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Mezza piena o mezza vuota?

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(22 Gennaio 2011) Enzo Apicella

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PRIMO MAGGIO: PER UN PROGETTO ALTERNATIVO DI SOCIETA'

Dobbiamo ripartire necessariamente dalla ricostruzione di una presenza politica e sindacale di classe, unica possibilità per le lavoratrici ed i lavoratori.

(1 Maggio 2013)

Il nostro impegno a dedicare il primo Maggio prendendo a simbolo i lavoratori e le lavoratrici sfruttati del Bangladesh, sterminati sul lavoro (perché di questo si è trattato: sterminio consapevole agito attraverso il ricatto) ha un significato profondo.

Ci avviamo verso un primo maggio celebrativo dei lavoratori, uomini e donne, di tutto il Mondo.

Ma anche di popoli trafitti dalla miseria e dallo scoramento, sottoposti ad un processo di sottrazione della propria dignità, dei propri diritti, a volte e sempre più spesso, drammaticamente, della propria vita. Trafitti non dal caso ma da un sistema mostruoso.

Il numero dei disoccupati e inoccupati nella sola Regione Europea si sta alzando in modo vertiginoso, e nulla fa presumere una inversione dei dati. Tutt'altro!

Le scelte politiche imposte dall'UE, per risolvere la profonda crisi capitalistica sistemando gli abissali conti delle banche e del sistema finanziario, frutti di pura e mera speculazione, stanno producendo una vera e propria devastazione strutturale del mondo del lavoro, sulla pelle delle persone: sono oltre 25 milioni (cifra sottostimata) i senza lavoro.

In Spagna la cifra record è stata raggiunta in questo ultimo trimestre: il 27 % della popolazione è senza lavoro e dunque possibilità di reddito.

Le manifestazioni davanti al Parlamento ispanico si susseguono ricevendo in cambio solo cariche dell'esercito e lacrimogeni.

In Italia, giochi di incrocio e di parametri fittizi, consentono di vantare “solo” un 12%, ma rimane sommerso e incalcolato sul piano statistico (e quindi come dato divulgabile e politicamente trattabile), il numero delle lavoratrici e dei lavoratori che hanno un “impiego” pochi giorni all'anno, acquisendo redditi neppure minimamente avvicinabili a quelli necessari per poter progettare una vita dignitosa: per la maggior parte sono giovani e donne. Senza dimenticare le vere e proprie condizioni di schiavitù nelle quali versano decine di migliaia di lavoratori anche stranieri: pensiamo al settore dell'agricoltura.

Il dramma della mancanza di risorse per gli ammortizzatori sociali, CIG e mobilità, a cui si è aggiunta l'odissea degli esodati, è ormai emergenza nazionale percepita realmente come tale solo dai diretti interessati e dalle loro famiglie.

Ed anche in Italia non mancano le pesanti cariche delle FFOO contro manifestanti, operai, disoccupati, precari, studenti.

Le modalità degli Scelba e dei Tambroni si ripropongono a distanza di decenni, come emblema di una regressione senza precedenti a danno della classe lavoratrice.

In Italia nessun settore si è potuto considerare escluso dall'espulsione in massa di lavoratori e lavoratrici, o della precipitazione nel precariato più cupo e nero: dai settori della logistica a quelli della sanità, dall'ambito dell'istruzione o del turismo a quello della residua e a volte mortale produzione industriale: già, perché ancora una volta il mondo del lavoro è costretto a scegliere tra salute e pane, magari retribuito con meri salari di sussistenza.

In Grecia l'ultimo accordo con la Troika prevede il licenziamento di 15.000 statali, 15.000 famiglie che si ritroveranno senza alcun reddito e sostentamento.

Una cifra enorme in se' e resa ancor più drammatica se messa in relazione con uno stato di grandissima povertà che sta fiaccando fasce intere di popolazione che fino a qualche anno fa potevano collocarsi su un livello adeguato di sopravvivenza. I bambini sono quelli che maggiormente risentono della crisi: sono aumentati gli abbandoni presso gli istituti di assistenza, mentre le scuole non riescono più a provvedere ad un pasto minimo che permetta loro di non svenire in classe.

Queste condizioni così drammatiche sono notizia d'ogni giorno, eppure sembrano non essere sufficienti per suscitare una contrapposizione reale, una proposta forte ed organizzata di rifiuto.

Le maggiori organizzazioni sindacali, resesi innocue da tempo grazie alla politica della concertazione, non sono in grado di esprimere né una proposta né tantomeno formare una opposizione.

La frantumazione politica e sociale della popolazione, così ben ammaestrata dal risultare efficace, impedisce una consapevolezza di classe e di conflitto, unico terreno utile e necessario per contrastare le politiche omicide e dittatoriali che la crisi finanziaria del Capitalismo infligge.

Dobbiamo ripartire necessariamente dalla ricostruzione di una presenza politica e sindacale di classe, unica possibilità per le lavoratrici ed i lavoratori.

Dobbiamo rispondere alla violenza del Capitalismo organizzandoci: combattere e sconfiggere socialmente e politicamente lo stato di cose presenti è l'unica possibilità per poter riconquistare diritti e lavoro.

Non possiamo accettare la miseria, non possiamo ridurre la popolazione a lunghe e umilianti code davanti agli istituti caritatevoli né sollecitare le famiglie a rivolgersi a servizi sociali ormai gusci vuoti, svuotati da tagli di risorse e personale.

Vivere, lavorare, studiare, avere accesso alla cura e alla salute sono diritti inalienabili che formano un tutt'uno che va rivendicato senza mediazione alcuna.

Dunque non un Primo Maggio celebrativo ma di lotta, di proposta, di riconquista, di rovesciamento.

I riferimenti teorici non ci mancano: da lì possiamo e dobbiamo ripartire, invertendo la tendenza alla sottomissione e alla introiezione profonda della sconfitta. Dobbiamo mettere in connessione le realtà, magari rese in questi anni artatamente frantumate, che si oppongono a questa infame realtà facendo crescere la consapevolezza, la coscienza critica -sottraendoci alle logiche del mercato- e la conflittualità sindacale con la costruzione di momenti di lotta e di scontro anche aspro, poiché dobbiamo ricostruire gli elementi di base per una società libera dallo sfruttamento e quindi dalle logiche violente del Capitale.

Va rilanciato un piano politico compiuto di opposizione, d'alternativa di società, che sappia trasformare la rabbia e lo sconforto in parole d'ordine chiare e precise. Dobbiamo procedere speditamente sulla strada della ricostruzione di un partito di massa, su basi marxiste. Poco importa se il “partito strutturato secondo le modalità novecentesche” non sembra trovare corrispondenza nei teorici e intellettuali che si soffermano con compiacimento sul movimentismo o la “moltitudine”:

poiché fu proprio la costruzione di un partito così concepito che seppe essere all'altezza e rispondere alle condizioni imposte da un capitalismo.

Un capitalismo, comunque strutturato, che invece non ha nessuna remora a far precipitare il mondo del lavoro a condizioni ottocentesche di pura miseria

Patrizia Turchi

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