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(14 Gennaio 2014)

Bogotà. Riprendono all'Avana le discussioni tra il governo Santos e la guerriglia Farc

juanmanuel

Juan Manuel Santos

È comin­ciato ieri all’Avana un nuovo ciclo di incon­tri tra la dele­ga­zione del governo colom­biano e quella della guer­ri­glia mar­xi­sta Forze armate rivo­lu­zio­na­rie colom­biane (Farc). Sul tavolo un’agenda in cin­que punti per tro­vare una solu­zione poli­tica a oltre mezzo secolo di con­flitto armato. Sui primi due si è già rag­giunto un accordo: a mag­gio, si è con­clusa la discus­sione sullo svi­luppo agra­rio, a novem­bre, quella sulla par­te­ci­pa­zione poli­tica. A dicem­bre si è comin­ciato a trat­tare il tema delle dro­ghe, ma senza molti pro­gressi e domani si riprende a discu­tere: fino al 23 gen­naio, quando sca­drà il periodo di tre­gua uni­la­te­rale dichia­rato per le festi­vità nata­li­zie dalle due prin­ci­pali guer­ri­glie (la seconda è quella dell’Esercito di libe­ra­zione nazio­nale, l’Eln). Se il dia­logo tiene, si pas­serà poi a esa­mi­nare il tema della ripa­ra­zione delle vit­time, quello della smo­bi­li­ta­zione e infine si dovrà tro­vare il mec­ca­ni­smo per­ché l’accordo di pace diventi legge: per San­tos, un refe­ren­dum, per le Farc un’assemblea costituente.

I primi passi nelle trat­ta­tive sono stati mossi in Nor­ve­gia, il 19 novem­bre, poi si è pro­se­guito a Cuba. Oslo e l’Avana sono i paesi garanti, Vene­zuela e Cile, gli accom­pa­gna­tori. Il primo forte ten­ta­tivo di media­zione è par­tito durante la pre­si­denza di Hugo Chá­vez, che ha por­tato al dia­logo l’attuale pre­si­dente colom­biano Manuel San­tos, ex mini­stro della Difesa di Alvaro Uribe e suo suc­ces­sore. Nel cam­bia­mento di clima tra i due governi fini­rono per rimet­terci il gior­na­li­sta colom­biano Joa­quin Becerra, estra­dato da Cara­cas a Bogotà e Guil­lermo Enri­que Tor­res Cue­ter, alias Julian Con­rado, arre­stato a Cara­cas il 31 mag­gio del 2011. Con­rado, «il can­tante delle Farc», è stato libe­rato venerdì dalla Corte suprema di giu­sti­zia vene­zue­lana per­ché il governo colom­biano ha riti­rato la domanda di estra­di­zione nei suoi con­fronti. Ha potuto così recarsi all’Avana, richie­sto tra il gruppo dei nego­zia­tori. Ma prima dovrà curarsi la salute: «È il trionfo dell’irriverenza popo­lare», ha dichia­rato in Twit­ter rin­gra­ziando il governo Maduro e la soli­da­rietà inter­na­zio­nale che lo ha soste­nuto con mes­saggi e peti­zioni.
«È il trionfo dell’impunità», ha ribat­tuto Uribe, ormai in cam­pa­gna elet­to­rale con­tro il suo ex mini­stro della Difesa. Il 9 marzo si ter­ranno le legi­sla­tive in Colom­bia, il 25 mag­gio le pre­si­den­ziali. Secondo i son­daggi, oltre i due terzi dei cit­ta­dini (il 68%) approva il pro­cesso di pace e sostiene per que­sto il pre­si­dente nono­stante i suoi pro­grammi neo­li­be­ri­sti. San­tos, che si ripre­senta alle urne il 25 mag­gio, ha così aumen­tato il gra­di­mento dal 41% regi­strato in novem­bre al 46%, in dicem­bre. «Il 2014 sarà un anno di deci­sioni cru­ciali», ha detto nel mes­sag­gio di fine anno. E ieri, dopo aver espresso cor­do­glio per la morte dell’ex Primo mini­stro israe­liano Ariel Sha­ron, ha difeso la scelta di rece­dere dal per­se­guire Con­rado: «In que­ste trat­ta­tive, nes­suna parte sot­to­mette l’altra», ha affer­mato. Allo stesso tempo, ha riba­dito l’intenzione di «con­ti­nuare a com­bat­tere i gruppi armati ille­gali», e ha espresso la pro­pria sod­di­sfa­zione per­ché la Colom­bia «è il paese che ha regi­strato la mag­gior cre­scita eco­no­mica dell’America latina nel 2013».

A chi pro­fitti la cre­scita è apparso una volta di più evi­dente durante il Paro Agra­rio, il grande scio­pero nazio­nale con­tro il neo­li­be­ri­smo che ha inte­res­sato la Colom­bia per diversi mesi, a par­tire dall’estate scorsa. Il coor­di­na­mento dello scio­pero (la Mesa Nacio­nal Agro­pe­cua­ria y Nacio­nal de Inter­lo­cu­cion y Acuerdo — Mia -) ha denun­ciato la repres­sione su vasta scala che ha pro­vo­cato morti e vio­la­zioni dei diritti umani e quasi 300 arre­sti. Nel 2013 sono stati uccisi 65 lea­der comu­ni­tari e 26 sin­da­ca­li­sti. I para­mi­li­tari delle Auto­de­fen­sas Uni­das de Colom­bia (Auc) sono stati smo­bi­li­tati nel 2006, ma hanno con­ti­nuato a ucci­dere con altra veste. E pre­sto potreb­bero riac­qui­stare la libertà circa 27.000 para­cos che hanno usu­fruito delle com­pia­centi leggi varate fino al 2010 durante il man­dato del loro grande pro­tet­tore Uribe (2002–2010).

Il 4 gen­naio è stato ritro­vato il corpo senza vita del lea­der con­ta­dino Gio­vany Lei­ton insieme a quello della sua com­pa­gna, tor­tu­rati e uccisi a San José del Pal­mar, nel dipar­ti­mento del Choco. Lo stesso giorno è stato arre­stato il pro­fes­sor Fran­ci­sco Pacho Toloza, diri­gente del movi­mento poli­tico e sociale Mar­cia Patriot­tica, attivo nel soste­gno al pro­cesso di pace. Oggi è stata con­vo­cata una mani­fe­sta­zione per chie­dere la fine della sua ingiu­sta deten­zione e per denun­ciare «la per­versa pra­tica di cri­mi­na­liz­zare l’opposizione sociale e la resi­stenza popolare».

Qual­che giorno fa è stato ucciso anche Ger­son Mar­tí­nez, pro­mo­tore della cam­pa­gna di mobi­li­ta­zione in favore del sin­daco di Bogotà, Gustavo Petro, incorso nelle grin­fie di un noto magi­strato uri­bi­sta che vor­rebbe toglierlo di mezzo. Petro è un ex-guerrigliero dell’M-19, gruppo scom­parso nel ’90. Da allora è un navi­gato uomo delle isti­tu­zioni, prima sena­tore, poi sin­daco come can­di­dato del Movi­miento Pro­gre­si­stas per il periodo 2012–2015. Ger­son era un graf­fi­taro, lea­der del movi­mento di hip hop Pazur, un atti­vi­sta molto cono­sciuto. La sua ucci­sione suona anche come un avver­ti­mento per le orga­niz­za­zioni sociali. Venerdì scorso i soste­ni­tori di Petro sono tor­nati in piazza anche per chie­dere la verità sul suo assassinio.

«Non abbiamo mai avan­zato così tanto in un pro­cesso di pace», ha detto Hum­berto De la Calle, capo della dele­ga­zione gover­na­tiva nelle trat­ta­tive in corso all’Avana. Que­sto è infatti il quarto ten­ta­tivo di arri­vare a una solu­zione poli­tica, oggi appog­giato da circa 50 capi di stato, governi, lea­der mon­diali, isti­tu­zioni e orga­ni­smi mul­ti­la­te­rali. Quello pre­ce­dente fallì intorno al 2002. Lo ave­vano avviato nel ’98 l’allora pre­si­dente Andres Pastrana e il fon­da­tore delle Farc Manuel Maru­landa. I “Dia­lo­ghi del Caguan”, por­tati avanti in una zona demi­li­ta­riz­zata nel cen­tro del paese, ave­vano rea­liz­zato un accordo in 12 punti. Anche allora, la que­stione della riforma agra­ria, delle garan­zie demo­cra­ti­che e di un nuovo modello di svi­luppo anco­rato a una diversa inte­gra­zione regio­nale erano al cen­tro dei pro­grammi. Un ten­ta­tivo sep­pel­lito da Pastrana a fine man­dato: in favore della guerra sporca finan­ziata dagli Usa attra­verso il Plan Colom­bia.

In paral­lelo – ha rive­lato un’inchiesta del Washing­ton Post il 21 dicem­bre scorso – la Cia e il Pen­ta­gono appro­va­rono fondi neri per l’eliminazione della guer­ri­glia, a par­tire dal 2001: auto­riz­zati prima dall’ex pre­si­dente Usa George W. Bush, poi dal demo­cra­tico Barack Obama. Miliardi in bombe “intel­li­genti” e Gps per eli­mi­nare diret­ta­mente i lea­der della guer­ri­glia, den­tro e fuori la Colom­bia. Una col­la­bo­ra­zione stretta tra Cia, Nsa (l’Agenzia di sor­ve­glianza Usa chia­mata in causa nel Data­gate) e uffi­ciali colom­biani. Nel 2008, quel pro­gramma portò al mas­sa­cro di Sucum­bios, in Ecua­dor. In un bom­bar­da­mento not­turno perse la vita il coman­dante Farc Raul Reyes con altre 25 per­sone. Il seque­stro del suo com­pu­ter con­ti­nua a for­nire pre­te­sto per altri man­dati di cat­tura, senza la minima garan­zia di veri­di­cità. Par­tono da lì anche le accuse nei con­fronti di Fran­ci­sco Toloza. Alvaro Uribe, che si rican­dida per il Senato nono­stante i diversi pro­cessi che lo chia­mano in causa come spon­sor attivo dei para­cos, ha rico­no­sciuto l’aiuto diretto rice­vuto dalla Cia e anche dai ser­vizi segreti bri­tan­nici. E ne ha riven­di­cato l’efficacia. Il suo ex mini­stro della Difesa lo ha supe­rato per numero di «ese­cu­zioni mirate» con­tro i lea­der della guerriglia.

Nel 1985, dopo la firma dei cosid­detti “accordi della Uribe” con l’allora pre­si­dente Beli­sa­rio Betan­cour, le Farc si pre­sen­ta­rono alle ele­zioni all’interno di un’alleanza legale, l’Union Patrio­tica (Up). Fecero eleg­gere 14 par­la­men­tari, più diversi sin­daci e con­si­glieri. In pochi anni, l’azione con­giunta tra governo e para­mi­li­tari portò però all’eliminazione di par­la­men­tari e mili­tanti. Ven­nero uccise circa 5.000 per­sone, com­presi due can­di­dati alla pre­si­denza. Il pro­gramma dell’Up pre­ve­deva un pac­chetto di riforme poli­ti­che, sociali ed eco­no­mi­che (in primo luogo la riforma agra­ria), simile a quello in gioco nelle trat­ta­tive all’Avana.

Ieri, le Farc hanno invi­tato i soste­ni­tori della pace a votare scheda bianca alle ele­zioni e a soste­nere invece «il pro­cesso costi­tuente che si è messo in moto» e che pre­vede la rap­pre­sen­tanza «di tutte le forze poli­ti­che eco­no­mi­che e sociali»: a par­tire dalle «comu­nità con­ta­dine, indi­gene, afro­di­scen­denti, dalle vit­time del con­flitto, dalle donne orga­niz­zate e dalle comu­nità Lgbt». La Costi­tu­zione che sor­gerà dal pro­cesso costi­tuente — hanno scritto — sarà il vero trat­tato di pace, giu­sto e vin­co­lante, che sigilla la ricon­ci­lia­zione e cam­bia il destino della nazione». Quanto al tema delle dro­ghe ille­gali, la guer­ri­glia ha denun­ciato il fal­li­mento delle poli­ti­che gover­na­tive che hanno favo­rito gli affari spor­chi di «nar­co­traf­fi­canti e ban­chieri corrotti».

Geraldina Colotti, il manifesto

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