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ELEZIONI EUROPEE 2015: LE POSIZIONI DI PARTENZA DELLE FORZE POLITICHE. LA MAGGIORANZA RELATIVA CONTESA TRA PD E MOVIMENTO 5 STELLE

(18 Marzo 2014)

5ste

La campagna elettorale in vista delle elezioni europee del prossimo 25 Maggio è ormai ai blocchi di partenza e gli analisti stanno cominciandone a esaminarne i principali aspetti, traendone anche indicazioni sul possibile esito.
E’ comparsa in questi giorni, a livello dei 28 paesi dell’Unione, un’indagine rivolta a comprendere gli orientamenti europeisti o antieuropeisti (semplifichiamo per facilità di lettura) delle diverse opinioni pubbliche.
Sono risultati esiti difformi che, però, hanno comunque fornito l’idea di una divisione netta, dell’esistenza – proprio sotto l’aspetto del rapporto con l’Unione Europea – di una vera e propria “frattura sociale” che dovrebbe consentire ai soggetti politici dichiaratamente “anti” forti margini di crescita elettorale, tanto è vero che ci si spinge a prevedere (o a temere) una possibile maggioranza dei partiti anti-europeisti (populisti e nazionalisti) nella composizione del prossimo Parlamento Europeo.
Partiti, quelli antieuropeisti, molto difformi tra loro, da Paese e Paese, in gran parte su posizioni di destra o estrema destra (rari quelli di sinistra, il più importante il KKE greco) con dimensioni molto diverse: in grado di competere per la maggioranza nel proprio Paese ci sono soltanto il Front National in Francia (accreditato del 25%) e il Movimento 5 Stelle Italiano (non certo assimilabile, come si vedrà meglio in seguito, all’estrema destra). Poi altri soggetti in forte crescita potenzialmente oltre il 10%.
Il nostro “focus” però è riservato all’Italia, partendo da una domanda di fondo: contrariamente a quanto avvenuto in passato, allorquando le elezioni europee erano considerate semplicemente una sorta di test a medio termine delle elezioni politiche, il tema specificatamente “Europeo” risulterà essere il vero oggetto del contendere della prossima campagna elettorale?
Tutti gli indicatori a disposizione e soprattutto l’analisi delle origini relative al peso della crisi sulle condizioni materiali di vita della gran parte dei settori sociali del nostro Paese farebbero propendere per il “sì”, il tema europeo risulterà per questa volta decisivo. Purtuttavia non possono essere trascurate le specificità del “caso italiano” e, di conseguenza, il muoversi in questo senso da parte delle forze politiche ed anche, di seguito, spostamenti nell’opinione di elettrici ed elettori.
Un punto di premessa, prima di entrare meglio nel merito delle cifre che le rilevazioni fin qui effettuate hanno offerto alla nostra capacità d’analisi: l’esito del quesito “Europa/Non Europa” riguarda coloro che hanno già deciso di andare a votare il 25 Maggio.
Astenuti certi, potenziali e indecisi sul recarsi o meno alle urne formano in questo momento un insieme che vale oltre il 50% degli aventi diritto: fatto salvo che, in passato, proprio le elezioni europee (assieme a quelle provinciali) si sono sempre dimostrate quelle meno partecipate da parte dell’elettorato è facile arguire che si verificherà un’ulteriore crescita nelle astensioni (ricordiamo che a Febbraio 2013, in occasione delle elezioni politiche, depositarono un voto valido nell’urna circa il 70% delle elettrici e degli elettori).
L’astensione dovrebbe così assumere un’importanza determinante circa l’esito del voto, ma si tratterebbe – considerati i grandi numeri – di un’astensione “in equilibrio” sostanziale tra le due grandi opzioni di fondo, Europa e Non Europa, che dovrebbero rappresentare la priorità nelle scelte, facendo così prevalere il voto d’opinione su quello di appartenenza (una tendenza comunque già consolidata da tempo nel nostro Paese e assolutamente esplosa nel 2013 con l’esprimersi di un altissimo tasso di volatilità elettorale, mai dimostratosi in precedenza neppure nell’occasione del radicale mutamento dell’offerta politica verificatosi nel 1994).
Entrando allora meglio nel merito delle cifre offerte dalla valutazione in oggetto, si scopre che in Italia quanti sono già intenzionati ad andare a votare il 25 Maggio, sulla “frattura Europa/non Europa (che si accompagna direttamente anche a quella “Euro/Non Euro”) risultano esattamente divisi a metà: 50% "per" da un parte e 50% contro dall’altra (comprese, ovviamente, le rispettive sfumature circa la “parzialità” nell’opinione compresa nelle voci: molto, abbastanza, ecc.).
Questo dato indica una forte potenzialità di sviluppo elettorale per le forze dichiaratamente anti-europeiste e pone in campo un elemento di difficoltà per quelle allineate alle politiche UE di questi anni e anche, in particolare, a quanti si dichiarano “europeisti disobbedienti”.
In Italia, naturalmente, il sistema politico presenta varianti significative rispetto al quadro europeo: nel nostro Paese, infatti, le forze dichiaratamente antieuropeiste sono tre e tutte e tre molto diverse tra loro dal punto di vista del profilo ideologico e dei riferimenti socio-politici.
Troviamo, infatti, su di una posizione anti-europea il Movimento 5 Stelle che non può essere definito come esclusivamente di “destra” anche se l’esasperato populismo del suo leader lo ha portato a sfiorare posizioni razziste (poi smentite dalla base del web, all’interno della quale allignano certamente elementi provenienti dall’estrema sinistra magari in contiguità con posizioni situazioniste e anche anarchicheggianti); i vecchi inconcludenti parolai poltronisti della Lega Nord che pure mantengono una certa quota di consenso “regionalista” alimentato comunque dal mito della secessione e dall’altra parte della barricata, i nazionalisti di Fratelli d’Italia , eredi più diretti della tradizione missina (almeno i meno inquinati dal processo di democristianizzazione imposto, a suo tempo, dalla svolta di Fiuggi con la trasformazione del MSI in AN, fino al disastro totale della confluenza nell’effimero PDL).
Nella sostanza questi 3 soggetti: M5S, Lega Nord e Fratelli d’Italia (indicati, appunto, come antieuropeisti da tutte le mappe compilate dai più autorevoli soggetti di ricerca politica esistenti in Europa) hanno raccolto, alle elezioni politiche del 2013 circa il 30% dei voti, oggi invece si trovano, più o meno, di fronte disponibile un mercato elettorale che vale in questo momento il 50%, in diretta contesa con tutte le altre forze che a Febbraio 2013 si spartirono il 70%.
Sta qui il “nocciolo duro” della contesa elettorale del prossimo 25 Maggio: stabilire se e quanto consenso i soggetti dichiaratamente antieuropeisti riusciranno a strappare a tutti gli altri.
Quali saranno i soggetti più direttamente a rischio in questa contesa?
Non a caso Renzi sta tentando di smarcare governo e PD dalla stretta imposta dalle politiche recessive dell’Unione ( governo e partito, infatti, risultano ormai strettamente intrecciati nella valutazione dell’opinione pubblica in una posizione che può rivelarsi, insieme, vantaggiosa ma anche molto pericolosa: non a caso il primo 27 nel quale i lavoratori valuteranno se saranno arrivati gli 80 euro in busta paga si situerà all’indomani e non in precedenza alla votazione europea) perché se il Partito democratico si fosse presentato all’insegna dell’europeismo servilista dei Napolitano, Monti, Letta una flessione netta sarebbe stata assicurata.
Eguale tentativo sta svolgendo Berlusconi (che tiene molto alla sua candidatura, non semplicemente per ragioni di prestigio e “revanche” di carattere personale che pure ci sono e corpose). Berlusconi vanta però, nel campo, una tradizione molto più solida, sia sul piano dell’impalcatura populista del suo agire politico sia rispetto allo specifico europeo, laddove il suo livello di critica è sempre stato molto forte e anche per via delle sue frequentazioni Oltralpe, con particolare riferimento a Putin: riferimento importante nel momento in cui pare riaprirsi, a livello globale, un confronto di tipo bipolare tra opposti imperialismi.
Particolarmente debole appare, peraltro, la posizione degli “europeisti disobbedienti” valida, forse, per la stesura d’importanti articoli di cultura politica ma difficile da far avanzare nel concreto delle contraddizioni sociali, tanto più che i partiti che sostengono questa posizione appaiono in secondo piano rispetto a un nucleo intellettuale molto presente nei “media” e le cui divisioni si sono riflettute del tutto negativamente sulle potenzialità dell’aggregazione italiana “Pro-Tsipras”. Partiti che, comunque, sembrano proprio aver esaurito – nella loro forma attuale almeno – ogni funzione storica, lasciando del tutto vuota la capacità di rappresentanza delle contraddizioni sociali più rilevanti, quelle che richiederebbero una proposta davvero di trasformazione radicale della società e della politica.
La grande incognita, dunque, è rappresentata dal quanto varrà l’opzione antieuropeista rispetto ai fenomeni tipici di casa nostra.
In ultima istanza si potrebbe affermare, proprio come indicazione di fondo, che i dati in questo momento a disposizione indicano una potenziale contesa per la maggioranza relativa tra PD e Movimento 5 Stelle: se il PD riuscirà, anche sulla base dei favorevoli sondaggi di popolarità per Renzi (non mancheremo mai di far notare comunque gli enormi guasti provocati dal fenomeno della personalizzazione della politica) a “smarcarsi” da un’identificazione totale con l’europeismo di maniera portato avanti negli scorsi anni dai suoi principali epigoni allora avrà chances di mantenere il primato relativo dei voti; diversamente il Movimento 5 Stelle (anch’esso trascinato dalla forza dell’istrionismo personalistico che avrà, in campagna elettorale, facilmente il sopravvento sulle beghe interne al movimento) potrà diventare un ”competitor” molto pericoloso.
In ultimo: massima diffidenza verso i sondaggisti di professione. Come già nel 2013 sono partiti con uno schema prefissato, con il PD in testa e il M5S sottovalutato, a favore della Lista Tsipras data a quote assolutamente superiori alle potenzialità reali.
I voti veri smentirono lo schema adottato nel 2013, e probabilmente la stessa cosa accadrà a Maggio 2014.

Franco Astengo

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