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Della burocrazia, dell‘estremismo, del rivoluzionarismo

Commento a: «Ora tocca anche alla Cgil»

(25 Gennaio 2009)

Ho già formulato un primo punto di vista a complemento di quanto Giancarlo ha espresso col suo articolo, ma in quel momento non era ancora visibile lo scritto di Lorenzo Mortara. Ora che ho avuto la sorte di ascoltare le riflessioni di Lorenzo Mortara, voglio aggiungere qualche altra idea a quella più semplice che forse adesso si vede in chiaro più sopra.
La prima questione che mi pongo è in quale realtà sociale, sindacale e politica stia vivendo Lorenzo Mortara. Non in quella concreta, quella fatta di rapporti reali di produzione, che macinano fatica e sangue nelle fabbriche italiane e del mondo -se alcuni degli operai della Thyssen arsi vivi poco più di un anno fa stavano là è perché i sindacati di stato (quindi anche la CGIL) in questi ultimi venti anni hanno prima ridotto il salario di quei lavoratori ad una regalia signorile elargita con molto buon cuore dal padronato e vergognosamente concertata dai suddetti carrozzoni sindacali (quindi anche dalla CGIL, in forza dell’ormai antica teoria della buonanima di Lama [segretario CGIL fine anni ’70 inizio anni ‘80] per cui il salario è una variabile dipendente delle esigenze di capitalizzazione dei padroni del vapore), poi hanno concertato che per far arrivare a fine mese gli operai si poteva tranquillamente farli lavorare per due turni consecutivi (cioè 16 ore di fila compresa la notte) in una fabbrica ad altissimo tasso di fatica quale è un’acciaieria-; né nella realtà priva di democrazia, vive Lorenzo Mortara, per cui ancora oggi chissà perché tra le organizzazioni dei lavoratori quelle che sempre meno li rappresentano effettivamente hanno un privilegio di prelazione nelle RSU, per cui si accaparrano al di fuori delle votazioni il 30% di rappresentanza -scelto con metodi correntizi dalle burocrazie tanto vituperate da Lorenzo Mortara- o, peggio, partecipano -per legge, voluta dai concertatori di stato (quindi anche dalla CGIL)- alle contrattazioni locali non essendo neppure presenti nelle RSU elette, come accade nel comparto scuola; e nemmeno nella realtà della cancellazione della dignità umana, vive Lorenzo Mortara, che si alimenta di precarietà e di precarizzazione -altra causa di migliaia di incidenti sul lavoro (centinaia dei quali mortali)-, forme di sudditanza agli interessi dei capitalisti -piccoli o grandi qua poco importa- che ancora una volta il terzetto di consociati allo stato (quindi anche la CGIL) ha costruito insieme ai predatori di lavoro e ai governi che in questi decenni hanno spostato enormi quantità di reddito dalle classi meno abbienti ai proprietari di banche, finanziarie, industrie e terre.
Si potrebbe continuare all’infinito -si pensi alle politiche pensionistiche dei tre lacchè sindacali (quindi anche della CGIL), o alla flessibilizzazione dell’orario di lavoro studiato dai tre apprendisti stregoni (quindi anche dalla CGIL) presso gli eredi di Taylor e Ford- per dimostrare a Lorenzo Mortara che il mondo in cui vive è un altro rispetto a quello reale. In quest’ultimo la CGIL -non la sua burocrazia- ha consapevolmente, e colpevolmente, operato per indebolire la capacità di rivendicazione dei propri diritti -a cominciare da quello ad una vita degna di questo nome- da parte dei lavoratori. Nel frattempo, però, essa ha saputo ben rafforzare le proprie strutture funzionariali e burocratiche che impediscono agli iscritti di influenzare anche solo minimamente le scelte delle consorterie dei segretari a qualsiasi livello ed in qualsiasi comparto.
E ciò accade anche grazie ad una spaventosa povertà culturale di fondo di chi si dichiara comunista. Solo grazie ad essa si può scambiare l’attacco politico leniniano all’estremismo con la propaganda priva di valore della CGIL -tutta- contro il sindacalismo di base. Lenin quando addebitava responsabilità di estremismo a una parte dei movimenti dei primi anni del ‘900 non si riferiva affatto a comunisti un po’ avventati ed eccessivamente violenti. Lenin operando le sue critiche si riferiva a chi, volendo fare dell’anticapitalismo, non voleva essere scientificamente comunista. Lenin, infatti, da comunista, ha compiuto atti estremi, non estremisti, compresa una rivoluzione, che si è voluta comunista, e che non si è compiuta su un tavolo di concertazione tra i bolscevichi, lo zar e la nobiltà terriera pre- e proto industriale. A zar e padroni, a falsi rivoluzionari e pseudo socialisti Lenin e i bolscevichi hanno fatto guerra ideale e politica, e nel ’17 hanno vinto, peraltro in modo non del tutto pacifico (a volte succede, a volte è necessario).
Il dramma vero sta nel fatto che c’è ancora chi, come Lorenzo Mortara, pensa al proprio essere comunista come a un carattere d’appartenenza ad una grossa organizzazione al di là e al di fuori di come essa è veramente nonostante il nome che porta. Questa CGIL non è nemmeno lontana parente di quella che negli anni ’60, pur in ritardo rispetto alla base operaia -i CUB nacquero fuori dalla CGIL e imposero l’istituzione dei consigli di fabbrica tanto al padronato quanto ai sindacati confederali-, quella CGIL seppe per un po’ -poco, non ci si illuda- rimettersi in contatto con la base dei lavoratori. Malgrado questo, la CGIL negli anni ’80 e ’90 ha ripreso il cammino di autodistruzione culturale e politica, e quindi sindacale, che oggi dispiega tutta la sua potenza nella macchina burocratica in cui si è trasformata. Ma pur di appartenere a qualcosa di ‘grande’ ecco che ci si illude che la si possa modificare in senso progressista, se non proprio classista, come fa Lorenzo Mortara.
Anche qua, è evidente, manca un riferimento storico di teoria e prassi che deve appartenere ai comunisti. Ovvero che per essere tali non bisogna dedicarsi alla trasformazione di un’organizzazione sindacale o politica, bensì alla costruzione di un movimento reale che trasformi -ovvero lo distrugga, aggiungo io, sulla scorta della rivoluzione operata da quel grande critico dell’estremismo che risponde al nome di Lenin- lo stato di cose presente -cioè le relazioni di produzione capitalistica del lavoro e della società-. Se questo vogliamo cercare di essere -senza sapere se riusciremo ad esserlo o a diventarlo veramente- non è stando in un immenso castello fortificato e impermeabile a qualsiasi modificazione dall’interno, quale è la burocratica CGIL, che si riesce ad esserlo. Al contrario, poiché quel castello è parte integrante, cristallizzata e amalgamata, dello stato capitalistico delle cose presente va abbattuto e sostituito.
I veri ciechi, questo sì è il colmo, sono Lorenzo Mortara e tutti quelli della Rete 28 Aprile, a partire da Cremaschi, che, non vedendo il mondo reale per quello che è, si fanno portatori d’acqua -voglio credere inconsapevoli, ma non per questo meno responsabili di tutto il resto della CGIL- all’enorme apparato di potere burocratico di cui si dicono critici e che permea e dirige un’organizzazione che si ammanta indegnamente di un nome che non le appartiene più né sul piano sindacale né su quello culturale e politico.
Escano da qual castello triste e tetro Lorenzo Mortara e i 28 Aprile, e respirino l’ossigeno di un movimento, quello comunista, che, benché sia in larga misura da ricostruire, è l’unica realtà per la quale vale la pena tornare con radicalità e durezza ad affermare il diritto di essere uomini nella società, nel posto di lavoro, tra i popoli, sulla Terra.

Brunello Fogagnoli - rivoluzionario - insegnante aderente ai COBAS-Comitati di Base della Scuola

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