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(16 Dicembre 2010)
anteprima dell'articolo originale pubblicato in www.webalice.it/mario.gangarossa
Berlusconi – afferma il Financial Times - ha portato a casa la pelle ottenendo una risicatissima maggioranza che si configura come un contratto a termine. Con queste carte va al vertice europeo che deciderà i criteri con cui i vari paesi dovranno governare il debito pubblico e le reazioni sociali alle conseguenti misure antipopolari che dovranno adottare. E’ evidente che sulla base di questi dati si andrà rapidamente alle elezioni.
Il voto parlamentare rivela chiaramente due cose:
1) la fragilità e l’inadeguatezza del ceto politico espresso dalla classe dominante sia nella sua versione berlusconiana che in quella della sua composita opposizione.
2) L’enorme e crescente divaricazione tra le istanze e i riti del Palazzo e la società, soprattutto sul versante dei giovani e delle nuove generazioni a cui viene negato pubblicamente e strutturalmente un futuro. La rivolta sociale esplosa martedi 14 dicembre a Roma, dopo aver covato per settimane nelle scuole e nelle università di tutto il paese, afferma chiaramente che l’incantesimo su cui si era retto l’equilibrio sociale in questi anni si è rotto in più punti.
Di fronte ad una realtà conflittuale e socialmente pesante, non sono pochi – a destra come a sinistra – che la leggono con la testa rivolta all’indietro.
Ci sono coloro che si nascondono dietro la ridicola tesi dei black block per impedirsi di vedere come stanno le cose e ci sono coloro che evocano lo spettro degli anni ’70 – che avevano creduto rimosso e sconfitto – per impedirsi di vedere la dimensione europea assunta da una rivolta sociale dentro e contro la crisi della civilizzazione capitalistica. Lo confermano le dure manifestazioni che avvengono contemporaneamente in Grecia o in Gran Bretagna e negli altri paesi dell’Eurozona.
Se è vero che alcune delle forme del conflitto possono somigliare a quelle più dure di trenta anni fa, è soprattutto vero che è nuova la sostanza del conflitto stesso.
Questo movimento di giovani proletarizzati dalla crisi esprime nitidamente l’esplosione della contraddizione tra aspettative e realtà. Se il ’68 o la Pantera degli anni ’90 ambivano a diventare classe dirigente, questo movimento del primo decennio del XXI° Secolo – in ciò più simile a quello del ’77 – vede chiudersi ogni mobilità sociale e prospettiva sul futuro.
Sono ormai 18 anni – da quel maledetto 1992 che avviò i governi subalterni ai Trattati Europei - che uomini di governo, industriali, economisti, giornalisti, dirigenti sindacali vanno ripetendo alle nuove generazioni che devono scordarsi un lavoro o un salario dignitosi, devono rassegnarsi a vivere in una precarietà totale sul piano complessivo, devono scordarsi una pensione o una abitazione a prezzi abbordabili o una istruzione accessibile. Non solo. Hanno provato a giocare questa prospettiva contro i diritti acquisiti dalle generazioni precedenti sulle quali però si sono abbattuti gli effetti antisociali della crisi e delle misure adottate dai governi europei. Come potevano pensare che la maggioranza sociale – e non quelle parlamentari – potessero accettare questo massacro sociale e questa negazione del futuro senza reagire duramente?
Questo movimento segna una forte discontinuità con un recente passato imbrigliato dai giochetti della politica e crea le condizioni per una nuova stagione del conflitto sociale a dimensione europea.
Da questo occorre partire per una forte mobilitazione di segno apertamente anticapitalista e con una seria e attiva soggettività comunista al suo interno.
15 dicembre 2010
La Rete dei Comunisti
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