sull’Europa.
E’ possibile oggi pensare all’avvio di un’impostazione programmatica alternativa senza aver chiaro quale può essere il ruolo dello Stato nazionale, nella molteplicità delle funzioni che è chiamato ad assolvere, nel quadro della vicenda europea al riguardo della quale non solo i poteri si sono ribilanciati tra i diversi soggetti ma risultano essere assolutamente accentrati in una sede di potere non democratico rispondente alle logiche di fondo di quei meccanismi di pesante ristrutturazione capitalistica cui si è fatto cenno poc’anzi?
Pensiamo proprio di no, e in questa dimensione va inteso lo slogan “Rompere l’Unione Europea”.
A questo proposito va rilanciata con forza una visione internazionalista e sovranazionale di collegamento effettivo e concreto tra le forze di opposizione e d’alternativa che si trovano ad agire proprio nello spazio geopolitico europeo.
Un collegamento effettivo, fatto di progettualità politica e di lotte comuni da portare avanti non soltanto alla ricerca dell’apertura di un processo di generica democratizzazione, a partire dal ruolo del Parlamento di Strasburgo (nel quadro di una ripresa dell’idea forte della “democrazia rappresentativa”) ma anche della messa all’ordine del giorno di un insieme di iniziative politiche attraverso le quali esprimere davvero una proposta di opposizione per l’alternativa.
In questo senso la scadenza elettorale prevista per la primavera del 2014 non dovrebbe essere trascurata o considerata come un appuntamento tra i tanti.
I temi sui quali dovremmo cimentarci prioritariamente per riuscire a elaborare un progetto compiuto saranno, di seguito, indicati per titoli quale semplice “indice” attorno al quale, però, costruire momenti specifici di elaborazione collettiva:
1) Il tema della pianificazione dell’economia, in relazione all’esigenza di collegare un’idea di ripresa industriale nei settori strategici in funzione delle esigenze di innovazione tecnologica e difesa ambientale. Elementi sui quali ci troviamo in fortissimo ritardo d’analisi e di proposta e che richiedono invece una dimensione di iniziativa del tutto straordinaria, rivolta a fronteggiare insieme l’emergenza e a progettare una strategia per il futuro. Servirebbe uno scatto d’ingegno per trovare le forme più idonee ad affrontare un tema così complesso e delicato, in particolare all’interno del quadro internazionale: un livello di elaborazione quale quello che, nel momento della riconversione dell’industria bellica e della ricostruzione del Paese dalle macerie della guerra, portò al rilancio dell’IRI;
2) Il fronteggiamento dei meccanismi “eversivi” di finanziarizzazione dell’economia attraverso la proposta di nazionalizzazione dei punti nevralgici del sistema bancario e di mutamento radicale nei meccanismi di finanziamento allo sviluppo da parte pubblica, a tutti i livelli;
3) L’utilizzo delle leve del bilancio statale e dei fondi europei nei campi dell’istruzione, della ricerca, del riequilibrio nel deficit di vivibilità urbana, della sanità e dei trasporti, del rapporto (nuovamente di grandissima valenza strategica, in particolare al Sud) tra la città e la campagna, correggendo quel quadro di finto “federalismo” fonte di inauditi sprechi ed anche malversazioni;
4) Un nuovo rapporto tra la produzione e il consumo superando la logica dell’individualismo esasperato di un’offerta che risponde semplicemente a una domanda determinata da bisogni che il sistema artificialmente induce. Si pone, in questo senso, il tema dei consumi collettivi;
5) Il problema del procedere verso una redistribuzione del reddito verso il basso e il rilancio del welfare state, riflettendo però specificatamente sui suoi possibili livelli di carattere universalistico e tenendo ben conto delle novità intercorse in particolare nell’ultimo periodo nel quadro sociale: invecchiamento della popolazione e immigrazione, in primo luogo;
6) Il problema dell’occupazione che dovrà essere considerato il nodo più drammatico e più difficile da sciogliere nei prossimi anni (piani straordinari, lavori socialmente utili, ecc.)
7) Recupero dei livelli fondamentali dei diritti dei lavoratori in linea con un vero e proprio “ritorno allo Statuto dei Lavoratori”: unica strada per combattere precariato, super-sfruttamento, lavoro nero.
Infine serve, da subito, far ripartire un confronto che non può essere limitato soltanto a riflettere su modi e forme di un conflitto inteso come meramente difensivo.
Serve “l’opposizione per l’alternativa”

Franco Astengo

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