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Vittorio

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(24 Aprile 2011) Enzo Apicella

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SPIGOLATURE DI FIORE IN FIORE, DI CLOACA IN CLOACA. E un documento della Resistenza honduregna.

(28 Luglio 2010)

anteprima dell'articolo originale pubblicato in fulviogrimaldi.blogspot.com


L'ultima mia proposta è questa: se volete trovarvi, perdetevi nella foresta.
(Giorgio Caproni)
Ai ladri e assassini / libertà provvisoria oggi è concessa. / E', per legge stessa, / provvisoria la vita ai cittadini.
(Francesco Proto)

Veterani di guerra Usa in corteo con il movimento anti-guerra

Di corsa, e per scongiurare che la lunghezza dei miei interventi vi spaventi fino all'allontanamento, ecco un rapido florilegio d'attualità, da selezionare secondo i tempi opportuni, con inseriti due documenti inoltratimi e che rilancio. Wikileaks90.000 documenti segreti del Pentagono pubblicati da Wikileaks. Accanto a rivelazioni scioccanti e punitive per gli Usa, ma che chi appena appena s'informa da tempo conosceva (squadroni della morte dei reparti speciali Usa, guerra afghana perduta, massacri di civili), ce ne sono tre che sono da un pezzo i cavalli di battaglia di Cia e Mossad: il servizio segreto pakistano, SIS, che collabora o addirittura dirige la Resistenza afghana e il sostegno ai Taliban (sunniti) da parte degli ammazza-sunniti di Tehran. Due bocconi velenosi che, in complicità con l'India, lubrificano, uno, l'assalto e lo squartamento, peraltro già in atto a forza di droni, squadroni Cia della morte e ascari locali, dell'infido Pakistan nucleare, amico della Cina a dispetto dei fantocci Usa che lo governano e, a livello di massa, fortemente antiamericano e, secondo, l'attacco USraeliano all'Iran. Un terzo carico da 90, poi, le rivelazioni di Wikileaks lo mettono a disposizione del matamoro Petraeus, comandante alleato, affermando che ormai "i Taliban sono imbottiti di missili terra-aria" (probabilmente nordcoreani). Quale migliore pretesto offerto a Petraeus e al reggicoda La Russa, per modificare verso il nulla osta totale regole d'ingaggio che impediscano a questi selvaggi di usare tecnologie patrimonio esclusivo della civiltà occidentale? Persa l'egemonia politica in Iraq a vantaggio dell'Iran e dei suoi agenti sciti di Baghdad e del Kurdistan, persa la guerra in Afghanistan, il mostro bicefalo USraeliano, per ricuperare, si scaglia contro Pakistan e Iran. Hai visto mai che, accerchiati, anche i patrioti afghani possono essere liquidati? E poi, senza ulteriori guerre, come fa la locomotiva militare Usa a rimediare alla catastrofe economica? Questo leak di Wikileaks mi pare che puzzi.

Non puzza per niente al solito mattinale indigeno del Dalai Bama e del Dalai Vendola, i cui tre cavalli di razza allogena, Giuliana Sgrena, Giuliano Battiston e Emanuele Giordana, al pari di tutti i media imperiali, reggono esultanti lo strascico ai tre "giornali blasonati", New York Times, Guardian e Spiegel, che hanno pubblicato quei documenti. Il peana, titolato a caratteri monumentali "Senza bavaglio", rimbomba in crescendo dalla prima alla terza pagina: "Wikileaks rappresenta un riscatto dell'informazione che potrebbe segnare l'inizio della fine della guerra in Afghanistan (occhio, non all'Afghanistan, ma in Afghanistan)... la nuova frontiera dell'informazione indipendente... nuova ecologia dell'informazione". Più riservato il collateralista Giordana, di Lettera 22, forse perché rispetto a quelli sulle mattanze Usa di civili i suoi dati avevano sempre privilegiato i (falsi) massacri compiuti dai Taliban ai quali, in una scomposta foga collaborazionista, era riuscito ad attribuire oltre metà delle vittime civili (ultimissima: 52 civili massacrati dalla Nato in Helmand, Afghanistan; 30 civili ammazzati da droni Cia in Pakistan; 8-10 invasori al giorno e zero civili uccisi dai Taliban. Sfugge a questi sicofanti degli interventi umanitari che pubblicare "rivelazioni" su due giornali oltranzisti della guerra imperialista come il New York Times e lo Spiegel, incastrandoci in mezzo il cerotto liberal Guardian, è collaudata tattica da imbonitori. Mentre non dovrebbe sfuggire ai senza-bavaglio il bersaglio grosso a cui mirano questi cecchini di riserva dell'impero quando, rimasticando le cianfrusaglie propagandistiche dei feldmarescialli Usa (il macellaio McChrystal buono e il macellaio Petraeus meno buono) fanno del popolo afghano la vittima chiusa nella tenaglia di chi lo bombarda e di chi lo difende. Trascurando l'inezia per cui se la massima potenza mondiale viene fatta a pezzi in Afghanistan, ciò è possibile solo perché la Resistenza ha dietro di sé proprio l'intero popolo. Scrive, tra dabbenaggine e connivenza, il quotidiano: "A rimetterci di più sono gli afghani: non quelli con turbante nero, kalashnikov, corano in tasca e una virulenta determinazione contro gli 'invasori infedeli', ma i poveri disgraziati che, stretti nella morsa tra i taleban e le truppe americane e della Nato, cercano di barcamenarsi come possono". Qui non è questione di bavaglio. Qui è questione di fraudolento e colonialista cerchiobottismo.
Myanmar
Il Myanmar (per i colonialisti Birmania) nucleare! Bel colpo. Dopo Iran e Corea del Nord, aggressive e incontrollabili potenze nucleari grazie a qualche grammo di uranio arricchito, entra nella compagnia di coloro che minacciano i detentori di 20.000 testate nucleari, sparse tra le case della gente di tutto il mondo, anche il Myanmar della santa-subito Aung San Suu Kyi con quartier generale a un tiro di schioppo dalla Casa Bianca. Questa "rivelazione" arriva dal portavoce della destra militarista britannica, Daily Telegraph: "La Birmania sta lavorando a un programma di armi nucleari. Lo affermano esperti dopo aver visto fotografie segrete". Le foto sono state contrabbandate fuori dal paese e consegnate agli "esperti dei servizi occidentali" dalla "Voce Democratica della Birmania", formazione, cara a radicali, che sostiene la Kyi e auspica il libero mercato "all'americana". Le considera prova del riarmo nucleare tale Robert Kelley, già ispettore statunitense dell'Aiea (poi cacciato) al tempo delle foto irachene di tubi e camion che "dimostravano" la presenza di armi di distruzione di massa di Saddam. Se ne deduce che "è stata creato una rete clandestina nucleare che unisce Corea del Nord, Iran, Pakistan e Siria". Mancano al momento foto venezuelane, cubane, boliviane, nicaraguensi, yemenite, somale. Ma arriveranno. Qui il fetore è quello di tutte le puzzole americane attivate contemporaneamente.

Torturatori di Obama e torturatori di Al MalikiGli Usa, messi alle strette da una resistenza irachena che da 18 mesi è tanto attiva, soprattutto contro le forze collaborazioniste, quanto occultata dagli imbarazzati media di destra e sinistra, hanno messo in atto un'operazione di feroce intimidazione. Chiudendo Camp Copper nella finzione obamiana dell'imminente ritiro dall'Iraq (lasciandosi però dietro 50mila marines, squadroni della morte chiamate "truppe speciali" e 120mila mercenari privati), gli Usa hanno consegnato ai fantocci iracheni i primi 26 di circa 300 prigionieri, tra i quali dirigenti del Baath non ancora impiccati. Le carceri del democratico regime iracheno stanno a Guantanamo, come Auschwitz sta a Buchenwald. Il Comando iracheno del Partito Baath, fulcro della Resistenza, consapevole per esperienza diretta di cosa accade a Khadimiya, prigione dei tagliagole sciti, hanno rivolto a chiunque si preoccupi della difesa di diritti umani autentici un appello perché si impedisca che a questi patrioti sequestrati dall'aggressore venga riservata l'orrenda sorte inflitta dagli aguzzini e seviziatori traditori a tutti coloro su cui hanno potuto mettere le mani. Tra loro anche Tariq Aziz, l'ormai anziano e malatissimo vice-premier di Saddam, condannato a 16 anni per aver con dignità, onore, coraggio, mostrato al mondo, inascoltato dalla sinistra, di che pasta fosse fatto l'eroico popolo iracheno, la verità sul suo governo e sulle trame bugiarde dell'imperialismo. Quando gli Usa gli promisero la libertà in cambio di una sua testimonianza contro Saddam, rifiutò. Tariq Aziz, che ho avuto la gioia di conoscere e di apprezzarne la nobiltà di spirito, la cultura, l'intelligenza, mentre era nelle mani dei carcerieri di Bush e Obama ha subito pestaggi, privazioni, è stato confinato in pochi metri quadrati all'aperto, costretto a scavarsi il proprio pozzo nero, ha subito due infarti e un ictus. Parla e si trascina a fatica. Al momento della consegna ai torturatori fantocci, gli sono stati negati i 30 farmaci indispensabili per sopravvivere. Alla Croce Rossa, che peraltro nicchia, il premier fantoccio ha rifiutato l'accesso alla prigione.
Intanto, accanto alle azioni mirate della Resistenza, per spostare il conflitto su solito piano della guerra civile, le "forze speciali" USraeliane hanno ripreso alla grande gli attentati confessionali, vuoi contro gli sciti, vuoi contro i sunniti. Attentati attribuiti a chi? Ma è una domanda da farsi? Ce lo ha confermato anche Giuliana Sgrena sul "manifesto": ad Al Qaida, of course. E per non farsi mancare proprio niente, dopo cinque mesi dalle elezioni che hanno visto la vittoria della formazione collaborazionista sunnita (antiraniana), non si è ancora riusciti a formare un "governo" e i conti si vanno regolando a forza di bombe stragiste tra l'una e l'altra fazione della cosca al potere.
I terroristi sequestrano, noialtri catturiamo
"Il manifesto" non ci priva mai della dolce musica dei suoi violini di terza fila agli ordini del direttore d'orchestra imperiale. Proseguendo, con i soliti musicanti di nota formazione, una lunga sinfonia di assonanze con i media rispetto ai quali si dice "alternativo", il giornale comunista, internazionalista e antimperialista ci informa di "due soldati Usa sequestrati in Afghanistan". Nel breve pezzo le parole "sequestro", "sequestrati", "rapimento", "ostaggio" si moltiplicano e aggrovigliano come un trillo di Paganini. Anche i quattro militari nazisionisti che penetrarono in Libano nel 2006, agnelli sacrificali di Israele (che non ha scrupoli, come le Torri Gemelle ricordano) per accusare Hezbollah di provocazione e trarne la giustificazione all'aggressione, erano stati sequestrati. Anche l'incursore nazisionista Shalit a Gaza venne sequestrato. I nostri fanno prigionieri. Loro sequestrano, rapiscono, prendono ostaggi. Il pensiero deve correre ai banditi sardi, ai macellai del generale Videla, ai pirati mori, ai terroristi che ovviamente non praticano le leggi di guerra, le convenzioni di Ginevra e il diritto internazionale. E' nel dettaglio che sta il diavolo, vero "manifesto"?

Climax e anticlimax
Restando sullo stesso "quotidiano comunista", non c'è santo giorno che ci si risparmino l'orgasmatico baccanale delle ginocrate femministe e i loro uterini spasmi (se fossero androcrati direi "testicolari") per questo o quest'altro idolo dello spettacolo dell'effimero e del fuffarolo. Ida Dominijanni transita ora dai coiti politici nell'alcova obamiana, dai cuscini di pelle islamica triturata, a quelli nella "fabbrica" del putto neopiddino Vendola, incurante dell'alleanza con il "sinistro per Israele" e devastatore di Roma e della probità politica, Walter Veltroni, alla cui "Scuola di politica" questo gemello morale di Saviano si va istruendo. E con buone ragioni: non si avanza forse dal Tavoliere, nel tripudio di fanfare d'ogni banda, il lungamente atteso messia della sinistra di pace con tutti? Appropriatamente celebrato - e autocelebrato - con rami d'ulivo e tappeti di verginali rose, come "l'Obama bianco"? A ogni messia la sua vestale. Ma una vestale meno comica e più irritante è quella generalessa del truppone delle donne al testosterone che si chiama Luisa Muraro. Avete presente Ipazia d'Alessandria, la filosofa scienziata, rigoglio estremo della civiltà pagana, maciullata dai cristiani fattisi impero? Fu perseguitata e alla fine scuoiata viva nel 415, nel rogo della più grande biblioteca dell'antichità, dagli assassini in tonaca (altro che "turbante") del santo vescovo Cirillo, Padre della Chiesa. Con lei, ultima face di un'era della ragione, della bellezza, di psyche, della libertà di pensiero e di ricerca, i sanguinari ottenebrati scaturiti dalle circonvenzioni d'incapace di S. Paolo vollero cancellare dalla faccia della Terra tutto quello che sfuggiva alla dittatura dei loro dogmi della menzogna e dell'ignoranza, finalizzati a un potere assoluto su corpi, cuori e menti. Cosa direbbe l'incommensurabile essere umano Ipazia, donna al di là di donna o uomo, a vedersi rinserrata dalla monomaniacale monotematica Muraro nelle vesti di "martire del femminismo", punto e basta? "Non fu uccisa per le sue idee, come si è detto, ma per quello che lei era, una donna indipendente e pura (sic!)". Come ridurre la galassia a una stella.
A proposito del profeta pugliese ricevo e riproduco:
Contro il Piano sanitario pugliese del Governo Vendola. Diciamo no!
Categoria:
Organizzazioni - Organizzazioni politiche
Descrizione:
Il Governo Vendola (PD-SEL-IDV-PRC/PCI) in ossequio ai dettami del Governo Berlusconi, vara un Piano sanitario pugliese che taglia 19 ospedali pubblici, 2200 posti letto, una trentina di consultori pubblici e mette il ticket di un euro sulle ricette. Nel frattempo, costruisce ospedali pubblici da regalare ai privati, come il San Raffaele a Taranto per don Verzè, braccio destro di Berlusconi!
Michele Rizzi e Alternativa comunista avevano denunciato tutto questo in campagna elettorale per le regionali!
Adesso proseguiamo la lotta con tutti i compagni, indipendentemente dalla loro collocazione, che ci stanno per dire no al Piano di tagli!! (visualizza meno contenuto))

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Suicidi
Grande spazio dei media all'ufficiale italiano suicidatosi a Kabul. Poveretto, cosa glie lo ha fatto fare? Ma è chiaro: "La vita quasi da reclusi, in compound separati dalla popolazione (cui si spara addosso), sempre in bilico fra la tentazione di rilassarsi e la necessità di stare all'erta, con scarse possibilità di sfogo e poco ottimismo sulle prospettive della missione..." E neanche un cinema, una coscia da adocchiare per strada, un vero riso alla milanese, una paga, sì, decupla rispetto ai colleghi a casa, ma vuoi mettere con quel clima tra gelo e canicola e i Taliban dallo zoccolo di capra? Certo, sarebbe indecoroso e assolutamente poco edificante sospettare che l'infelice si sia voluto tirare fuori una volta per sempre, vuoi dalla merda di una situazione in cui ce la si fa sotto da mane a sera, vuoi magari da atrocità criminali che ti vedono partecipe dell'affondamento nel sangue di un popolo che non ti ha fatto niente. Quanto ai colleghi Usa, la proporzione è quella derivata dal maggiore impegno: 32 suicidi al mese. Altri rientrano a casa e segano in due la moglie, o mitragliano una scuola. Per un'opinione diversa, è gente che ha risparmiato un po' di lavoro alla Resistenza.

Chi vivrà...Irlanda!
Nei primi anni '70 infuriava la lotta di liberazione del popolo nordirlandese per la libertà dal colonialismo e per la riunificazione nazionale. Cronistaccio di Lotta Continua, ovviamente dalle tasche desertiche, ero ospitato nel quartiere belfastiano di Ardoyne dalla vedova di un caduto della Resistenza con due piccoli figli. Si chiamava Rose e lo era. Ed era anche una protagonista di quel retroterra civile della lotta contro i militari britannici e i loro ascari unionisti che ha saputo sostenere l'Ira durante i suoi trent'anni di insurrezione. Di giorno, la comunità si organizzava per il supporto logistico, di sera si riuniva per spettacoli, canti e balli della tradizione e della resistenza (ci sono venuti pure "I Bassotti"). Di notte ci allestivamo per le incursioni di energumeni britannici che irrompevano, sfasciavano, incendiavano, sequestravano, ammazzavano. Ma a terrorizzare non li ho visti riuscire mai, che si trattasse di vegliardi buttati giù dal letto, o di ragazzini trascinati a schiaffi per strada. Intanto, mentre le donne imperversavano con urla e lanci, dagli astuti passaggi segreti, aperti tra casa e casa e vicolo e vicolo, i combattenti se la squagliavano e rispondevano. Poi sono venuti gli accordi del Venerdì Santo e il disarmo di una guerriglia che aveva portato Londra a due passi dal ritiro. Gli orangisti, invece, non disarmarono manco per niente.
La burletta di un governo di riconciliazione nazionale, fittiziamente autonomo dalla metropoli coloniale, reminiscente della letale truffa di Oslo per la Palestina, trovò consenzienti i dirigenti nazionalisti e anticapitalisti del Sinn Fein, ex-comandanti dell'Ira ravvedutisi nella nonviolenza, e i fascistoni massonici e ultracapitalisti dei partiti unionisti-protestanti e dello loro squadracce armate. Di superamento della lacerazione inflitta dal colonialismo all'Irlanda, con la spaccatura tra Nord e Sud negli anni '20 del secolo scorso, non si sarebbe parlato più a tempo indeterminato. Alla minoranza (quasi del 50% e in crescita) furono concessi il vice premierato (Martin McGuinness, già comandante Ira a Derry) sotto la ferula del premier unionista Robinson, uomo di paglia di Londra e del supremo pretone fascista, cacciatore di teste repubblicane, Ian Paisley. Ci potevano stare irlandesi che da tre secoli e passa sostenevano l'urto della loro civiltà di pace e di uguali contro il cannibalismo imperiale britannico? Da come li ho conosciuti, non potevano. A tanto sono valsi gli accordi tra colonizzatori e colonizzati che quest'anno i fascisti Orange in bombetta vollero celebrare la loro vittoria del Boyle (1690) marciando per la prima volta anche attraverso Ardoyne, fortino proletario resistente, assediato da quartieri unionisti, che già due anni fa si volle provocare picchiandone i bambini che, per andare a scuola, dovevano attraversare strade presidiate dagli squadristi protestanti. Tutta Ardoyne è esplosa. Sembravano i bei tempi della libera Comune di Belfast e di Derry. Tre giorni e tre notti di rivolta di massa, pietre, barricate, molotov, mazzate dall'una e dall'altra parte. 90 sbirri feriti. E i tamburi funebri degli organgisti rimasero fuori da Ardoyne. Ce n'est que un debut? Il mio amico e compagno Martin McGuinness, colui che nottetempo, sfuggendo ai rastrellamenti britannici, mi sbolognò fuori da Derry e nella Repubblica per farvi arrivare la documentazione della strage del Bloody Sunday, ha commentato: "La nostra esperienza dimostra che il modo per affrontare qualsiasi disputa o contrasto sono il dialogo e l'accordo". Pareva di ascoltare Abu Mazen.
Sansonetti? Requiescat in pace
Alla lunga neanche il bitume riesce a mascherare la calvizie. E' già assodato per il guitto mannaro. Varrà per Vendola come è valso per Bertinotti e come sta valendo per il suo trombettiere preferito. Quel Piero Sansonetti che, da direttore di "Liberazione", affossò sotto il monumento a Luxuria ogni residua traccia di opposizione all'esistente di merda. Incidentalmente, anche colui che si scatenò contro di me in tribunale per riavere quanto la giustizia mi aveva dato a risarcimento della cacciata con due calci dal giornale per aver scritto un paio di verità su Cuba, sgradite all'eco in cachmere dell'anticastrismo e del filozapatismo. Eliminato dal giornale - bella nemesi - grazie alla felice dipartita di Svendola, Sansonetti, mentre veniva incessantemente apparecchiato da Vespa sulla mensa per bulimici di fandonie di regime, degradò verso un giornaletto chiamato inoffensivamente "Gli altri", rimasto sotto gli scaffali delle edicole per pochi mesi e poi cancellato da un'inanità che lo rendeva inutile anche agli occhi dei suoi padrini. Cui pure aveva assicurato ogni appoggio al passaggio della "democratica e civile legge contro le intercettazioni". Oggi Sansonetti è sceso ancora più in basso. E non perché si tratti della Bassa Italia. A Cosenza lo hanno chiamato, a dirigere il loro paragiornale "Calabria ora", due limpidissimi esempi dell'informazione che si batte alla morte per la legge sulle intercettazioni: Pietro Citrigno e Fausto Aquino, imprenditori ex-craxisti con grandi interessi nell'edilizia e nella sanità privata. Che, in Calabria, si sa a chi devono far capo. Citrigno è stato condannato per usura a 4 anni e 8 mesi. Aquino, ancora indenne, è nella giunta della Confindustria Calabria e si occupa di petrolio. Che si sa a chi fa capo. Com'è che si è liberato il posto? Il precedente direttore, Paolo Pollichieri, è stato costretto alle dimissioni, insieme al caporedattore, due vice, due capiservizio, il capocronista politico e due cronisti minacciati dalle cosche, dopo una serie di articoli in cui denunciava le collusioni tra il noto governatore PDL Scopelliti, e alcuni boss della 'ndrangheta. Chi poteva colmare appieno tanti e tali vuoti aperti da questi nuovi Angelucci di Calabria, se non una garanzia per ogni stagione? Non poteva che essere Sionetti l'uomo per la bisogna.Tutto torna quando si vedano i percorsi dei virgulti di Bertinotti.

Zastava. Non amo che le rose che non colsi / non amo che le cose che potevano essere e non sono state. (Guido Gozzano)
Era l'ottobre 2001 e io ero a Belgrado per "Liberazione". Una plebaglia prezzolata e armata dagli Usa e guidata dagli agenti della prima "rivoluzione colorata", osannata dalle nostre sinistre radicali, aveva incendiato il parlamento e le schede elettorali che provavano la vittoria dei partiti di sinistra, sostenitori del presidente della resistenza antimperialista ed antiliberista, Slobodan Milosevic. Dopodichè si erano dati alla caccia all'uomo nelle sedi dei sindacati, della stampa e delle forze di sinistra, bastonando, devastando, distruggendo, uccidendo. Si compiva il colpo di Stato contro un presidente e un governo patriottici e autenticamente democratici (20 partiti, con quelli di destra al governo nelle maggiori città) che dieci anni di assalti alla Jugoslavia e al suo cuore serbo non erano riusciti ad abbattere. Il paese era stato ridotto in macerie e in miseria dalle solite sanzioni democratiche e dal solito intervento bombarolo umanitario, con il caporale ascaro D'Alema che sparava a più non posso.

Prima del loro pogrom, i dirigenti di Otpor, formazione al soldo della Cia mimetizzata dal logo con il pugno chiuso, erano stati addestrati a Budapest, nel giugno 2000, dal colonello Usa Robert Helvey ed erano stati finanziati dal National Endowment for Democracy, da USAID e dall'International Republican Institute (solo da questo 1,2 milioni di dollari solo nel 2000). Salvatore Cannavò, allora vicedirettore di "Liberazione" e oggi leader di "Sinistra Critica", invitò Otpor alle kermesse no global chiamandolo "una costola del movimento". Naturalmente cestinò tutti i miei articoli da Belgrado che svergognavano questa idiozia. Come la mia intervista con il capo di Otpor, Ivan Marovic, un trucido energumeno, mezzo bruto squadrista e mezzo fighetto berlusconide. Assicurava, il manutengolo Cia, poi attivo nelle "rivoluzioni di velluto" in Georgia, Ucraina, Venezuela, Libano, che una volta liquidati Milosevic (lo avvelenarono in prigione all'Aja, visto che non riuscivano a dimostrane alcuna colpa) e il governo socialista, la Serbia sarebbe diventata "il paradiso degli investitori stranieri, dato che aveva una classe operaia altamente qualificata ed estremamente parsimoniosa, l'ideale per un libero mercato che l'avrebbe fatta finita con i prezzi e i salari controllati, lo statalismo nell'economia, nell'istruzione e nella sanità, i lacci e lacciuoli ai capitali esteri". Alla mia domanda sull'accusa che Milosevic faceva a Otpor di essere uno strumento della Cia, la risposta fu: "Noi siamo orgogliosi di essere sostenuti dal servizio di intelligence della più grande democrazia del mondo". Testuale.

Prima ero stato alla mitica fabbrica d'automobili Zastava, a Kragujevac, cuore operaio di tutta la regione. C'ero stato nell'aprile del 1999, mentre i missili piovevano sugli stabilimenti e li polverizzavano tutti, compresi alcuni degli operai che, in massa, avevano fatto gli scudi umani davanti al loro stabilimento. C'ero stato nel 2000, d'estate, quando una classe operaia come nel resto d'Europa ormai ce la sognavamo, con l'aiuto del governo di Milosevic aveva rimesso in piedi ben due linee di montaggio, non potendo ricorrere per la ricostruzione ad altro che alle macerie uranizzate dai missili. E infine c'ero tornato nel 2001 quando il nuovo regime di quisling Nato, consegnato Milosevic al boia per trenta denari, aveva cacciato dalla fabbrica tre quarti della forza lavoro. Privati di qualsiasi sostegno dal nuovo governo, devoto al libero mercato delle multinazionali, migliaia di operai erano andati ad affiancarsi alle baracche dei profughi del Kosovo, della Krajina croatizzata, della Bosnia. Le loro baracche e quelle dei profughi, insieme agli iracheni i più dimenticati del mondo, stanno ancora lì. Con dentro ancora le stesse persone. E' il prezzo del libero mercato e, con la consegna ai boia dell'Aja degli eroi della resistenza anti-Nato ed antisciovinista, il prezzo dell'ingresso in quest'Europa del cazzo. Come non poteva non arrivarci il vecchio socio della Zastava statale, la Fiat, che durante tutto il tracollo se n'era rimasta zitta e complice, E arrivò. E, subito dietro, altri "capitani coraggiosi", l'OMSA, le cinque banche più mafiose, nordestini vari... Sulla carrozza d'oro trainata dai milioni di dollari di contributi del nuovo regime profetizzato da Otpor, dall'esenzione dalle tasse, dai salari di fame, 350 euro al mese, e dall'abolizione di scioperi, malattie, diritti universali. Quei diritti che avevano fatto dell'operaio Zastava, con Milosevic, la trincea avanzata, dopo il crollo dell'Est, della resistenza agli stragisti Nato e, poi, agli sciacalli che rovistano tra ossa e sangue. Tipo Marchionne.
I chierichetti della CGIL nel "manifesto", ormai desueti a ogni concetto di lotta transnazionale, praticata invece alla grande dai globalizzatori, avevano inneggiato alla "vittoria operaia" ottenuta con la conferma della Panda - in culo agli operai polacchi - in una Pomigliano convertita in campo di punizione. Ora si stracciano le vesti perché quella conferma era il prezzo della riduzione in schiavitù, peggio dei polacchi, di tutta la classe operaia italiana (dopo quella del lavoro intellettuale). Ora le orrende monovolume Fiat lasciano Mirafiori e se ne vanno nella Kragujevac liberata da Otpor. Forse, se in Italia si costruirà ancora un prodotto obsoleto e pernicioso come l'auto, torneranno a Torino una volta che anche lì si sia capito che il futuro porta la data delle giornate di Bava Beccaris. Nulla da dire, Salvatore Cannavò?

Lo Zocalo di Città del Messico a una manifestazione per Obrador
Marcos svapora, Obrador risorge
A volte la storia fa giustizia. Quattro anni fa la contesa elettorale, al termine del mandato del burattino yankee Fox, era tra un suo clone in peggio, Felipe Calderon, e l'espressione di tutti i diseredati e oppressi di questo paese "così lontano da dio, così vicino agli Stati Uniti", Andrés Manuel Lopez Obrador, detto Amlo. Amlo era il candidato del Partito della Rivoluzione Democratica, già nettamente socialdemocratico, epperò in graduale scivolata verso l'omologazione con una classe politica (Partito Rivoluzionario Istituzionale e Partito dell'Azione Nazionale) corrotta, poltronara, repressiva, proconsolare di Washington. Però ne rivendicava un'autonomia già collaudata quando era stato il più popolare ed ecologista sindaco di tutta la storia della capitale e ora ribadita con la rottura e la creazione di una formazione politica pulita, nettamente di sinistra. Lo scontro con Calderon fu vinto alla grande ma, come succede ormai inesorabilmente in tutti i paesi governati da destre al servizio degli Usa, venne rovesciato nell'esito contrario dal trasferimento di un milione di voti da Obrador al sicario del mandante imperiale. Uno scandalo colossale che, per un po', animò le pagine di qualche giornale. Uno scandalo su cui nulla ebbe da dichiarare il mitico subcomandante Marcos, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, una sigla che sta alla realtà come Berlusconi sta alla legalità. Anzi, il mitico para-Zorro, icona di adolescenti italiani dai pruriti di iconoclastia moderata e compatibile, al rischio zero della nonviolenza e del non-presa del potere, girovagando in campagna elettorale per il Messico, pericolo pubblico autoproclamato ma indisturbato, in passamontagna, motocicletta, cavallo, o pullmino, non aveva perso occasione per far sapere al colto e all'inclita, cioè all'elettore di sinistra, che Obrador faceva schifo come e più degli altri. Guai a votarlo. Come facevano abbastanza schifo anche la rivoluzione cubana, quella bolivariana, i governanti progressisti dell'America Latina, cornutoni che insistevano a occuparsi del potere anziché di una "rivoluzione interiore"... Calderon ancora pone fiori ogni mattina davanti all'immagine dell'illusionista del Chiapas. Mentre il Messico perse l'occasione di staccarsi di qualche misura dal patibolo-postribolo Usa e inserirsi nel grande movimento di emancipazione latinoamericano. In Honduras c'è voluto un golpe sanguinario, in Messico sono bastati un Calderon e un Marcos.

Dal 2006 questa nobilissimo patria-matria della più bella rivoluzione del primo Novecento e delle perduranti resistenze alla sconfitta di quella prospettiva, è diventato il buco nero del continente. Del mondo, se non ci fossero l'Iraq, la Palestina, l'Afghanistan. Preda ormai totale del narcotraffico, le cui bande, divise tra sostenute e avversate dal governo e dagli Usa, hanno fatto del paese di Cielito Lindo ed Emiliano Zapata un mattatoio senza uguali sulla Terra. 25mila ammazzati negli ultimi due anni, tra i quali le 500 donne dei feminicidi di Ciudad Juarez. Tra Nafta e Plan Merida, i due strumenti del colonialismo yankee che hanno ridotto l'intero Messico a livelli di sussistenza haitiani, si è inserita, con il pretesto del narcotraffico, una militarizzazione, finalizzata alla repressione politica e sociale e al dominio dei narcos, da far impallidire il ricordo di Pinochet. Da questo mare di fango e di sangue si è ancora una volta sollevato un pezzo di popolo messicano, quale nella resistenza armata, quale in quella civile, e ha deciso di ritentare la carta capace nell'immediato di far uscire il paese dalla tenaglia narcos-fascisti che lo sta uccidendo: Lopez Obrador, nuovamente candidato alle presidenziali 2012. Tra i temi della sua campagna: la democratizzazione antimonopolio dei mezzi di comunicazione, priorità assoluta per ogni democrazia, una riforma fiscale che ridistribuisca la ricchezza, la precedenza all'industria nazionale contro la manomorta delle multinazionali, la riforma e riattivazione agraria, il rafforzamento di programmi sociali oggi abbandonati, una rivoluzione morale del paese. Risorge, con Amlo, una speranza, mentre subcomandanti vari, desertificate le lotte, si incontrano nell'immondezzaio della storia. Di Marcos, tranne "Carta" e Casarini, non parla più nessuno.
Lopez Obrador
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CAMPAGNA URGENTE PER IL POPOLO HONDUREGNO

A tutti i popoli fratelli del mondo, alle loro organizzazioni sociali e politiche, che condividono l'ideale di un mondo libero da ingiustizie e disparità che mutilano i sogni delle nostre società, chiediamo di unirsi alla grande CAMPAGNA PER IL POPOLO DELL' HONDURAS.
Il giorno 30 luglio l'Assemblea Generale dell'Organizzazione degli Stati Americani (OEA), terrà una riunione straordinaria per trattare il "caso Honduras". Sappiamo che la lobby del dipartimento di Stato USA ha esercitato pressioni su molti paesi, affinché votino a favore della riammissione dell'Honduras, a prescindere dalle condizioni del nostro popolo, che si trova ad affrontare la più brutale repressione e violazione dei diritti umani.
Fino ad ora, l'estorsione dell'impero è riuscita a piegare i rappresentanti di 22 paesi, mentre 9 si oppongono. Resta in sospeso il voto del Cile che, possiamo anticipare, servirà per forzare la riammissione. Insulza è giunto ad un accordo criminale, che implica infrangere il principio del consenso, ed ha creato lobby a favore della maggioranza, che ormai ha ottenuto.
È una vergogna che i governi di molti paesi abbiano la sfacciataggine di vendere il nostro popolo eroico per qualche briciola in più, in molti casi neanche per quello.
La nostra campagna chiede che tutti i cittadini del mondo, che nutrono un sentimento solidale e si oppongono alle ingiustizie, alle trame imperiali contro i popoli, a coloro che godono dell'impunità nell'esercizio della violenza brutale contro le loro popolazioni, inviino messaggi di posta elettronica alla lista d'indirizzi e-mail qui acclusa. E' la lista dei contatti con tutti e ciascuno degli ambasciatori alla Commissione Permanente dell'OEA.
Esprimete la vostra condanna nella forma preferita, ognuno scelga, ma tutti quanti inviamo messaggi a questi indirizzi, dobbiamo essere in migliaia ad esprimere il nostro ripudio al premio che stanno per consegnare ai golpisti assassini.
Due giorni fa, rilasciando dichiarazioni ad un mezzo d'informazione, Enrique Ortez Colindres, Cancelliere del Colpo di Stato, Consulente delle Forze Armate Honduregne, ha affermato "... i militari installarono Micheletti ed estromisero Zelaya..." Una massima dice "... a confessioni di parti in causa, ecco le prove..." Non ci sono verità da cercare: si è trattato di colpo di stato militare; c'è piuttosto giustizia da impartire, al riguardo, per le vittime assassinate dal regime Micheletti-Lobo-Sosa, per il presidente Zelaya, per gli espatriati, per i perseguitati e per tutto il popolo dell'Honduras.
Contiamo sulla vostra solidarietà. Ricordate: oggi difendiamo in Honduras ciò che, con le azioni ignobili dell'OEA, potrebbe succedere domani in altri paesi.
Fino alla vittoria, sempre!

Pubblicato da Fulvio Grimaldi alle ore 15.52

fulviogrimaldi.blogspot.com

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