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EXPO 2015: TRA UOMINI DI MONDO “TRONCARE E SOPIRE”. LOBBIES E CORRUZIONE POLITICA

(14 Maggio 2014)

L’imperativo categorico buchariniano “Arricchitevi!” rivolto ai kulaki (poi sterminati da Stalin) appare resistere quale motto distintivo di gran parte dei protagonisti che si muovono all’interno del sistema politico italiano: la corruzione è la loro attività preferita, prima rivolta a finanziare i partiti (o meglio, alcuni che stavano dentro i partiti) e adesso ad alimentare l’individualismo competitivo, forma nella quale si è trasformata la lotta politica.

Poi quando la magistratura, come quasi sempre accade nella storia del “Bel Paese” dell’abate Stoppani, prende il posto della politica tentando di mettere ordine, allora – proprio come nel caso dell’Expo 2015 appena venuto alla luce – il grido diventa quello manzoniano, tra Conte Zio e Padre Generale dei cappuccini: “Tra noi uomini di mondo: troncare e sopire”.

In tanti si prestano, nel corso di queste ore, a prendere parte all’operazione “ridimensionamento”: si tratta di vecchi “reduci” che non sanno fare altro nella vita e amenità del genere. Perfino il “gran vecchio” Macaluso si lancia in dissertazioni sull’assenza in Italia di una legge che regolamenti le lobbies mentre il “Grande Corruttore” dall’alto del suo conflitto d’interessi e dei suoi tanti procedimenti giudiziari sentenza: noi non c’entriamo, è roba da vecchi democristiani e da vecchi comunisti.

Mentre l’inquietante personaggio messo lì da qualche oscura setta a interpretare il ruolo di Presidente del Consiglio (e di segretario del PD, è bene sempre rammentare e non disgiungere) gonfia il petto credendosi Garibaldi ed esclama: “O Expo O Morte!”.

Precisato ancora un punto riguardante il fatto che l’assalto alla diligenza è stato attuato, nel corso degli anni, su due fronti: quello del denaro pubblico versato direttamente alla politica (quello che secondo l’ormai “parce sepulto” La Malfa padre avrebbe dovuto servire per svellere il cancro della corruzione), ridottosi via via a “ufficiale pagatore” delle piccole spese, dal SUV ai cioccolatini e quello delle grandi tangenti sugli appalti, il vero “osso da rodere”, attraverso le quali si otteneva un duplice risultato, arricchirsi e devastare il territorio: oltre a esercitare un po’, tanto, clientelismo nelle assunzioni per i cantieri: che poi questi cantieri terminassero l’opera si è sempre trattato di un fattore secondario. Qualche ritardo, poi, ha sempre favorito ottimi “avanzamenti lavori”.

Andiamo, per ordine, però cercando di definire al meglio i concetti di lobbies e di corruzione politica, tanto per ristabilire le distanze tra le due azioni e la verità circa la possibile analisi dei fatti.

Le lobbies si sono affermate quali soggetti privilegiati di influenza e scambio politico, sebbene nella tradizione europeo continentale conservino ancora una connotazione parzialmente negativa legata al carattere indiretto e opaco della loro azione, mentre negli Stati Uniti a esse è riconosciuta una necessaria “funzione pubblica” regolata dalla legge (del resto non tutte le lobbies sono quelle dei fabbricanti d’armi: anche le associazioni ambientaliste, ad esempio, nel momento in cui svolgono la funzione di gruppo di pressione per ottenere modificazioni legislative svolgono funzioni di lobbyng).

Indubbiamente, però, il ruolo assunto dalle lobbies ha contribuito in misura rilevante allo svuotamento della funzione di indirizzo politico da parte del Parlamento.

Siamo però rimasti all’analisi di quel livello – appunto – parlamentare: il “caso italiano” invece appare, da sempre, molto più esteso e ramificato: si tratta di un vero e proprio caso strutturale di “corruzione politica”.

Il termine indica l’abuso di ruoli o di risorse pubbliche in violazione alle regole normative di un sistema, allo scopo di favorire l’appropriazione privata dei beni collettivi in forma non prevista dalle leggi con conseguente modificazione dei rapporti di potere nell’ambito dei processi decisionali.

Intendiamoci bene: la genesi del concetto è simultanea alla creazione della tipologia tradizionale delle forme di governo e già se ne occupano Platone e Aristotele.

Il problema della corruzione riceve, però, un’attenzione specifica quando tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento la politologia dell’epoca (Mosca, Pareto, Weber) comincia ad analizzare gli aspetti degenerativi legati alla massificazione della politica : clientelismo, trasformismo, compravendita del voto, corruzione nelle istituzioni.

Nella sostanza però si può affermare, smentendo Mandeville, che la corruzione è l’illegale prevalere del privato sulle logiche dell’universale, del pubblico.

Sull’opposto dovrebbe basarsi la necessaria “diversità” dei soggetti di rappresentanza politica rispetto alle logiche privatistiche: in Italia ciò è avvenuto sempre con grande fatica (e anche attraverso una funzione denigratoria: ricordate la derisione circa la presunta “diversità” dei comunisti?) fino ad arrivare al punto in cui ci troviamo, da Tangentopoli in avanti.

La corruzione è stata il principale elemento di disgregazione del sistema politico perché ne ha indebolito, fino quasi a farla scomparire, la sua risorsa più importante : la legittimità.

Oggi, in Italia, siamo di fronte ad un sistema politico complessivamente delegittimato e sostituito da poteri poco trasparenti che si realizzano al potere attraverso metodi poco democratici, dagli enormi premi di maggioranza nelle occasioni elettorali alle congiure di palazzo usate quale mezzo “normale” per realizzare l’alternanza di governo: per questo motivo il “partito di cartello” al potere prende le distanze dai faccendieri e punta al “troncare e sopire”.

Mai come in quest’occasione varrebbe il “opertet ut scandala eveniant” ma nessuno sembra avare il coraggio di proclamare la necessaria “diversità”.

Insomma: è una questione di sistema e servirebbe un’opposizione “di sistema”.

Quella della tanto derisa “diversità dei comunisti”?

A patto, però, di saper distinguere tra “governabilità” e “rappresentatività politica” non assumendo il “governo” purchessia come “necesse est”, quasi che si trattasse di un imperativo categorico.

Franco Astengo

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