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OGGI, COMUNISTI IN ITALIA: L’AUTONOMIA DELLA SINTESI

(30 Settembre 2013)

Il tema dell’autonomia culturale e politica si colloca, in questa fase, al primo posto di una possibile agenda per un dibattito volto a riprendere il tema della presenza organizzata dei comunisti, e dell’insieme delle forze anticapitalistiche, in Italia.
Beninteso: un tema da porre con l’indispensabile respiro internazionalista, in un quadro assai complesso di mutamento del ciclo e dell’insieme delle relazioni statuali, economiche, sociali a livello globale.
Non è però possibile sfuggire all’esigenza, assolutamente prioritaria, circa l’avvio di un processo di ricostruzione della rappresentanza politica dei comunisti in Italia: rappresentanza politica della quale sono privi ormai da tempo.
Un’assenza che ha causato un vero e proprio “vulnus” nel complesso delle dinamiche in atto al riguardo delle lotte sociali e del confronto politico nel nostro Paese e, di conseguenza, in Europa.
Torniamo comunque al punto di partenza: quello dell’autonomia.
L’ultimo lavoro di Mario Tronti “Per la critica del presente” è composto di un testo suddiviso in “voci”, ciascheduna delle quali rappresenta l’indicazione di un terreno di ricerca sul piano teorico e anche più direttamente dell’applicazione politica.
Ebbene al primo posto tra queste voci si colloca proprio “autonomia”.
In realtà nell’introduzione l’autore dedica due righe a un altro punto, che risulta essere propedeutico a tutto il resto del ragionamento: “Zur Kritik”. Per la critica: un’abitudine marxiana, imparata, coltivata, affinata, mai dismessa”.
Dunque “autonomia e critica” : Zur Kritik und Reichweite, binomio inscindibile.
Due punti, allora, desunti dal testo della “voce” come si trova elaborata nel volumetto di Tronti: autonomia come segno del carattere della modernità; autonomia come parola “prima” del lessico della politica, da cui tutte le altre parole discendono.
Autonomia – scrive Marco Bascetta in una lunga recensione apparsa sulle colonne del “Manifesto”, “voce decisiva, quella con cui tutte le altre debbono misurarsi. L’elemento fondativo che non si limita a regolare, ma abbatte e istituisce, distrugge e crea. Non c’è rottura dell’esistente senza scontro con il nomos che la fonda. Ma “autonomia” non unisce ma divide”.
Quindi si può aggiungere: autonomia “divide” perché non può essere altro che il patrimonio di una “parte”, contrapposta all’autonomia delle “altre parti”.
Ed è dal termine “parte” che deriva “partito”.
Ai comunisti, in Italia, mancano da più di vent’anni l’autonomia e di conseguenza il “Partito”: quanto è stato posto in mezzo nel corso di questo periodo è stato condizionato, da un lato dall’autonomia del politico esercitata nel senso dello “sblocco del sistema” quale unica indicazione esaustiva nella direzione della governabilità, dall’altro da una supposta (molto supposta) “autonomia del sociale”, malintesa come richiedente sia la fine della strutturazione politica, sia come primato del movimento (come abbiamo visto nell’occasione, del g8 di Genova: occasione tragica non solo per i fatti che vi accaddero e per la repressione poliziesca, ma per il vero e proprio “passo indietro” che fu compiuto dalla sinistra italiana, comunista e non comunista, proprio sul terreno dell’autonomia teorica e politica).
I comunisti, in Italia, almeno dallo scioglimento del PCI in avanti hanno smarrito la capacità di intreccio tra autonomia del politico e autonomia del sociale, lasciando così che queste corressero parallele esercitando insieme governativismo (deleterio, in particolare a livello locale) e movimentismo.
In questo modo è saltato completamente il concetto di “politica delle alleanze” ridottasi a una mera espressione di subalternità tattica e si sono perduti punti fondamentali sul terreno dell’identità, smarrendo qualsivoglia capacità egemonica.
Nasce da questo stato di cose la perdita della rappresentanza istituzionale a livello parlamentare, fattore del tutto esiziale causa principale per quell’espressione di vera e propria “minorità politica” che registriamo oggi in tutti gli atti compiuti da diversi soggetti rimasti in campo.
E’ arrivato il tempo di riflettere davvero su questi elementi, alla vigilia di importanti scadenze che si collocano al centro di una fortissima controffensiva di destra, sia sul piano dei contenuti economici e sociali ma soprattutto sul terreno della qualità della democrazia attraverso espressioni di una ripresa evidente di fenomeni di vera e propria repressione poliziesca.
Potrà essere soltanto dal raggiungimento di una reale autonomia teorica e politica che si potrà tornare a parlare coerentemente di identità facendo discendere, coerentemente, una definizione di egemonia, intesa e praticabile nelle modificazioni dell’oggi nello specifico del rapporto tra struttura e sovrastruttura, in un quadro di vera e propria “rivoluzione passiva” imposta dall’esercizio da parte dell’avversario di una vera e propria ideologia dominante.
La riflessione sull’autonomia non può però essere disgiunta da un’azione politica immediata: serve la ricostituzione in tempi brevi di una soggettività politica dei comunisti e degli anticapitalisti.
Una soggettività politica strutturata in partito (appunto la “parte” che non unisce ma divide, espressione immediata di un’autonomia del pensiero), senza cedere alle mode del momento: quella della cosiddetta “rete” (intesa come forma organizzativa s’intende, altra questione quella dell’utilizzo della rete informatica per le comunicazioni, lo scambio di idee, la lievitazione del dibattito) oppure, sempre per fare degli esempi, del modello radicaleggiante della “doppia tessera” o della pluralità di appartenenza.
Un partito che si ponga immediatamente alla ricerca di quella che potrebbe essere definita “Autonomia di sintesi”, superando il parallelismo tra autonomia del politico e autonomia del sociale.
Un partito che non sia semplice “rifugio aggregativo” per gli orfani di diverso livello, ma sia luogo insieme di aggregazione e di elaborazione.
Un partito che, come stava scritto sulla copertina di un vecchio opuscolo ani’70: “non sia coscienza separata, né riflesso dell’autonomia del movimento, ma teoria, progetto politico, memoria della lotta di classe”.
Franco Astengo

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