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Ricordando Stefano Chiarini

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TRA INDIVIDUALE E COLLETTIVO: SOLO LA SINTESI POLITICA PUO’ RISOLVERE IL PARTICOLARE NELL’UNIVERSALE

(4 Gennaio 2014)

“Il rasoio di Occam”, rubrica di filosofia di Micromega online, ha ospitato un intervento di Stefano Breda, dottorando alla Freie Universitat di Berlino, che prendendo spunto da una recensione scritta in precedenza da Luca Basso ha sviluppato un’interessante analisi di merito relativa al testo di Ernesto Screpanti “Marx dalla totalità alla moltitudine (1841-1843) ”.
Il testo di Screpanti analizza molte delle misure proposte all’epoca dal giovane Marx per ovviare all’idea prevalente all’epoca dell’individualismo istituzionale: un’idea, in realtà, tornata a prevalere anche oggi tanto è vero che le proposte avanzate dal filosofo di Treviri in quel momento appaiono di grandissima attualità, in particolare nel merito della riforma della democrazia rappresentativa.
Riforma della democrazia rappresentativa che avrebbe dovuto essere attuata, secondo Marx, introducendo il vincolo di mandato, il diritto di revoca del mandato stesso, l’abolizione del ceto politico quale classe professionale.
Tutte misure al centro del dibattito di oggi all’interno del sistema politico italiano.
Dibattito al riguardo del quale Breda fornisce un giudizio di sviluppo che avviene sulla base di un diffuso discorso di stampo olistico che, cancellando ogni contrapposizione di classe e ogni conflitto interno alla società, fa della “società civile” un corpo omogeneo, spesso caratterizzato come un soggetto agente.
E aggiunge “ Il conflitto viene traslato verso un altro corpo sociale omogeneo, esterno alla società civile, la “casta” ovvero il ceto politico, il quale persegue il proprio vantaggio a discapito dell’interesse generale.
Ciò avviene, possiamo sottolineare, perché ci troviamo di fronte non all’espressione di soggetti portatori del “collettivo” ma della somma delle individualità.
Questo elemento porta il “ceto politico” a rimanere comunque subalterno come nel caso, sempre traslando nell’attualità, e riprendendo la parte conclusiva dell’analisi di Breda : “ la sottomissione del ceto politico ai mercati finanziari: il neo liberismo come culto pagano del “dio mercato”. Queste metafore – prosegue Breda – esprimono in ultime analisi quello che Marx chiamava “feticismo”: ciò che è nei fatti un insieme determinato di rapporti sociali, dunque dipendente dall’azione degli individui, viene vissuto come una “cosa” indipendente dall’azione stessa e che anzi la domina.
Ma con la critica all’economia politica Marx non si è limitato a denunciare questo feticismo come “falsa coscienza”.
Al contrario, il suo intento era precisamente quello di identificare la radice reale, assolutamente concreta di tale feticismo nelle caratteristiche strutturali di quella specifica forma di rapporti sociali.
Da questo punto di vista assistiamo invece oggi a una sorta di abdicazione: da parte delle teorie politiche critiche della società, mentre si moltiplicano teorie (e movimenti sociali) che riducono il problema a una pura e semplice mistificazione.
Non basta riversare l’individualismo istituzionale (che Screpanti considera fondamentale per una teoria della rivoluzione) in una “posizione collettiva di scopo”, del resto richiamata anche da Breda e denunciata come necessitante di un confronto con la teoria delle classi e della lotta di classe.
Neppure può essere considerato sufficiente il confronto individualismo/collettivo da eseguirsi secondo i canoni classici della concezione del collettivismo: socializzazione dei mezzi di produzione e della distribuzione, considerato come il mezzo attraverso il quale si realizza il passaggio dalla proprietà privata a un tipo di proprietà collettiva e di conseguenza si annulla l’individualismo istituzionale, poiché rappresenterebbe di fatto il passaggio dal particolare all’universale.
E’ necessario, invece, uno strumento di mediazione e di sintesi che altro non può essere che la “politica” nelle sue forme più alte.
Lo scopo della mediazione e della sintesi esercitate con l’azione politica può, infatti, restituire spirito critico e consentire all’individuo di scorgere, ben al di là della moltitudine, la visione generale dei grandi problemi della storia e quella particolare delle specifiche settorialità nelle quali è suddivisa la vita quotidiana, nei suoi scopi di produzione e di soddisfazione dei bisogni.
L’esercizio della “politica” nelle sue forme più alte non può però avvenire in assenza di collaudati corpi intermedi.
Qui nasce ancora una volta, riportando il tema all’attualità più stretta come pure merita, il tema del “partito” da non considerare come mero strumento dell’esercizio del potere e del soggetto che fornisce il contributo decisivo a quell’annullamento delle espressioni di contraddizione sociale e politica cui pure si è già fatto cenno.
E’ la questione, limitando in estrema sintesi il discorso, della sinistra italiana che si vorrebbe d’alternativa: senza il recupero nella funzione del “partito” ogni espressione di critica sociale e di proposta di trasformazione cadrà nel vuoto.
La crisi di oggi propone, proprio sul terreno del passaggio dal particolare all’universale, una difficoltà di indicazione che potrebbe essere superata tornando a riflettere sul partito come “intellettuale collettivo”, promotore di una “rivoluzione morale”.
Un partito di ispirazione gramsciana.
Gramsci sviluppò la concezione del partito – appunto – come “intellettuale collettivo”.
Nella sua analisi l’intervento diretto di grandi masse nella vita delle nazioni moderne, la costituzione di una vasta rete di organi di informazione e di mezzi di comunicazione, rendono indispensabile - al contrario di come intende oggi la moda della personalizzazione della politica - l’organizzazione e la centralizzazione delle forze e delle aspirazioni, della “volontà collettiva”.
Gramsci intendeva che questa funzione, di “volontà collettiva”, fosse svolta da un organismo che fosse elemento della società complessa, nella quale proprio la “volontà collettiva” iniziasse a concretarsi, affermandosi anche parzialmente nell’azione.
Gramsci pensava a una “compartecipazione attiva e consapevole” allo scopo di formare un legame stretto tra grande massa, partito, gruppo dirigente e tutto il complesso, ben articolato, avrebbe potuto muoversi come un “uomo collettivo”.
Valse la pena provarci allora, è il caso di provarci anche adesso.

Franco Astengo

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