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(24 Dicembre 2013)
Martedì 24 Dicembre 2013 00:00
Dopo più di due mesi di scontro politico e proteste di piazza, la crisi che sta avvolgendo la Thailandia sembra destinata ad aggravarsi ulteriormente nelle prossime settimane che dovrebbero portare al voto anticipato. Nel fine settimana, infatti, la decisione del principale partito di opposizione di boicottare le elezioni è stata seguita dalla più imponente manifestazione finora tenuta contro il governo per forzare le dimissioni immediate della premier, Yingluck Shinawatra, e spianare di fatto la strada ad un nuovo colpo di stato.
Una folla di centinaia di migliaia di persone si è riversata per le strade di Bangkok nella giornata di domenica, finendo per accerchiare l’abitazione privata della premier che si trovava però nel nord del paese dove ha invece ricevuto un’accoglienza trionfale.
Successivamente, i manifestanti organizzati nel cosiddetto Comitato Popolare per la Riforma Democratica (PDRC) hanno cercato di impedire ai membri di svariati partiti di registrare le loro candidature per il voto che la stessa Yingluck aveva indetto per il 2 febbraio prossimo. La decisione di sciogliere la camera bassa era giunta in seguito alle dimissioni di massa dei parlamentari del Partito Democratico di opposizione.
Alcuni esponenti del partito Pheu Thai di governo e di altri partiti sono però riusciti a raggiungere gli uffici della commissione elettorale e una stazione di polizia nella capitale, registrandosi con successo per apparire sulle schede elettorali. Secondo il Bangkok Post, al termine del primo giorno utile per la registrazione, solo 9 dei 34 partiti che parteciperanno al voto hanno potuto registrare alcuni dei loro candidati. Lunedì, poi, i vertici del Pheu Thai hanno come previsto ribadito la fiducia nell’attuale primo ministro, confermando la sua candidatura anche per la guida del prossimo governo.
Il Partito Democratico, nonostante le divisioni interne circa la strategia da seguire, ha deciso invece di non prendere parte al voto e di continuare ad appoggiare le proteste contro il governo, rischiando però di infiammare ancora di più la situazione e di finire isolato politicamente dopo che il suo ultimo successo elettorale risale a oltre due decenni fa.
Uno dei principali leader della protesta, l’ex deputato del Partito Democratico e già vice-premier Suthep Thaugsuban, ha inoltre anch’egli gettato benzina sul fuoco nel fine settimana, promettendo di bloccare l’intero paese per impedire il voto e di “dare la caccia a Yingluck” finché non si dimetterà o, se non dovesse farlo, “fino alla sua morte”.
Suthep e il PDRC chiedono da tempo, oltre alle dimissioni immediate del gabinetto Yingluck, la creazione di un “consiglio del popolo” non eletto che nomini un nuovo governo e proceda con una serie di “riforme” per eliminare l’influenza del clan Shinawatra in Thailandia. L’attuale premier, come è noto, è la sorella dell’ex primo ministro Thaksin Shinawatra, da anni in esilio volontario dopo una condanna a suo carico per corruzione e abuso di potere, a suo dire motivata politicamente.
L’opposizione del Partito Democratico, gli ambienti reali e militari vedono con estremo sospetto la macchina politica costruita attorno a Thaksin, in grado da oltre un decennio di mettere in discussione i tradizionali centri di potere thailandesi grazie alla creazione di una base elettorale nelle aree rurali più povere ed emarginate nel nord del paese attraverso modeste politiche di riforma sociale.
L’impossibilità di combattere all’interno delle regole elettorali la famiglia Shinawatra e i suoi sostenitori organizzati nel Fronte Unito per la Democrazia contro la Dittatura ha così spinto l’opposizione politica e di piazza a promuovere una soluzione autoritaria che rimetterebbe le sorti del paese nelle mani dei militari e della monarchia. Ciò è d’altra parte già accaduto svariate volte negli ultimi decenni e, più recentemente, nel 2006 e nel 2008, quando due golpe, rispettivamente condotto dai militari e dal potere guidiziario, rimossero il governo di Thaksin e un altro guidato dai suoi sostenitori.
Dopo i fatti del 2010, quando manifestazioni di protesta a Bangkok animate questa volta dalle “camicie rosse” pro-Thaksin vennero represse nel sangue dal governo del Partito Democratico insediatosi grazie al golpe del 2008, c’è oggi molta apprensione per le conseguenze di un nuovo colpo di stato in Thailandia. Tanto più che gli stessi sostenitori del governo continuano a dirsi pronti ad intervenire per impedire un colpo di mano dei militari e degli ambienti monarchici.
Lo stesso governo sembra temere che la situazione possa sfuggire di mano nel caso l’opposizione dovesse forzare la mano ai militari, tanto che la premier nei giorni scorsi ha risposto al boicottaggio del Partito Democratico con una propria proposta per risolvere la crisi. Yingluck ha cioè ipotizzato la creazione di un “consiglio per la riforma” dopo le elezioni di febbraio. Anche questo organo sarebbe non elettivo e dovrebbe però comprendere esponenti di tutte le parti politiche e della società civile.
Il successo dei manifestanti anti-Thaksin, in ogni caso, dipenderà quasi certamente dalla posizione che decideranno di assumere le forze armate thailandesi. I vertici di queste ultime negano di avere chiesto alla premier Yingluck di fare un passo indietro e, per il momento, continuano ad appoggiare ufficialmente la soluzione elettorale che, tuttavia, difficilmente riuscirà a risolvere le profonde divisioni che attraversano il paese del sud-est asiatico.
Mario Lombardo - Altrenotizie
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