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MISTIFICAZIONE DELLA RAPPRESENTANZA E RAPPRESENTANZA COME VALORE

(9 Marzo 2014)

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Nadia Urbinati

Sotto il titolo “La Rappresentanza come valore” Nadia Urbinati scrive oggi 9 Marzo, sulle colonne di Repubblica un lungo e impegnato articolo dal quale si riportano di seguito alcuni passaggi fortemente significativi: “ …queste diverse strategie riflettono il riconoscimento che la rappresentanza è un valore o una forma di partecipazione. La ricerca di correggere strategie di rappresentanza è un fatto d’indubbia rilevanza.” e ancora più avanti: “ La comprensione del valore del suffragio e della rappresentanza hanno marciato assieme: non godere di eguale possibilità di essere elette è una forma di decurtamento del diritto politico”.
I riferimenti dell’articolo di Urbinati naturalmente sono rivolti al tema del giorno, quello della rappresentanza di genere. Un tema intorno al quale, nell’ambito della discussione su di una possibile nuova legge elettorale si sta sviluppando un forte confronto politico.
Un confronto politico che si misura, però, sul terreno di vere e proprie marginalità come quella – appunto – della rappresentanza di genere o della possibilità di espressione delle preferenze: marginalità perché il quadro complessivo che la nuova legge elettorale esprime, al riguardo del disegno complessivo riguardante il sistema politico, è quello di un vero e proprio “soffocamento” dell’idea della rappresentanza politica, spostando tutto il peso del meccanismo sul versante della governabilità.
Un grave squilibrio che, in primo luogo, contraddice la stessa sentenza n.1/2014 della Corte Costituzionale con la quale furono dichiarate illegittime le parti fondamentali della legge elettorale del 2005. Sentenza che esplicitamente parla di “equilibrio tra governabilità e rappresentanza”.
Urbinati cita un passaggio “storico” nell’evoluzione delle democrazie occidentali: il marciare assieme della comprensione del valore e del suffragio.
Fu sulla base della comprensione di quel passaggio che si verificò la grande spinta verso il suffragio universale (maschile e femminile). Suffragio universale intenso come possibilità di espressione piena della rappresentanza politica, sulla base della quale si formarono i grandi partiti europei della classe operaia della prima rivoluzione industriale.
Se si chiude la porta alla possibilità di una piena rappresentanza politica, come sta avvenendo in Italia da molto tempo con le leggi elettorali via, via, elaborate nel tempo dalla crisi sistemica degli anni’90, allora tutti gli altri livelli di rappresentanza “settoriale” o “neo-corporativa” compresi quelli di genere finiscono con il non disporre del valore di fondo, quello dell’espressione piena della rappresentanza delle sensibilità e delle opzioni politiche.
In una soffocante rincorsa al centro della “governabilità” intesa quale fine esaustivo dell’azione politica e anche istituzionale finisce con il perdere valore qualsiasi altro concetto di alternativa o anche soltanto di “diversità”.
La grande contraddizione, nello specifico del “caso italiano” (che vale ancora, sia ben chiaro) è con il dettato costituzionale che disegna con grande chiarezza lo scenario della centralità del Parlamento e della presenza nelle istituzioni di un largo spettro di rappresentanza politica, sia sotto l’aspetto delle idealità che delle capacità progettuali.
Siamo al punto in cui, per cercare di evitare le tagliole degli sbarramenti, a molti non appare più possibile presentarsi con il volto delle grandi idealità della storia politica d’Europa e d’Italia e ci si maschera da “altro” (l’Altra Europa ad esempio, come fu la Rivoluzione Civile o L’Arcobaleno): un atto d’ignavia politica dettato da condizioni storiche all’interno delle quali il sistema si frappone con tutti i mezzi alla possibilità di una limpida espressione di appartenenza, anche ideologica.
Conclude Urbinati: “Quindi la parità (di genere e non di rappresentanza politica, n.d.r.) è oggi più che ma un’esigenza di giustizia, proprio perché la rappresentanza non può contare più sole sulle piattaforme generali dei partiti, nei quali le donne possano riconoscersi. Presenza e voce stanno insieme ora più di quanto non succedesse nell’età dei partiti di massa”.
Un punto di domanda, allora, e una considerazione conclusiva: può valere questo rapporto tra presenza e voce in un’assise elettiva, dove lo squilibrio a favore della rappresentanza maggioritaria è quella di registrare una fortissima alterazione tra consenso reale e forza parlamentare (l’allusione è evidentemente rivolta a chi si trova eletto grazie ad abnormi premi di maggioranza)?
Il governo attualmente in carica ha puntato a riequilibrare, almeno nella sua forma di visibilità primaria (i ministri) la rappresentanza di genere: ma si tratta, pur sempre, di un governo formatosi non sulla base dell’espressione di un principio di consenso elettorale ma (come sta avvenendo in Italia ormai da tre anni a questa parte) su di un’ardita manovra di palazzo. Vale allora, in questo caso, come fattore politico il riequilibrio della rappresentanza di genere, oppure anche in questo caso la definizione più semplice che si può usare è quella di “mistificazione”?.
Domande che appaiono importanti e alle quali il sistema pare proprio non essere in grado di fornire risposta: il sistema della rappresentanza è in gravissima crisi così come la democrazia italiana.
E’ questa la constatazione di fondo dalla quale ripartire se s’intende ragionare sul serio sui concetti di rappresentanza e di espressione della soggettività politica.

Franco Astengo

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