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Emergency sotto il mirino della Nato

Emergency sotto il mirino della Nato

(11 Aprile 2010) Enzo Apicella
Il governo fantoccio dell'Afghanistan arresta 9 dipendenti di Emergency, tra cui tre medici italiani

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    (Imperialismo e guerra)

    Alcune note di aggiornamento sull'Egitto

    (28 Luglio 2013)

    Questo aggiornamento riprende il filo degli articoli sull'Egitto pubblicati un anno fa sul primo numero de "Il cuneo rosso". Molte questioni sono già state lì affrontate e non ci ritorniamo in questo testo necessariamente sintetico. Alla distanza, i giudizi e le previsioni che avevamo espresso sono stati integralmente confermati dai fatti, in particolare quelli sulla (im)possibilità del governo Morsy di venire incontro alle rivendicazioni di “pane, libertà, giustizia sociale” che erano alla base della mobilitazione delle masse che lo avevano eletto e delle forze politiche che lo avevano sostenuto.
    Ad un anno dall'elezione a presidente del rappresentante dei Fratelli Mussulmani Mohammed Morsy, considerata da alcuni in Occidente la conferma dell'innata propensione del popolo egiziano a farsi prendere in giro, passando dalla padella del regime dei militari alla brace del fanatismo mussulmano, un nuovo, imponente moto di massa ha preteso, dalle piazze, il suo allontanamento e decretato la fine temporanea del tentativo dell'organizzazione di impossessarsi in modo stabile delle leve del potere. Questo moto non può certo dirsi inaspettato, visto che nell’anno di presidenza di Morsy un'eccezionale mobilitazione operaia e popolare ha fatto vibrare a lungo strade, piazze e fabbriche nei quattro angoli del paese.
    L'esercito, verificata l'incapacità dei FM di governare il dissesto economico e la continua insorgenza dei lavoratori, e di gestire profonde crisi interne (come quella legata alle attività dei clan beduini del Sinai); infastidito dalle troppo “autonome” iniziative in politica estera sulla questione della diga in Etiopia e sulla Siria; ha favorito il cambio al vertice, con l'avallo delle più alte autorità religiose nazionali e della cosiddetta “opposizione liberale”.
    Come interpretare questi avvenimenti? A settembre del 2012 i sondaggi accreditavano a Morsy un gradimento del 78%, gradimento crollato al 19 % a maggio 2013. A tutt'oggi, il 71% degli egiziani si dichiara contrario alle manifestazioni pro-Morsy. Quali le ragioni di un così rapido cambiamento? E l'esito delle recenti mobilitazioni deve considerarsi un ritorno al potere della vecchia guardia camuffata, l'ennesima trappola in cui sono caduti in massa gli egiziani? In poche parole, i lavoratori egiziani sono campioni di stupidità politica o avanguardie della rivoluzione sociale mondiale che sta facendo vedere all'orizzonte il suo primo raggio di luce?
    A queste e molte altre domande che ci pongono i recenti avvenimenti in Egitto, si può cominciare a rispondere fornendo anzitutto qualche dato sulla condizione economica del paese.

    Affamare le masse, come pretende l'imperialismo mondiale in crisi

    Lo stato di dissesto economico ereditato dal precedente governo a guida Scaf (Supremo comando delle forze armate), non è certamente migliorato sotto la presidenza Morsy. Il debito estero è salito a 35 mld di $, le riserve valutarie sono crollate, il paese è insolvibile verso le banche straniere, l'inflazione è in crescita, gli organismi internazionali del capitale finanziario premono per la svalutazione della sterlina egiziana nei confronti del dollaro. I titoli di stato egiziani sono stati ulteriormente declassati giungendo al livello B-. Il tempo concesso al paese per mettere i conti in ordine è di 6 mesi.
    Secondo l'ex ministro delle finanze Samir Radwan, nell'ultimo anno 4.500 aziende hanno chiuso; gli investimenti esteri sono precipitati da 6 (prima del 2011) a 2,7 mld di dollari; il turismo ha avuto un crollo del 17 % rispetto al 2012 a causa dell'instabilità del paese e della politica di islamizzazione dei FM (con restrizioni alla vendita di alcoolici nei siti turistici e controllo sull'abbigliamento femminile sulle spiagge). Sono tutt'ora in alto mare le trattative con il Fondo Monetario Internazionale per ottenere il prestito di cui si parla da più di un anno, il cui importo raggiunge ora i 4.8 mld di dollari.
    Le garanzie pretese per concederlo comportano tutta una serie di misure necessarie a diminuire la spesa pubblica e mettere in condizione l'Egitto di pagare i suoi debiti. Oltre al piano di ulteriori privatizzazioni e svendita delle aziende di stato, si tratta di tagliare la spesa pubblica nella sanità (già ora limitata al 4% del bilancio statale), cosa che del resto Morsy ha fatto favorendo la privatizzazione del servizio sanitario a vantaggio delle strutture gestite dai FM, nella scuola, in tutti i settori in cui interviene lo stato, ma soprattutto (e questo è stato un elemento scatenante delle proteste) si tratta di diminuire drasticamente i sussidi in due settori strettamente legati tra loro: quello alimentare e quello dei carburanti. Per l'imperialismo in crisi le condizioni materiali di esistenza delle masse sfruttate, e perfino dei ceti medi, dell'Egitto sono ancora troppo "tutelate"!
    L'Egitto è il 1° importatore di grano al mondo (il grano estero è necessario per rendere panificabile il grano locale). Quest'anno la produzione ha subito un calo verticale e in molte regioni non c'è stato raccolto a causa dell'aumento del costo del carburante, che ha reso impossibile l'utilizzo dei macchinari necessari alla raccolta, allo stoccaggio e al trasporto del prodotto. L'aumento generale dei prezzi ha coinvolto anche i fertilizzanti aggravando i costi di produzione. La mancata importazione di grano fa sì che le riserve si siano ridotte e coprano appena due mesi di consumo. Solo la vendita del pane a prezzo calmierato ha consentito finora al 20% della popolazione di sfamarsi; nel marzo 2013 scioperi e proteste dei fornai, e dei lavoratori del pane (che guadagnano circa 25 $ al mese) hanno segnalato l'ulteriore riduzione delle rivendite e della possibilità di accesso a questo bene primario.
    Con una popolazione in continua crescita, anche la domanda di energia è cresciuta e dal 2008 l'Egitto è diventato importatore netto di petrolio e gas.
    I sussidi statali al carburante e alle fonti energetiche assorbono quasi il 20% delle spese statali, di cui è ora è prevista una riduzione di 15 mld di dollari. Per ottenere l'assenso delle imprese alla liberalizzazione dei prezzi il governo (qualunque sia) sarà costretto a promettere altre agevolazioni che compensino l'aumento dei costi di produzione (nella trattativa in corso, per approvare il piano di liberalizzazione gli industriali chiedono che sia triplicato il sostegno statale alle esportazioni – in pratica, un'operazione a somma zero). Per di più le ditte straniere che operano nel settore energetico vantano crediti presso lo stato di 5 mld $ e si rifiutano di continuare a vendere a credito. I progetti di ricerca di nuovi giacimenti e di costruzione delle infrastrutture necessarie a importare gas liquido si sono arenati di fronte ai costi, e tutto il sistema è pervaso dalla cattiva gestione e dalla corruzione, fino al vertice massimo (l'ex ministro di Mubarak Fahmy è stato di recente condannato a 15 anni di galera per aver venduto sottocosto il gas ad Israele).
    Le dirette conseguenze sulla vita quotidiana dei lavoratori egiziani non si sono fatte attendere, rendendo più difficile e oneroso l'acquisto delle bombole di gas (reperibili facilmente solo al mercato nero). Il caos energetico ha reso ormai abituali le file ai distributori per comprare la benzina e frequenti i tagli alla erogazione dell'energia elettrica. Mentre l'aumento insostenibile dei prezzi dell'acqua prepara la strada alla sua privatizzazione...
    Nell'ultimo anno i prezzi (compresi quelli dei beni di prima necessità) sono aumentati del 25%, mentre il volume totale degli acquisti è, secondo alcune stime, diminuito addirittura del 70% (il che significa che ampi strati della popolazione comprano solo beni legati alla sopravvivenza). Del resto, circa la metà degli egiziani sono sotto la soglia di povertà o sulla soglia di povertà (nella Grande Cairo vivono 3,8 milioni di poveri), 14 milioni soffrono di insicurezza alimentare, il 31% dei bambini sotto i 5 anni soffre di ritardo nella crescita (nel 2005 era il 23%), il 59% dei bambini abitanti nel sud del paese soffrono di anemie, 1,6 milioni di bambini (dai 5 anni in su) lavorano...
    La vita nelle città, dove da anni è in atto una urbanizzazione selvaggia, è in pieno degrado. Interi quartieri sorgono come funghi privi di ogni infrastruttura, mentre vengono ripresi progetti urbanistici che comportano l'espulsione dei poveri dal centro città (il progetto “Cairo Vision 2050”, risalente al tempo di Mubarak) e il traffico è delirante più che mai. Dopo il 2011 il prezzo delle droghe più diffuse è miracolosamente crollato portando ad un aumento dei consumi in particolare tra i giovani emarginati e disoccupati. L'assenza della polizia dalle strade ha comportato un aumento dell'insicurezza personale, le donne circolano per la strada e partecipano alle manifestazioni a loro rischio e pericolo, la disoccupazione fra i giovani (specie tra i più scolarizzati) e le donne aumenta, nel mentre cresce esponenzialmente il lavoro informale.
    Ci si potrebbe chiedere se Morsy e il suo governo abbiano fatto il possibile per affrontare questa situazione disastrosa, aggravata dal perdurare della crisi mondiale. La risposta è nelle piazze, dove un numero impressionante di manifestanti anche superiore (1) rispetto alla massa che ha mandato a casa Mubarak ha dichiarato che no, non è stato fatto niente per sollevare le loro condizioni di vita, mentre un'ondata senza precedenti di scioperi già prima del 30 giugno aveva denunciato con forza che nessuna rivendicazione operaia è stata presa in seria considerazione, né quelle relative al salario né quelle relative alle libertà sindacali, e ancor meno quelle relative all'espulsione delle dirigenze corrotte e alla ripubblicizzazione delle aziende privatizzate. E non poteva essere diversamente dato l'allineamento totale del programma economico dei FM alle necessità del capitalismo nazionale e mondiale (2) - sebbene, poi, non siano riusciti a fare tutte le "riforme" che il FMI pretende da loro come pre-condizioni per erogare il prestito.
    “Pane, libertà, giustizia sociale” erano e sono tutt'ora le richieste dell'insorgenza popolare in Egitto. Come emerge chiaramente dai dati, di “pane” se n'è visto ben poco; quanto alle altre rivendicazioni, Morsy ha usato come e più di prima lo strumento della repressione (prima del 30 giugno c'erano stati 145 morti) per passare all'islamizzazione della costituzione (primi bersagli, le donne, cui vengono riconosciuti tutti i diritti... purchè non contrari alla sha'ria, e i lavoratori a cui non viene riconosciuto neppure il diritto di sciopero), alla divisione inter-religiosa (culminata con il cruento assalto alla comunità sciita di un villaggio di Giza (4 morti), al controllo dei media. Il ritorno dei militari nelle caserme era stato il frutto di un compromesso basato sull'integrale mantenimento dei loro privilegi e del loro potere economico, totalmente sottratto al controllo dello stato, nonché del loro potere decisionale in materia di difesa e di politica estera, fermamente incardinata sull'alleanza con gli Usa e la collaborazione con Israele.
    Morsy aveva ottenuto i voti necessari alla presidenza sulla base di un accordo politico con tutte le forze di opposizione siglato alla vigilia delle elezioni al Firmont Hotel, con la promessa di condividere il potere e rispondere alle rivendicazioni popolari. Nulla di tutto questo è avvenuto; anzi, sulla base della “legittimità democratica” della sua elezione, i FM hanno dato vita ad una frenetica attività di requisizione di tutti i posti-chiave di potere, sostituendo la vecchia guardia di Mubarak con persone appartenenti alla confraternita, o meglio fedeli alla dirigenza conservatrice di essa. Questa politica è culminata con la nomina, il 16 giugno, di sette governatori appartenenti alla Fratellanza che ha suscitato proteste, manifestazioni, blocchi stradali, assalti ai palazzi governativi nelle città delle province interessate (El Fayoum, Menoufya, Gharbya, Tanta, Kfr el Sheik, Mahalla, Daqahlya, Ismailia, Damietta), mentre a Luxor, la nomina a governatore del capo del Gama' al-Islamia, responsabile dell'attentato al bus di turisti tedeschi del '97 che aveva messo in ginocchio l'industria turistica della zona per anni, ha innescato una vera e propria rivolta cittadina.

    Un “patrimonio” di credibilità gettato al vento

    In soli dodici mesi l'organizzazione dei FM ha dunque sperperato e in parte compromesso il credito di “forza di opposizione dalla parte del popolo” accumulato in decenni di attività in cui, seppur esclusi dal potere, avevano saputo svolgere un ruolo di supplenti del welfare e di custodi della morale della vita familiare e sociale, un ruolo apprezzato dalle masse di poveri e ben tollerato dalle autorità. Hanno saputo mettersi contro non solo le masse lavoratrici colpite dalla crisi economica, ma anche il potere giudiziario; non solo gli oppositori del regime di Mubarak, che non hanno visto alcun cambiamento sostanziale rispetto al passato, ma anche i suoi sostenitori, che pur avevano mantenuto le loro posizioni nell'apparato dello stato e che si sono visti minacciati dall'ingordigia di potere dei FM. I salafiti, in aperta concorrenza con la dirigenza FM, li hanno criticati a causa dell'islamizzazione a loro avviso non abbastanza radicale posta in essere (e, ovviamente, per essere esclusi dal potere); gli islamici moderati o comunque convinti che la religione è un fatto personale che ognuno gestisce col suo dio e non una pratica da regolamentare per legge, hanno manifestato la loro insofferenza aderendo alle proteste. D'altro canto anche l'islam ufficiale ha ritenuto il loro governo arrogante e scomodo (la massima autorità sunnita di Al-Azhar si è schierata contro la Fratellanza, mentre non pochi imam dalle moschee facevano appello alla ribellione, addirittura invitando le donne a separarsi dai mariti se sostenitori di Morsy). Sono state inoltre disattese le aspettative dei nazionalisti cui è sgradita l'amorevole sintonia raggiunta con gli Usa, mentre i copti sono stati immediatamente emarginati nonostante il tributo di sangue versato sotto il governo dello Scaf, per non parlare dei familiari dei martiri, il cui sacrificio, evocato da Morsy nel discorso di insediamento, non è stato in alcun modo risarcito... Odi secolari sono stati superati dall'avversione alla presidenza: perfino a Naga' Hammadi, nell'alto Egitto, due tribù rivali da sempre si sono unite contro di lui...
    Per i FM lo smacco subìto con l'allontanamento dal potere è stato pesante e aprirà certamente delle contraddizioni anche all'interno dell'organizzazione, ma sarebbe un errore pensare che l'influenza dei FM sia finita. Per varie ragioni. La repressione sanguinosa delle loro manifestazioni da parte dell'esercito (3) potrà essere usata per recuperare una parte del credito perduto. Secondo: il loro radicamento da un lato in strati poverissimi, in particolare nelle campagne, dove non hanno concorrenti, dall'altro nei ceti professionali, è tutt'ora molto ampio: ne fanno fede le manifestazioni a favore del ritorno di Morsy che, pur raccogliendo un numero molto inferiore di partecipanti rispetto a quello degli oppositori, si susseguono nel paese, e lo schieramento a suo favore dei principali sindacati professionali (4). Inoltre il riferimento religioso garantisce loro un terreno di influenza sulle masse, e costituisce un richiamo comune tutt'altro che facile da superare. Nonostante le profonde trasformazioni sociali in atto nel paese, infatti, lo spirito religioso, l'attaccamento all'islam anche come fatto identitario, il richiamo ai valori tradizionali e alla famiglia saranno gli ultimi a cadere, specie in assenza di punti di riferimento politici e culturali veramente alternativi. Del resto anche nelle “avanzatissime” società occidentali la famiglia resta ancora oggi un bastione di difesa in particolare nei momenti di crisi. Perciò nell'immediato futuro la loro momentanea disfatta apre un'autostrada davanti all'altra forza a riferimento religioso del paese, i salafiti, che dopo una debole difesa di Morsy, sono rimasti alla finestra a guardare la sua... defenestrazione, proponendosi di lucrare consensi e voti alle prossime elezioni approfittando della loro attuale impasse.

    Una ripresa in grande stile della lotta di classe

    Allora, se certo le ragioni economiche e sociali dello scontento proletario e popolare non mancano, possiamo chiederci: in quest'anno di governo dei FM, cosa è successo nelle fabbriche, nei quartieri, nelle molteplici forme di aggregazione sociale ramificate in tutto il paese? chi ha preparato e organizzato questa imponente mobilitazione? quale ruolo hanno avuto i militari? e ora, in quale stagione siamo: nel cupo inverno della reazione, in cui a menare la danza è sempre la borghesia?
    Le tre scimmiette mediatiche del non vedo, non sento e soprattutto, non parlo, nei mesi precedenti all'imponente mobilitazione nelle piazze, non hanno visto, sentito e soprattutto non hanno parlato della straordinaria mobilitazione operaia e popolare che ha preceduto il 30 giugno, e che ha fatto dell'Egitto la nazione a più alta densità di scioperi, manifestazioni e proteste a livello mondiale. Negli ultimi 5 mesi sono state contate 5.544 azioni di protesta: scioperi, sit in, manifestazioni di piazza, blocchi stradali e via enumerando (sono stati individuati 60 tipi diversi di protesta popolare). Le lotte operaie che si sono sviluppate in tutto il paese vertevano su quattro ordini di richieste: la questione salariale, con la fissazione della paga minima e massima (richiesta difficile da concedere a meno di un drastico cambiamento di rotta in materia di politica economica); la libertà di organizzazione sindacale, con l'approvazione di una legge che garantisse il diritto allo sciopero e all'organizzazione di sindacati indipendenti (richieste invise ai FM, essendo il concetto di sciopero estraneo alla loro teoria e prassi, ed essendo la loro presenza nelle organizzazioni operaie pressoché irrilevante, ad onta di fantomatici “Centri operai” da loro costituiti di recente); il no alle privatizzazioni (questo manco a parlarne, dato che la politica economica dei FM si basa su di esse, anzi, il governo si è rifiutato di riconoscere le sentenze che hanno decretato il reintegro di alcune ditte nella proprietà statale); infine, la rimozione dei dirigenti di fabbrica e sindacali corrotti (e qui i FM ci potrebbero pure stare, a condizione che siano sostituiti da loro uomini – un po' di corruzione e clientela non si nega a nessuno).
    Queste lotte hanno ottenuto dei risultati sul piano salariale specialmente nel settore pubblico, con aumenti anche dell'80% del salario, del resto infimo per operai e impiegati del pubblico impiego, e l'uscita dal precariato di circa 400.000 lavoratori che hanno ottenuto contratti a tempo indeterminato con altrettanti sul punto di ottenerli. Ma a questi risultati parziali si è accompagnata una durissima repressione: arresti, torture, lavoratori aggrediti con i cani poliziotto, licenziamenti arbitrari (650 in sei mesi contro 35 negli ultimi 5 anni del regno di Mubarak...), oltre al tentativo di imporre personaggi legati ai FM ai vertici del sindacato di stato. L'ILO (per quel che vale) ha nuovamente iscritto l'Egitto nella lista nera dei paesi che meno rispettano i diritti dei lavoratori.
    E' stata una ripresa in grande stile della lotta di classe, in continuità con il gennaio-febbraio 2011, ma anche con importanti differenze. Differenze che segnalano, secondo noi, importanti passi in avanti rispetto al 2011: mobilitazione permanente, tentativi di auto-organizzazione e di organizzazione su scala nazionale, partecipazione diretta alla battaglia politica. Una classe operaia in piedi, proiettata in avanti nel quadro di un imponente movimento sociale che non delega, non demorde. Il 25 gennaio 2011 (che a sua volta era stato preceduto da anni di lotte operaie, anche se con un'intensità decisamente inferiore a quella del primo semestre del 2013), la classe operaia era scesa in lotta aderendo al movimento a livello individuale, o con scioperi di fabbrica, ancora inquadrata per lo più nel sindacato di stato, anche se contro le sue direttive: il 28 gennaio alla costituzione in piazza Tahrir dell'organizzazione dei sindacati indipendenti, solo tre sindacati dei servizi ne facevano parte. Oggi si calcola che il movimento dei sindacati indipendenti raccolga tra le sue file, ancorché divise in vari tronconi che rispecchiano l'immaturità politica dei lavoratori e la disomogeneità politica delle loro dirigenze, circa due milioni di lavoratori, mentre anche il sindacato di stato (a cui è obbligatorio appartenere nel settore del pubblico, pena la perdita del diritto alla pensione, alla assistenza sanitaria, ecc.) subisce una profonda contestazione al suo interno, con la messa in discussione della politica dei suoi vertici. All'interno del movimento sindacale, una nota va riservata alla posizione dei sindacati degli ordini professionali e degli insegnanti. Il monopolio che li vedeva dominati dai FM, là dove si sono potute svolgere nuove elezioni dei rappresentanti, ha subito in questi due anni e mezzo una forte scossa: ciononostante la gran parte di essi si sono schierati, nelle giornate di luglio, a sostegno di Morsy.
    Dunque, alla prevalente spontaneità della risposta operaia del 2011 si è sostituito un embrione di organizzazione a livello sindacale in cui si ripresentano le contraddizioni tra vertice e base: un esempio clamoroso è dato dalla recente nomina a ministro del lavoro del presidente dell'EFITU, Kamal abu Eita, il leader del primo sindacato indipendente. Nell'accettare la nomina Eita ha dichiarato che non è più tempo di scioperi, ma è necessario dedicarsi all'aumento della produzione. Questa posizione, però, non è condivisa né da tutta la dirigenza (5) né a livello di base; rimane tuttavia un segnale importante per valutare il reale stato di ambiguità politica del movimento sindacale in Egitto, e soprattutto per comprendere quanto ancora lontana è, per ora, la costituzione da parte della classe proletaria di un'organizzazione politica in grado di interpretarne le rivendicazioni generali.
    Una situazione tutt'altro che lineare e univoca, quindi, all'interno del movimento sindacale, che vedrà nello sviluppo degli eventi ulteriori spaccature e trasformazioni, con cui è necessario fare i conti. Ed è meglio fare i conti con qualcosa di reale, e quindi di contraddittorio e dialettico, che continuare a sfogliare il proprio personale libro dei sogni e condannare la realtà perché non vi corrisponde.

    La campagna Tamarrud e le prospettive

    Il 1° maggio, nel quadro e nel mezzo di questa profonda ondata di proteste e di lotte che attraversa il paese, viene lanciata la campagna Tamarrud (ribellione) che mira a raccogliere entro due mesi quindici milioni di firme per dimissionare Morsy e indire nuove elezioni.
    L'iniziativa parte da un gruppo di giovani legati al Fronte di salvezza nazionale (FSN). Il successo è rapidissimo e raccoglie un'adesione popolare trasversale, ben al di là degli utenti di internet. E' una campagna decentrata e capillare. Tutto il paese ne è coinvolto, fino nell'Alto Egitto, rimasto ai margini nelle precedenti fasi della “rivoluzione” egiziana. Se ne fanno promotori i comitati locali e tutte le piccole o grandi organizzazioni di base createsi nel territorio. La delusione nei confronti dei FM è cocente, la rabbia cresce, la fiducia nel processo “democratico elettorale” si è bruciata, mentre – e questo è evidente, ed è uno dei dati incontrovertibili di questa fase del movimento – cresce la consapevolezza di poter intervenire sulle vicende dello stato (potremmo dire, alzando il tono, sul proprio destino) direttamente, mobilitandosi, scendendo in piazza, mettendo in gioco la propria persona e vita se necessario. Si può dare per certo che tra gli oltre 20 milioni di firme ci siano state anche quelle di ex sostenitori di Mubarak, dei funzionari del disciolto Partito Nazionale Democratico, di appartenenti alle classi sociali medie o medio alte i cui affari sono stati penalizzati dai FM, e chi più ne ha, più ne metta. Tutte le forze politiche di opposizione, visto il successo dilagante della campagna, aderiscono e partecipano alla raccolta di firme e all'organizzazione della “manifestazione da un milione” per il 30 giugno (cifra, come si sa, abbondantemente surclassata).
    Scende in campo la classe operaia di Mahalla, con un comunicato del 21 giugno dove alle rivendicazioni aziendali si unisce la richiesta della “cacciata della banda dei Fratelli Mussulmani”. Viene proclamato uno sciopero generale locale per il 27 giugno, che vedrà l'adesione del 90% dei lavoratori e una grande manifestazione cittadina. Il 26 giugno, una dichiarazione congiunta dell'EFITU, dell'Egyptian Centre for Social and Economic Rights, del Congresso Permanente dei Lavoratori di Alessandria, dei Socialisti Rivoluzionari, dichiara il suo appoggio alla campagna e chiama allo sciopero generale. Ancora una volta, come già accaduto nel gennaio 2011, l'appello non è stato raccolto (non osiamo pensare cosa succederebbe se la classe operaia di Egitto scendesse davvero in sciopero generale: altro che processioni alla CGIL-CISL-UIL!!!); anche se, a differenza di allora, settori organizzati dei lavoratori, tra cui la Federazione dei Lavoratori di Suez e la Federazione dei lavoratori di Porto Said, lavoratori del pubblico impiego che hanno bloccato gli uffici governativi nei giorni della protesta, sono stati tra gli organizzatori del movimento. Di fatto, vastissimi strati di proletariato egiziano mostrano la capacità di muoversi su obiettivi unitari, politici: stanno imparando con la propria e dalla propria esperienza la lezione dell'"azione diretta", e della diretta partecipazione alla presa delle decisioni politiche fondamentali, concetti così astrusi, per ora, qui in Occidente... La forza delle loro mobilitazioni è tale da essere, sempre di più, vista come un punto di riferimento dal movimento mondiale che si sta affacciando alla lotta al di là del mondo arabo, fino agli stessi Brics... L'intervento dei militari, consapevoli che Morsy ha fallito nel compito assegnato loro di garantire il consenso e il controllo sociale al regime, ha inizialmente fatto capire che avrebbe protetto le manifestazioni se fossero state attaccate, badando poi ad impedire che la mobilitazione di piazza prendesse una piega incontrollabile. Tempestivi e pragmatici, consapevoli dei loro interessi da difendere, abilmente camuffati come interessi della nazione, e primi garanti degli Usa e delle altre potenze imperialiste (6).
    Le forze di “opposizione” cosiddette liberali, in realtà liberiste e in vario grado legate ai grandi poteri del capitale globale, hanno salutato il loro intervento e si sono dette pronte a collaborare: non solo lo scontato El Baradei, ma anche Sabbahi, il nasseriano che aveva raccolto grandi consensi alle elezioni, nonché, come detto, i vertici dei sindacati indipendenti. Certamente molti manifestanti che festeggiavano la presenza dei militari sulle strade festeggiavano innanzitutto se stessi, la loro capacità di azione diretta, l'esercizio della "democrazia delle piazze", che aveva costretto l'esercito a schierarsi in questa circostanza dalla loro parte, ma bisogna prendere atto che ancora oggi molti vedono nell'esercito l'unica forza capace di proteggere il popolo dalle minacce interne ed esterne, e l'interprete in ultima analisi dell'interesse della nazione. E' necessario essere consapevoli che le migliaia di bandiere nazionali che sventolano nelle manifestazioni non sono un'allucinazione, ma esprimono il sentimento unificante che l'Egitto possa sollevarsi come nazione, purché venga ben governato: sentimento che da due anni e mezzo sta facendo i conti con un realtà sociale e politica in perenne trasformazione che sta sempre più allontanando, invece, la condizione delle grandi masse sfruttate da quella delle classi proprietarie, sta sempre più separando due differenti e contrapposti schieramenti di classe dentro la medesima nazione. E' proprio questo il punto: che gli operai, i lavoratori, le donne, i giovani proletarizzati e anche i bambini egiziani (come dimostra lo straordinario video-intervista a un ragazzino di 12 anni postato su "A l'encontre"), questi conti li stanno facendo davvero, stanno tirando le somme velocissimamente rispetto ai lenti passi della storia, ma anche caoticamente, contraddittoriamente, così come avvengono i processi veri.
    Un minimo di obiettività, e un po' meno di spocchia orientalista, porta a vedere che in Egitto e nel mondo arabo in generale, da almeno tre anni è in atto una dinamica che porta grandi masse proletarie e impoverite di quel paese a superare sistematicamente se stesse. E' incontestabile, ma nello stesso tempo banale, osservare che manca l'organizzazione rivoluzionaria, manca il Partito, quello con la P maiuscola, che manca del resto ovunque. Questo è fin troppo evidente come è fin troppo evidente che il livello di organizzazione e di coscienza di queste masse è ancora largamente insufficiente per la presa rivoluzionaria del potere - si tratti anche "soltanto", come è, del secondo tempo di una rivoluzione democratica. Ma un rilievo e una valutazione di questo genere hanno senso, hanno un senso che non sia disfattista verso la prospettiva della rivoluzione proletaria, solo se si riconosce che l'attuale capacità politica di mobilitazione e di organizzazione delle masse proletarie in Egitto, la loro capillare auto-attivizzazione, la persistenza delle mobilitazioni di cui è capace, è qualcosa di incommensurabilmente più rivoluzionario rispetto allo stato di cose presenti di quanto i rivoluzionari-che-più-rivoluzionari-non-si-può avessero mai osato sperare; e a patto di comprendere che solo e proprio negli ulteriori sviluppi di questo incandescente seguito di lotte potranno maturare le condizioni per "la organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico". Nel quadro della grande crisi del capitalismo globale a cui il movimento egiziano è strettamente legato, i proletari egiziani stanno svolgendo un ruolo di avanguardia, non ancora per la loro capacità di direzione politica degli avvenimenti, né per le assai limitate vittorie parziali che hanno conseguito, ma per la realtà e la vastità della loro inesausta battaglia al regime borghese sotto qualunque forma si presenti.
    Non è utopia, perciò, "scommettere" sulla possibilità che ancora una volta, di fronte all'impossibilità di qualunque governo borghese - reazionario, liberale, apertamente dittatoriale che sia - di soddisfare le richieste e le aspirazioni che le masse con sempre maggiore ostinazione ritengono necessarie alla propria vita e alla propria dignità, i lavoratori egiziani scenderanno di nuovo in campo per avanzare sulla strada della loro liberazione. Che la loro lotta si estenda a livello mondiale!

    25 luglio 2013


    Note

    1)Un interessante confronto fra il numero dei partecipanti alle varie tornate elettorali, compreso il ballottaggio che ha eletto Morsy, e il numero dei partecipanti alle manifestazioni, ha dimostrato che il numero di queste ultime, misurato in 17 milioni, supera di gran lunga i voti con cui Morsy è stato eletto (13,5 milioni). Con buona pace della legittimità democratica rivendicata dall'apparato FM e dai suoi sostenitori nazionali e internazionali.

    2)La finanza islamica non è che un'operazione lobbystica, legata ai super-capitalistici stati del golfo, e perfettamente inserita nel capitalismo mondiale.

    3)Giustamente denunciata dai Socialisti Rivoluzionari, che sono stati da subito contrari all'intervento dell'esercito e hanno segnalato come, in molte occasioni, i manifestanti abbiano gestito in prima persona gli scontri con i sostenitori di Morsy. La repressione sanguinosa di questi non è che un modo per attizzare l'odio tra proletari (poiché non mancano i proletari nelle piazze pro-Morsy) e mantenere il paese in uno stato di guerra civile strisciante che renda "indispensabile" lo stretto controllo delle forze armate sulla intera vita della società.

    4)Questi ultimi, sempre dichiaratisi estranei alla “politica”, si stanno ora interrogando su come partecipare attivamente alla campagna per reintegrare Morsy nel suo ufficio anche con scioperi o manifestazioni ad hoc.

    5) Fatma Ramadan, vicepresidente dell'Efitu, ha rilasciato diverse dichiarazioni contrarie ai militari, affermando che mai i lavoratori potranno rinunciare al diritto di sciopero.

    6)La reazione delle cancellerie imperialiste a quanto è avvenuto in Egitto è improntata allo sconcerto e alla confusione totale. Obama che inizialmente criticò, dal Sudafrica, le dimostrazioni gigantesche con il pretesto che delle donne erano state molestate, non è riuscito ancora a prendere una posizione chiara su quello che è successo in Egitto. Da ultimo il portavoce della Casa Bianca ha affermato che l’amministrazione americana non ha ancora deciso se definire o meno l’intervento dei militari un colpo di stato. Lo stesso può dirsi per i governanti europei, rimasti particolarmente scossi dalla velocità con cui Morsy e i Fratelli sono stati spazzati via. Anche le cancellerie europee non si pronunciano ancora sugli eventi egiziani, mentre nettamente positiva è stata la reazione dell'Arabia Saudita e del Kuwait, che si sono subito fatti avanti con un prestito di 12 miliardi di dollari (a quali condizioni?) .

    La redazione de "Il cuneo rosso"

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