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(29 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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Anche in Germania il sindacalismo di regime sottoscrive aumenti salariali al di sotto del tasso d’inflazione

(2 Dicembre 2022)

Da Il Partito Comunista n. 419

il partito comunista

Il più grande sindacato tedesco, quello dei metalmeccanici – la IG Metall – che conta 3,8 milioni di iscritti, principalmente nei settori automobilistico e delle macchine utensili, venerdì 18 novembre ha siglato un accordo salariale con gli industriali. Quello precedente risaliva al 2018.

Quest’ultimo vale per ora solo per il Baden-Württemberg – il terzo Land (Stato) più popoloso dei sedici che compongono la Repubblica Federale Tedesca, in cui si trovano città quali Stoccarda, Mannheim, Karlsruhe, Heidelberg –, ma è probabile che verrà esteso a livello nazionale.

L’accordo prevede un aumento salariale dell’8,5% in due anni: 5,2% per l’anno prossimo e 3,3% nel 2024; più un pagamento di una somma una tantum esentasse di 3.000 euro.

Questo aumento è al di sotto del tasso di inflazione che attualmente in Germania è in generale del 10,4%, ma con tassi più elevati per alimenti ed energia, beni che naturalmente incidono in modo maggiore sui consumi della classe operaia.

L’inflazione è prevista calare nei prossimi due anni, ma questo non è certo. Inoltre il contratto rinnovato era scaduto a settembre e il primo aumento del 5,2% non arriverà che a fino giugno 2023.

Il 14 settembre la dirigenza della IG Metall – al primo incontro per la trattativa con l’associazione padronale Gesamtmetall – aveva presentato una richiesta per un aumento dell’8% per il solo 2023.

«La nostra pazienza sta venendo meno. Gli industriali devono assumersi le loro responsabilità e presentare un’offerta concreta», ha tuonato Jörg Hofmann, segretario della IG Metall, dopo il fallimento del quarto incontro per le trattative, minacciando azioni di sciopero.

Ma col quinto incontro, svoltosi a Ludwigsburg, vicino a Stoccarda, è pervenuto a siglare l’accordo al ribasso.

Questo non dovrà nemmeno essere sottoposto al voto degli iscritti, giacché tale passaggio per lo statuto della IG Metall è obbligatorio solo se precedentemente i lavoratori sono stati chiamati al voto per decidere se procedere con un’azione di sciopero generale della categoria, cosa che non è avvenuta.

L’accordo ha fatto seguito a una serie di scioperi e manifestazioni a carattere locale, che non sono state unificate dal sindacato in un movimento generale della categoria.

Migliaia di lavoratori hanno partecipato a una “giornata di azione sulla costa”, nel nord della Germania, mercoledì 16 novembre.

Nel complesso, ci sono stati scioperi in 13 città del nord. Ad Amburgo circa 26.000 operai di 80 aziende – tra cui Airbus, Arcelor Mittal, Philips e Jungheinrich – hanno scioperato e in 5.000 si sono riuniti al Mercato del Pesce per la manifestazione. Ad Hannover e Osnabrück si sono radunati in 7.000; a Brema in 2.500; a Kiel in 1.500; a Rostock in 800.

Scioperi di avvertimento, di poche ore, sono stati convocati in varie fabbriche: Liebherr, Neptun Werft, Caterpillar, Otis Aufzüge e Siemens a Rostock; a Lipsia hanno scioperato 1.800 lavoratori della BMW; nel distretto industriale di Feuerbach, a Stoccarda, hanno scioperato circa 2.000 operai della Robert Bosch GmbH, della Coperion, della Mahle, della Koenig & Bauer MetalPrint, della Voith, della Lapp e di molti altri stabilimenti; nella Renania Settentrionale-Vestfalia più di 72.000 operai di 578 aziende del Land avevano partecipato a scioperi di avvertimento per due settimane dalla fine di ottobre.

Assemblee partecipate hanno avuto luogo nelle fabbriche ad Arnsberg, Bielefeld, Duisburg, Mülheim, Gelsenkirchen, Essen, Oberhausen.

La dirigenza dell’IG Metall ha solo minacciato 24 ore di sciopero, senza però mostrare alcuna reale intenzione di unificare ed estendere il movimento. Molti lavoratori hanno chiesto l’organizzazione di uno sciopero a tempo indeterminato e di rivendicare un aumento del 15%.

Il ruolo del sindacalismo di regime è stato candidamente descritto dal quotidiano per eccellenza della borghesia italiana – il Corriere della Sera – in un articolo del 27 novembre dedicato a un confronto fra la situazione dei salari in Italia e quella in Germania, con particolare riferimento all’accordo appena siglato dall’IG Metall: «Che cosa ci insegna la Germania? La concertazione è a tre. I sindacati contengono gli incrementi salariali, che sono più bassi dell’andamento dei prezzi, superiore al 10%. Le imprese assicurano occupazione e investimenti. Il governo agisce con la leva fiscale». Naturalmente l’unica garantita fra le tre funzioni sopra descritta è quella dei sindacati di regime nei confronti dei lavoratori, mentre padronato e governo sono più che liberi di non ottemperarvi.

Intanto, il 12 ottobre il regime borghese di Berlino ha aumentato il salario minimo a 12 euro l’ora e i lavoratori statali della pubblica amministrazione hanno ottenuto in alcuni Länder un aumento del 10,5% con un bonus anti-inflazione di 500 euro.

La forza dell’imperialismo tedesco – fra i più potenti del mondo – ancora permette alla sua classe dominante, coadiuvata dal sindacalismo di regime, di mantenere la classe lavoratrice pacificata. Una situazione destinata a non perdurare, per l’inesorabile avanzare e approfondirsi della storica crisi economica di sovrapproduzione del capitalismo mondiale. Anche la classe operaia in Germania tornerà a lottare al fianco dei suoi fratelli di classe di tutto il mondo.

Partito Comunista Internazionale

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