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L’ORIGINE DELLA CRISI, LA LOTTA DI CLASSE E IL SOVVERSIVISMO DELLE CLASSI DIRIGENTI

(12 Settembre 2013)

Il grido di “pericolo” sta attraversando l’intero sistema di potere, amplificato dalla compiacenza dell’ apparato comunicativo: “ L’instabilità mette a rischio la timida ripresa dalla crisi”.

Siamo di fronte alla necessità, ancora una volta, di demistificare quanto questa vera e propria “cappa di piombo” di stampo orwelliano che ci sovrasta sta tentando di far credere all’opinione pubblica (e usiamo volutamente un termine così generico come quello di “opinione pubblica”.)

Rivolgiamo allora proprio alla generalità dell’opinione pubblica questa domanda: a chi risale la responsabilità della crisi?

Antonio Gramsci, per rispondere, avrebbe scritto di “sovversivismo delle classi dirigenti”: una definizione che si attaglia perfettamente alla situazione attuale, contraddistinta da una feroce gestione del ciclo capitalistico (non ci stancheremo mai di ripeterlo), accompagnata nello specifico del caso italiano da una crisi verticale della credibilità dell’agire politico, nel suo complesso, e da una “questione morale” che investe per intero il delicato tema del rapporto tra etica e politica, non certo riducibile alla decadenza o meno da senatore del pregiudicato Silvio Berlusconi.

Siamo davanti ad una crisi complessiva che è possibile definire come di carattere “sistemico” che colpisce duramente i comuni cittadini nella materialità delle loro condizioni di vita e anche nell’idealità del sistema di valori e delle stesse prospettive per il futuro.

Un “ceto separato”, composto non soltanto dai cosiddetti “politici” che, oggi, nel suo insieme mistifica le ragioni riguardanti il vero “perché” al riguardo della rottura dei legami che univano passato, presente, futuro unificando il tutto nel mostro di un presente “divoratore” a vantaggio esclusivo del più forte.

Altri perché dovrebbero essere spiegati e, comunque, ricordati: come è successo che si è dato via libera, da tutte le parti, a un processo di finanziarizzazione dell’economia di proporzioni gigantesche che ha finito, com’era naturale fosse, la maggior parte dell’economia reale; come si è formato questo gigantesco debito pubblico che minaccia a questo punto non tanto e non solo la sovranità degli stati ma addirittura l’essenza stessa della democrazia, lasciando il campo al potere assoluto di organismi sovranazionali, lontani da ogni qualsiasi possibilità di controllo collettivo.

Al riguardo della formazione del debito pubblico, per quel che riguarda l’Italia, è bene ricordare che negli ultimi vent’anni, dal 1993 in avanti, data dell’introduzione del sistema elettorale maggioritario si è avuta un’effettiva alternanza di governo: il centrodestra ha governato per 6 mesi nel 1994, per cinque anni dal 2001 al 2006 e per tre anni dal 2008 al 2011, il centrosinistra per cinque anni dal 1996 al 2001 e per due anni dal 2006 al 2008, i tecnici per 1 anno e mezzo dal 1995 al 1996 e per un altro periodo analogo tra il 2011 e il 2013, anno nel quale si è formato un governo organico di “larghe intese” con presidente di centrosinistra e vice di centrodestra.

Torniamo però all’analisi della crisi: una crisi, quella che stiamo vivendo giorno per giorno, condotta dai “potenti” con inaudita tracotanza ideologica, puntando a ripristinare antiche “condizioni di classe”, dalle quali pensavamo di essere usciti anche attraverso compromessi che apparivano sufficientemente stabilizzati, in particolare da questa parte del mondo, nel cuore dell’antico Occidente.

La sinistra ha completamente smarrito, sotto quest’aspetto, la memoria delle grandi contraddizioni storiche che sono state attraversate nel corso del 900, tra guerre e rivoluzioni e si è consegnata, mai e piedi, all’ideologia dell’avversario, in nome dell’analisi colpevolmente errata della fine – appunto – delle ideologie e della distinzione destra/sinistra (perfino Norberto Bobbio cercò, inutilmente, di richiamare la sussistenza di questa distinzione di fondo ma, nella parte terminale della sua opera, fu molto riverito e altrettanto poco ascoltato).

Si punta chiaramente, da parte dei ceti dominanti, a una tecnocrazia intesa come “dittatura delle coscienze” e all’imposizione di un modello di vita segnato – rovesciandone il senso ovviamente – dalla “contraddizione principale” di marxiana memoria e dal pressapochismo di una forma di vera e propria “decadenza storica” che ha contrassegnato gli ultimi 20 anni d storia.

A sinistra, al riguardo di questi aspetti, si è letteralmente “smarrita la sinderesi”, abdicando dalla politica sostituita con il personalismo delle ambizioni soggettive e da una tragica forma di “individualismo competitivo”.

Come rispondere a questo drammatico stato di cose: recuperando l’idea della politica come rappresentazione concreta della realtà sociale; come momento di promozione di nuovi livelli di attivizzazione dal basso ma soprattutto sviluppando il concetto di identità allo scopo di produrre egemonia attorno alle coordinate di fondo di una teoria politica in grado di promuovere un progetto di profonda trasformazione.

Serve, a sinistra, una diversa soggettività capace di intrecciare ideologia e idealità, svelando l’enormità delle mistificazioni dell’avversario e tornando a chiamare il confronto sociale con il suo vero nome “lotta di classe”.

Franco Astengo

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