">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Capitale e lavoro    (Visualizza la Mappa del sito )

Salvate la Sanità

Salvate la Sanità

(28 Novembre 2012) Enzo Apicella
Secondo Monti il sistema sanitario nazionale è a rischio se non si trovano nuove risorse

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

APPUNTAMENTI
(Capitale e lavoro)

SITI WEB
(Capitale e lavoro)

Capitale e lavoro:: Altre notizie

LA CRESCITA DELLE DISEGUAGLIANZE, TEMA CENTRALE DELLA POLITICA

(13 Ottobre 2013)

Le analisi più importanti arrivano dagli USA: gli effetti sociali dirompenti dell’accentuazione delle diseguaglianze hanno creato un fossato tra ricchi e resto della società.
Una società sempre più divisa tra ceto benestante e una società di massa a reddito medio – basso, o addirittura sulle soglie dell’indigenza, senza più nulla in mezzo.
Non è solo la sinistra a preoccuparsi di questo stato di cose: come riferisce una corrispondenza da New York di Massimo Gaggi, apparsa sul supplemento “La Lettura” del Corriere della Sera”, è appena arrivato in libreria “Average in Over”, un saggio di Tyler Cowen, economista della George Mason University (geniale, provocatorio, certo non progressista) che disegna scenari futuri nei quali i ceti intermedi, come suggerisce il titolo, scompaiono.
Più precisamente si allarga la differenza fra il 10-15% della popolazione che, svolgendo professioni non intaccate dall’automazione o avendo imparato a dominare le macchine e a migliorarne il rendimento, vivrà in condizioni di grande benessere e tutti gli altri.
Gli altri sono quelli che troveranno impieghi negli interstizi della società robotizzata o che svolgeranno lavori, come quelli degli infermieri, che le macchine non riescono a sostituire ma che non richiedono una grande qualificazione.
Quali i fattori che hanno prodotto la prevedibilità di questo futuribile cupo scenario?
Fino a qualche tempo fa, l’opinione prevalente era che le difficoltà nelle quali si dibattono quasi tutti i Paesi industrializzati fossero legate, oltre alla crisi finanziaria planetaria del 2008, a una globalizzazione che ha creato di certo nuove opportunità, ma ha anche provocato un trasferimento di ricchezza senza precedenti dall’Occidente ai paesi emergenti, soprattutto quelli dell’Asia.
La tecnologia non aveva avuto, fino a questo punto, un ruolo centrale nell’analisi: adesso invece si comincia ad accorgersi che, nell’epoca del rapido sviluppo delle tecnologie digitali, nei paesi industrializzati il motore della creazione di posti di lavoro si è inceppato.
Negli ultimi tempi, poi, sono emerse anche nuove analisi più focalizzate sugli effetti che la rivoluzione digitale sta avendo sulla distribuzione del reddito (e i riferimenti di queste ricerche sono Stati Uniti: pensiamo alla situazione italiana, dove impera, in questo senso, un vero e proprio analfabetismo di massa, come hanno dimostrato anche le stesse recenti ricerche dell’OCSE).
L’attenzione di molti ricercatori si è quindi appuntata sul cambiamento della distribuzione del reddito tra capitale e lavoro.
Si cita un saggio di Noah Smith, giovane economista della Michigan University: ” durante quasi tutta la storia moderna i due terzi della ricchezza prodotta è servita per pagare i salari mentre il terzo è andato in dividendi, affitti e altri redditi da capitale. Ma dal 2000 (quindi ben in anticipo dal fallimento di Lehmann and Brothers del 2008) le cose sono cambiate. La quota del lavoro ha cominciato a calare sensibilmente fino ad arrivare al 60%, mentre i redditi da capitale sono cresciuti”.
La causa vi ricercata nella tecnologia, in passato il progresso tecnico aveva sempre aumentato la capacità dell’essere umano, ma quell’era sembra passata, la nuova rivoluzione, quella del computer e della capacità digitali, riguarda le funzioni cognitive, non l’estensione delle capacità fisiche.
Nel dibattito tra gli economisti, a questo proposito, si oscilla tra una previsione di un futuro di disoccupazione di massa, restando – in alto – le professioni che richiedono creatività, intuito, capacità di persuadere, e – in basso – lavori che non richiedono la capacità di saper riconoscere un linguaggio, come preparare un pasto o riassettare una camera d’albergo e una previsione di non riduzione sostanziale nell’offerta di lavoro ma in suo degrado dal punto di vista della qualità e, di conseguenza, un abbassamento del reddito complessivo.
Come potrà affrontare la politica, chiamata direttamente in causa, questo stato di cose?
Da molte parti, infatti, si teme un adattamento di massa all’ineluttabile in un mondo che non si ribellerà e, anzi, sarà sempre più conservatore (come conservatori, è stato giustamente fatto osservare, sono già oggi i più poveri e non i più ricchi: negli USA, come in Europa, se si guarda alla composizione sociale degli elettorati dei partiti di estrema destra).
Oppure un rifugio di molti in una sorta di microeconomia di sussistenza, lasciando completamente libero il campo.
Le soluzioni proposte, fin qui, però appartengono tutte all’affidamento ai meccanismi del mercato.
Dal nostro punto di vista, invece, la politica (da considerarsi sempre come luogo della “contesa per il potere) dovrebbe occuparsi prima di tutto della ricostruzione di un’ideologia dell’eguaglianza, di coscienza collettiva della condizione sociale, di percezione esatta dei meccanismi di sfruttamento in atto, di ricostruzione – pur in una realtà così mutata - dei principi fondativi della lotta di classe.
Il primo compito da assolvere dovrebbe essere quello di ricostruire una cultura del conflitto, di non adattamento all’esistente, di accettazione subalterna del dato di fatto.
Il secondo tema da affrontare dovrà essere quello della ridefinizione di un’idea di società alternativa: dove sarà superato il modello del consumismo e dell’individualismo competitivo a esso connesso, ma si tracciano le linee per una sobrietà del collettivo riaprendo margini per flussi di risorse destinato alla ricostruzione di un welfare universalistico e tendenzialmente egualitario.
Si dovrà affermare la concezione di un modello di democrazia che attui nel concreto incisivi meccanismi di redistribuzione, sia dal punto di vista dell’acquisizione del reddito, sia dal punto di vista della costruzione di prospettive di lavoro rilanciando la sfida (che dovrebbe essere proprio quella propria appannaggio della politica) che si immaginava possibile circa 50 anni fa, quando si pensava a un mondo nel quale avemmo lavorato poche ore alla settimana, ma che i frutti della maggiore produttività sarebbe stati beneficiati più o meno da tutti, con largo spazio ad attività creative, culturali, di pieno espressione dell’ingegno umano.
Utopia? Forse, ma oggi siamo di fronte, almeno in quello che è stato l’Occidente sviluppato, a una prova che richiede un intervento in quella direzione: un intervento nel quale regia e concreta attuazione siano in mano “al pubblico”, all’idea del collettivo e dell’eguaglianza.
Mai come oggi, prima di tutto, viene l’antica “battaglia delle idee” e il tema di una democrazia inclusiva, rappresentativa della maggior parte possibile delle sensibilità esistenti nella società, per non cadere nell’egoismo e nel corporativismo, ma per affermare non semplicemente una redistribuzione nell’utilizzo e nella ricaduta pratica delle risorse a disposizione, ma l’eguaglianza come valore decisivo per l’avvenire.

Franco Astengo

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie dell'autore «Franco Astengo»

4635