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IL FALLIMENTO DEL CAPITALISMO ALLO SPECCHIO DEL VIRUS

(3 Marzo 2020)

prospettiva marxista

Nella sua informativa alle Camere, il ministro della Salute Roberto Speranza ha affermato che l’azione del Governo di fronte all’epidemia di coronavirus è guidata dalla scienza e non dalla politica.

Un’affermazione a suo modo estremamente significativa. Il ministro ha infatti candidamente riconosciuto che nella società capitalistica l’azione politica è separata da coerenti criteri e metodologie scientifiche, che scienza e politica costituiscono mondi fatalmente scissi e che, nelle loro conseguenti manifestazioni, si escludono a vicenda. La prima è presentata (per quanto agiscano anche su di essa l’influenza e le distorsioni delle logiche e delle dinamiche del capitale) come il regno di verifiche obiettive, di valutazioni fondate, di progettualità ispirate ad una razionalità unanimemente condivisa. La seconda è istintivamente considerata come il mondo dell’assoluta soggettività, dell’arbitrario, degli slogan autoreferenziali. Nel fondo di questa constatazione, che il ministro ne sia o meno consapevole, risiedono le contraddizioni e le conflittualità congenite del capitalismo e della società divisa in classi. Pensare che, di fronte ad emergenze che coinvolgono ampi strati sociali, il capitalismo possa riconoscersi in un’unificante esigenza di specie, al di sopra di interessi particolari e divisioni di classe, è illusorio e utopistico. Ma nel caso italiano c’è anche altro. Abbiamo potuto vedere in piena luce i ritardi, le disfunzioni, le inadeguatezze che un ceto politico formatosi alla scuola della deriva da “campagna elettorale permanente” può comportare persino per importanti interessi borghesi. La prima settimana di emergenza, a fine febbraio, è stata scandita da misure contraddittorie, parziali, incoerenti, adottate da poteri centrali e autorità locali non di rado slegati tra loro, se non addirittura in contrapposizione. Anche di fronte a quella che inizialmente è stata ampiamente descritta nei termini allarmistici di una pericolosissima epidemia in rapida diffusione sul territorio italiano, il mondo politico ha saldamente mantenuto lo sguardo sui sondaggi, sulle esigenze immediate di consenso, sull’imperativo di evitare di prestare il fianco agli attacchi delle parti politiche avverse e di favorirne le avanzate elettorali. L’intervento proveniente dagli ambiti associativi e dalle espressioni di corposi interessi capitalistici ha costituito un richiamo all’ordine verso toni più sobri e misure meno dannose per l’economia, ma non ha rappresentato, né poteva rappresentare, la transizione della politica borghese verso una dimensione scientifica o della scienza a coerente criterio guida per l’azione politica della borghesia. All’allarmismo ha fatto così da contraltare un appello alla rapida normalizzazione più legato alle esigenze del mercato e della produzione che ad un più consapevole approccio medico e scientifico. Con una notevole somiglianza nelle forme e nelle dinamiche essenziali, i fenomeni di psicosi di massa nell’epidemia di coronavirus hanno riproposto alcune questioni centrali dell’allarme immigrazione che tanto ha caratterizzato e caratterizza lo scenario politico ed elettorale del capitalismo italiano: una percezione di massa avulsa dal riscontro con i dati reali, un mondo politico incline ad assecondare e ad amplificare questa percezione, la diffusione di suggestioni catastrofistiche e di reazioni viscerali, la difficoltà persino da parte di importanti frazioni borghesi di arginare e ridimensionare un contagio ideologico non pienamente corrispondente ai loro interessi.

La deriva della società borghese italiana e delle sue espressioni politiche si innesta nel tronco dell’incompatibilità del capitalismo con l’interesse del genere umano, di cui il capitalismo non può essere vero e coerente rappresentante. Il capitalismo può rappresentare e tende a rappresentare l’uomo borghese, con i suoi particolari interessi, separati dall’interesse di specie. Ma non può essere la forma sociale in cui si riconosce un interesse superiore a quello delle classi e, nello specifico, della classe dominante. Il declino di una specifica formazione capitalistica, orfana dell’influsso vivificante della lotta di classe, contrassegnata da una diffusa presenza piccolo borghese, si esprime anche nelle ormai ricorrenti esplosioni di epidemie di irrazionalità. Il connubio tra una borghesia che ha già scritto la sua storia progressiva e mezze classi che non hanno di fronte a sé alcun vitale ruolo storico, il tutto in un brodo di coltura avvelenato da una stasi ormai plurigenerazionale della lotta di classe proletaria, innerva il quadro capitalistico italiano. Un’ennesima, ulteriormente degenere, ramificazione del fusto di una generale formazione capitalistica di freno e ostacolo a quelle superiori forme di organizzazione sociale che le forze produttive rendono già possibili. Le grandiose potenzialità di una nuova e più umanamente coerente dimensione dell’uomo nei processi naturali sono sistematicamente soffocate dal capitalismo. Possono persino essere affogate nelle ondate di irrazionalità collettiva che una scienza, asservita e prostituita dalla borghesia, fatica ormai ad arginare.

Prospettiva Marxista

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