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(27 Settembre 2011) Enzo Apicella

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Per le pensioni tira aria di controriforma

(29 Ottobre 2006)

Tra gli accordi di maggioranza sulla Legge finanziaria che sembravano acquisiti c'era anche lo stralcio dalla Finanziaria delle questioni attinenti la previdenza le quali, in base al memorandum concordato con le parti sociali, dovevano essere affrontate successivamente. Su questo scorporo si è anche polemizzato, definendolo un prezzo pagato al consenso dei sindacati e delle forze della sinistra presenti nel governo. In realtà, con una navigazione che spesso devia dalla rotta concordata nel programma dell'Unione e con improvvisazioni che logorano la coesione della Maggioranza, nella Finanziaria si sta inserendo con modalità surrettizie una riforma previdenziale di portata strutturale. Purtroppo ha ragione il ministro dell'Economia quando parla di «un accordo storico che chiude un problema aperto da dieci anni, molto importante per la futura pensione dei giovani d'oggi». Ma in che modo «l'accordo storico» risolverà (se passerà) il «problema» pensionistico? E quali sono i termini del «problema»?

Con la piena applicazione delle riforme susseguitesi dai primi anni '90, per i lavoratori dipendenti «regolari» la copertura pensionistica del sistema pubblico si riduce di 20-30 punti percentuali rispetto all'ultima retribuzione: lasciando il lavoro a 60 anni con 35 anni di contributi, nel nuovo assetto si matura una pensione pari al 48 per cento dell'ultima retribuzione; per un lavoratore parasubordinato, anche con l'aumento contributivo stabilito in Finanziaria (che in assenza di modifiche contrattuali si tradurrà in una riduzione dei loro attuali compensi), la copertura rimane inferiore di oltre dieci punti rispetto ai dipendenti «regolari». Questa prospettiva non lascia dubbi sulla necessità sociale ed economica di riportare le pensioni a livelli almeno idonei a garantire una sussistenza dignitosa. Peraltro, se si vuole rispettare l'equilibrio finanziario del sistema contributivo, per risollevare le insufficienti prestazioni che si prospettano è necessario elevare da subito la contribuzione. La necessità di impiegare immediatamente nuove risorse finanziarie per aumentare le prestazioni future è ancora più stringente se si fa ricorso alla previdenza privata a capitalizzazione.

Il punto è che, specialmente dopo la prolungata redistribuzione a danno dei salari avutasi negli ultimi anni, la generalità dei lavoratori dipendenti non è in grado di ricavare dalla busta paga ulteriori risparmi previdenziali. Dovendo impegnare redditi correnti per risollevare le prestazioni pensionistiche future, le uniche risorse di cui concretamente dispongono i lavoratori dipendenti «regolari» (i parasubordinati non hanno nemmeno quelle) sono gli accantonamenti destinati al trattamento di fine rapporto (il Tfr) e i contributi aziendali contrattati per finalità previdenziali. Nel loro insieme queste risorse sono pari a quasi il 10 per cento del costo del lavoro.

Venendo alla Finanziaria, in essa si stabilisce che quelle risorse siano utilizzabili in due soli modi: o per finanziare la previdenza privata a capitalizzazione o lasciandole finalizzate al Tfr. Nel secondo caso, per le imprese sotto i cinquanta dipendenti, gli accantonamenti rimarrebbero tutti nella loro disponibilità (esattamente come ora). Nelle imprese più grandi, invece, gli accantonamenti sarebbero obbligatoriamente trasferiti alla Tesoreria dello Stato, affidando all'Inps il mero compito di gestire il trasferimento. Le imprese sarebbero risarcite dei maggiori oneri finanziari loro derivanti dal ricorso ai mercati finanziari per sostituire quelle disponibilità; inoltre, usufruirebbero del sostanzioso beneficio derivante (solo a loro e non anche ai lavoratori) dalla riduzione del cuneo fiscale. E' difficile individuare in questo trasferimento forzoso e comunque ben retribuito qualcosa «di sinistra». Anche la dubbia finalità di poterlo contabilizzare come un miglioramento del bilancio pubblico (in effetti, a fronte del trasferimento attivo, la Tesoreria acquisisce un pari debito verso i lavoratori senza nessun vantaggio per il saldo di bilancio), ricorda altri tentativi di finanza creativa sempre opportunamente criticati.

Dunque, dopo che le riforme iniziate nei primi anni '90 hanno ridotto più del previsto e del tollerabile (dati ufficiali alla mano) la copertura pensionistica offerta dal sistema pubblico, «l'accordo storico» preclude ai lavoratori la facoltà di aumentarla e di poter utilizzare a quel fine il loro salario differito; se ciò fosse consentito - come la sinistra ha chiesto - le maggiori contribuzioni al sistema pensionistico avrebbero pieno titolo a essere considerate entrate nette per il bilancio pubblico. I lavoratori vengono invece costretti, come unica possibilità di aumentare le pensioni, a fare ricorso alla previdenza privata a capitalizzazione; le risorse così impiegate non arrecano nessun beneficio al bilancio pubblico che, anzi, viene penalizzato dalle ulteriori esenzioni fiscali richieste.

Dopo un decennio di tentativi di forzare difficoltà obiettive, nella prima finanziaria del governo dell'Unione si porterebbe a compimento il progetto sempre giustamente contrastato dalle forze della sinistra di assegnare alla previdenza privata a capitalizzazione un ruolo sostitutivo e non quello integrativo per il quale era stata pensata e offerta ai lavoratori. La funzionalità del sistema pensionistico verrebbe incrinata dalla minore sicurezza delle prestazioni conseguente alla loro dipendenza dai più variabili e incerti andamenti dei mercati finanziari.

Anche la motivazione che lo sviluppo dei fondi pensione sopperirebbe alla carenza d'investitori istituzionali nel nostro sistema finanziario è contraddetta dalle specificità del nostro sistema d'imprese le quali non si quotano in borsa e non offrono titoli azionari agli investimenti dei fondi pensione; se questi espandessero eccessivamente la loro attività (cioè debordando da un ruolo integrativo) sarebbero il tramite - come già avviene - di un enorme trasferimento all'estero di risparmio previdenziale nazionale.

Felice Roberto Pizzuti

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