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A proposito di classe, coscienza di classe e partito

(3 Febbraio 2013)

E’ assolutamente innegabile il fatto che, nell’attuale momento storico, segnato da una crisi non solo economica e strutturale, ma anche ideologica, politica e morale, che investe le radici stesse del modello di sviluppo occidentale che ha dominato il mondo negli ultimi decenni, serva la costituzione di un partito nuovo che si batta in nome e a fianco dei lavoratori, un partito che sia un’organizzazione di classe e rivoluzionaria, da creare ora e subito, o al più presto possibile. Serve in quanto è l’unico strumento davvero idoneo a promuovere una chiara coscienza della crisi e una coscienza di classe.

Ma ciò a cui alludo non è esattamente un partito inteso nel senso classico e tradizionale, né tantomeno un partito professionistico di stampo post-leninista, o giacobino. Dico “post” non a caso, poiché la storia raccontata sul partito leninista è un cumulo di menzogne e mistificazioni. In ogni caso, neppure il vero partito leninista sarebbe oggi adeguato alla morfologia dell’odierno proletariato, che consiste nel precariato diffuso.

Oggi non servono né la supponenza degli apparati gerarchici e delle nomenclature burocratiche, né tantomeno l’arroganza e l’ottusa autoreferenzialità dei funzionari e dei mestieranti della politica. Serve piuttosto un altro tipo di formazione politica del proletariato e dei lavoratori, possibilmente una forma auto-organizzata. Vediamo quale.

Parto da ciò che asseriva Marx: “il proletariato si costituisce in quanto classe in opposizione al capitale”. Ciò implica l’esigenza di un partito come prodotto della classe, al di là dell’assunto per cui la coscienza di classe è esterna alla classe stessa. Serve dunque un partito che risponda alle istanze reali del proletariato, che oggi è rappresentato soprattutto da quei lavoratori (sotto)salariati più deboli e indifesi, vale a dire i giovani precari e i migranti, e ciò può determinarsi solo attraverso l’acquisizione e la crescita dei contenuti, dei gradi e delle forme della sua consapevolezza come classe.

In tal senso, il compito essenziale di un partito rivoluzionario non è quello di essere una “avanguardia” in chiave sostitutiva rispetto alla classe, ma promuovere e diffondere nella maturazione di questa coscienza rivoluzionaria i principi elementari del socialismo scientifico, propagandare i presupposti e gli strumenti organizzativi di un’autentica “democrazia proletaria” che tenda all’unità e alla solidarietà proletaria, rappresentare in modo chiaro, coerente, concreto, la prospettiva internazionalista della lotta di classe.

E’ evidente che non si può postulare a priori un modulo organizzativo a prescindere dal modo in cui si svolgeranno le dinamiche di classe, né prefigurare o mutuare forme storicamente esaurite. Il partito deve porsi come uno strumento duttile e dinamico, in grado di adeguare la sua stessa organizzazione a seconda di come si dipana il gomitolo degli avvenimenti, un mezzo di lotta e di organizzazione immerso nelle lotte dei proletari e dei lavoratori auto-organizzati, per cui deve agire senza pretese messianiche.

Bisogna valutare il modo in cui si sono determinati alcuni eventi di notevole importanza sintomatica: si pensi ad alcune iniziative e manifestazioni di lotta del moderno proletariato precario. Non hanno avuto affatto bisogno della “potente macchina organizzativa del partito”, come sostenevano gli stalinisti e neppure il vecchio PCI, nonostante disponesse di una grande macchina organizzativa, è mai riuscito a mobilitare due milioni di persone in piazza in pochi giorni. Eppure, ciò accade oggi in Italia e in quasi tutti i Paesi europei. Ciò che manca a questi eventi è la razionalità delle forme di lotta, ovvero la coscienza di essere una classe e non un coacervo di persone disperate.

Oggi gli Indignati hanno individuato il nemico, cioè le banche e l’alta finanza internazionale (e questo è già un fatto di primaria importanza), ma ancora non riescono ad afferrare la necessità, o quantomeno il modo, di rompere la catena del comando capitalistico. E’ semplicemente una fase transitoria, ma estremamente significativa. Per cui occorre un partito per affermare esattamente che l’attuale crisi non si può superare nel quadro del capitalismo, ma bisogna riorganizzare la produzione economica andando oltre il capitalismo stesso. Il superamento di un sistema economico e sociale ormai degenerato e fallito quale il capitalismo, non può prodursi solo con la protesta e l’indignazione, ma serve un’azione cosciente e volontaria per abolirlo. E serve un partito per costruire il senso comune di questa necessità, per prefigurare uno sbocco rivoluzionario, vale a dire una fuoriuscita dalla crisi in una diversa formazione sociale.

La necessità di un partito è un limite dovuto alla difformità dei gradi di acquisizione della coscienza di classe, ma è una necessità storica immanente, cioè intrinseca all’attuale momento storico. Non servono, dunque, modelli organizzativi precostituiti, ma servono l’azione e la creatività del proletariato moderno per conferirgli una forma duttile e dinamica in grado di respirare all’unisono con la classe stessa. Paradossalmente il proletariato vincerà esattamente quando cesserà di esistere in quanto classe sociale.

Concludo evidenziando l’assoluta e irriducibile incompatibilità delle posizioni esposte finora a proposito di coscienza di classe e partito, con quanti celebrano ottusamente la sacralità del “Partito”, ragionando e comportandosi esattamente come quei cattolici fanatici e irredenti che esaltano dogmaticamente la sacralità della loro “Chiesa laica”.

Lucio Garofalo

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