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Ogm, tumori e timori

(27 Settembre 2012)

Da "Il Manifesto" (27/9/2012)

La recentissima pubblicazione di uno studio effettuato da un'equipe di ricerca francese (con la partecipazione di una ricercatrice dell'Università di Verona) sugli effetti del mais transgenico NK603 resistente all'erbicida Roundup, entrambi prodotti dalla Monsanto, getta nuove ombre sulla sicurezza di questi prodotti. Il lavoro svolto dal gruppo guidato dal Prof. Gilles-Eric Sèralini, dell'Università di Caen, presenta tre importanti novità sperimentali rispetto alle precedenti ricerche. Innanzi tutto i ratti studiati sono stati esposti al mais transgenico per tutta la loro vita (circa due anni), contro i 90 giorni di sperimentazione richiesti dalle autorità competenti per il rilascio delle autorizzazioni al commercio. Questo aspetto è di estrema importanza, visto che molte patologie tumorali presentano un tempo di latenza molto lungo. Basti pensare ai tumori al polmone da fumo di sigarette, al mesotelioma pleurico da esposizione all'amianto o all'angiosarcoma epatico da esposizione al Cvm (mattone costituente del Pvc, una delle plastiche maggiormente usate) che possono presentarsi dopo decenni dalle prime esposizioni.
La seconda novità è che alcuni gruppi di animali sono stati esposti contemporaneamente al mais transgenico e all'erbicida Roundup, una condizione che rispecchia più verosimilmente il tipo di esposizione cui sono soggetti gli animali alimentati con questo tipo di mais, dal momento che i residui del composto chimico nel prodotto commerciale sono difficilmente evitabili. Infine, lo studio sugli effetti di somministrazione della formulazione commerciale dell'erbicida diluito nell'acqua a concentrazioni riscontate nelle falde acquifere o considerate di sicurezza dalle autorità sanitarie. I dati di tossicità fin qui considerati, infatti, riguardano solo il principio attivo, ovvero la molecola responsabile della morte delle piante e non il formulato in commercio, che contiene altri composti che potrebbero interagire con la molecola biocida. I risultati dello studio sono decisamente preoccupanti e mostrano una diversa risposta tra i sessi. Le femmine esposte al mais transgenico e all'erbicida hanno sviluppato tumori alle ghiandole mammarie, mentre per i maschi i danni maggiori sono stati riscontrati a livello dei reni. Inoltre, le numerose analisi biochimiche effettuate nel corso della sperimentazione sul sangue e le urine dei ratti, hanno mostrato che il 76% dei parametri alterati per entrambi i sessi erano riconducibili ad alterazioni a carico del fegato. Ora, se è vero che non basta un singolo studio per dare risposte definitive ad un tema tanto complesso, altrettanto vero è che definitivi non possono esserlo gli studi che dimostrano l'innocuità degli Ogm, studi effettuati dagli stessi produttori, per periodi troppo brevi e su un numero di animali molto più esiguo. Nel dubbio, e nelle more di una risposta più vicina possibile ad una verità definitiva sulla sicurezza degli Ogm, il principio di precauzione, riconosciuto nella legislazione comunitaria, dovrebbe prevalere sugli interessi commerciali che hanno imposto le piante transgeniche sul mercato alimentare.

Fabrizio Fabbri - Direttore Scientifico Fondazione Diritti Genetici

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