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L'angoscia dell'anguria

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(24 Luglio 2013) Enzo Apicella

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Non col voto si difende la classe operaia

La sua forza è nella organizzazione e nella lotta, non in una particolare forma costituzionale del dominio borghese

(28 Novembre 2016)

Il Partito Comunista Internazionale ci ha riproposto questo scritto, redatto in occasione dello sciopero del 21 ottobre. Lo pubblichiamo allo scopo di rendere conto dell'articolazione del dibattito della sinistra di classe attorno a temi come il referendum costituzionale.

USB e SI Cobas – coi più piccoli ADL Cobas, UNICobas ed USI – hanno indetto per venerdì 21 ottobre lo sciopero generale di tutte le categorie.

È giusto agitare fra i lavoratori – nell’assenza di mobilitazioni da parte del sindacalismo di regime – la necessità di una risposta generale in grado di respingere finalmente gli attacchi sempre più duri del padronato e del suo regime.

Ma questa mobilitazione purtroppo è stata preparata affrontando la questione in modo sbagliato.

La positiva convergenza nello sciopero di due fra le tre principali organizzazioni sindacali di base – la USB e il SI Cobas – è guastata dalla diserzione della CUB, che ha indetto lo sciopero in altra data, il 4 novembre, insieme a SGB e USI-AIT. La dirigenza di USB è responsabile perché si è limitata ad annunciare lo sciopero senza nemmeno tentare di coordinarsi con gli altri sindacati di base per prepararlo insieme. E la dirigenza della CUB, dimostrando analogo settarismo, ha preso a pretesto questo comportamento dell’USB per organizzare l’ennesimo sciopero separato e in concorrenza, pur subendo forti critiche dall’interno della sua stessa organizzazione. Atteggiamenti questi di autosufficienza che in oltre trent’anni hanno impedito il superamento del frazionamento del sindacalismo di base.

Il SI Cobas si è invece distinto per saper attenersi al vitale indirizzo dell’unità d’azione dei lavoratori, come già fece il 14 novembre 2014 scendendo in corteo a Milano insieme agli operai mobilitati dalla Fiom, il 18 marzo scorso promuovendo lo sciopero generale insieme alla CUB, che allora fu disertato dall’USB, e infine il 17 settembre scorso, partecipando alla manifestazione di Piacenza organizzata dall’USB in risposta alla uccisione durante un picchetto dell’operaio Abd Elsalam.

Bisogna battersi entro ciascun sindacato di base per l’unità nella lotta di tutti i lavoratori, per azioni unitarie di tutto il sindacalismo di base, ed anche coi lavoratori mobilitati dai sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil), quale strada maestra per la rinascita del Sindacato di Classe!

* * *

Lo sciopero generale, arma potente della classe operaia, deve essere usato nel modo corretto per non svilirne l’efficacia. Deve puntare a obiettivi delimitati, chiari e unificanti. Deve rinsaldare la convinzione che la vittoria dei lavoratori può essere opera solo dei lavoratori stessi.

Invece le rivendicazioni di questo sciopero generale sono troppo numerose e variegate, tali da farlo risultare come una manifestazione d’opinione anziché un passo concreto per ottenere davvero quel che chiede e per la costruzione di un movimento di lotta dei lavoratori.

La forza della classe operaia non si deve lasciar deviare verso falsi obbiettivi, che non sono i suoi ma quelli dei suoi padroni. Non si devono mischiare – e schierare – i lavoratori negli scontri fra le opposte fazioni della classe dominante. Il risultato è che gli obbiettivi della lotta operaia passano in secondo piano e sono sottomessi alle ipocrite e false idealità borghesi: sul piano nazionale le dispute fra governo e opposizioni, per la “libertà”, il “diritto costituzionale”, la “democrazia”...; sul piano internazionale, gli schieramenti oggi e le guerre imperialiste domani.

Oggi, il principale elemento che devia questo sciopero generale da quelli che dovrebbero essere i suoi scopi è il suo utilizzo a sostegno della battaglia per il NO al referendum sulla riforma costituzionale. Ciò vale principalmente per l’USB, che dà allo sciopero un minestrone di rivendicazioni che servono di contorno e sostegno a questa che è la vera finalità della sua mobilitazione, che infatti include il giorno successivo una manifestazione nazionale a Roma su questo tema. Ma anche il SI Cobas l’ha inserito fra i nove punti della piattaforma.

Fra l’altro, in questo modo si prepara il terreno alla campagna referendaria primaverile cui la Cgil, non a caso, sta facendo ricorso per nascondere la sua volontà di non indire alcuno sciopero.

A parte il metodo del referendum popolare, che è esattamente il contrario della lotta di classe, la riforma costituzionale non è un obbiettivo della classe operaia: i lavoratori sono trascinati nel pantano dello scontro fra le opposte bande di politicanti borghesi e la lotta di classe viene svilita e degradata a meccanismo elettorale. La maggioranza dei lavoratori vi si sentono, giustamente, indifferenti; altri possono propendere, influenzati dalle apparenti opposte propagande, da un lato o dall’altro: dare una indicazione di voto implica, su comando della politica borghese, dividere del tutto improduttivamente la classe.

Per la classe lavoratrice l’intera questione della riforma costituzionale è un problema falso e fuorviante. È forse servita la borghese democratica Costituzione a impedire le pesantissime sconfitte di questi ultimi decenni? Ricordiamo solo le principali:
- l’abolizione della scala mobile e la politica dei redditi, introdotta con un accordo firmato da Cgil, Cisl e Uil nel 1992, che ha abbassato di anno in anno il salario reale;
- le controriforme delle pensioni, da quella Dini (1994) a quella Fornero (2011);
- l’introduzione e diffusione del lavoro precario – dalla legge Treu (1997), a quella Biagi (2003), al Jobs Act (2015), diventato la principale forma di assunzione;
- la maggiore libertà di licenziamento con la riforma del lavoro Fornero (2012) e il Jobs Act;
- i rinnovi a perdere dei contratti nazionali di categoria ormai da decenni;
- le progressive deroghe dal contratto nazionale, attraverso leggi e accordi fra sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil) e associazioni padronali, ultimo il Testo Unico sulla Rappresentanza (TUR) del gennaio 2014 (firmato successivamente anche da Confederazione Cobas e USB);
- la limitazione della libertà di sciopero attraverso leggi (146/1990 e 83/2000) e accordi fra Cgil, Cisl e Uil e associazioni padronali (ancora il TUR).

Tutte queste leggi e questi accordi antioperai sono stati approvati con la Costituzione che oggi i contrari alla riforma sostengono che i lavoratori dovrebbero difendere con le loro lotte e con il loro sacrificio.

Il fronte del NO sostiene che se la riforma passasse le cose andranno ancora peggio perché si rafforzerebbe il potere esecutivo – il Governo – a discapito di quello legislativo – il Parlamento – dando al primo mano più libera nel varare nuovi provvedimenti contro i lavoratori. Ma se il rafforzamento del potere esecutivo è certamente uno degli obiettivi del Capitale è altrettanto vero che a fermare i provvedimenti dei governi contro la classe operaia non sono mai state e mai saranno le schermaglie fra i partiti in parlamento, ma solo la lotta di classe, cioè un movimento di sciopero il più esteso e duraturo possibile.

Questo è il vero problema, il vero compito della classe lavoratrice: rafforzarsi con una organizzazione sindacale di classe in grado di dispiegare una lotta in difesa delle sue condizioni.

Certo, in passato il Parlamento ha promulgato leggi a tutela dei lavoratori. Ma quando ciò è avvenuto è stato in virtù di una forza operaia dispiegata prima nel campo sociale con la lotta e solo dopo sanzionata con la legge. Le conquiste passate la classe operaia le ha ottenute con battaglie costate licenziamenti, il carcere e la vita: sono stati più di 150 gli scioperanti uccisi dalla polizia in pieno regime democratico e vigendo la “Costituzione più bella del mondo”.

E nel fare le leggi, anche quando queste andavano a migliorare le condizioni dei lavoratori, governi e parlamenti sono sempre stati ben accorti a concedere il meno possibile e soprattutto a inserire elementi che indebolissero la lotta di classe. Il riconoscimento per legge dei cosiddetti “diritti sindacali in azienda”, ad esempio, stabilito dallo Statuto dei Lavoratori (maggio 1970), col quale, secondo i suoi fautori, “la Costituzione è entrata nelle fabbriche”, se da un lato ha dovuto riconoscere alcune tutele ai lavoratori – come quella dal licenziamento individuale (art. 18) – dall’altro è servito a corrompere l’azione di classe, a rinchiuderla nell’aziendalismo, a sottomettere il movimento operaio a quella che poi, più tardi, è stata chiamata concertazione. Non fu per caso che quella legge fu promossa e votata dalla DC e dal PSI (oltre che da PSDI, PRI e PLI), e che il PCI – che non la votò e si astenne – passò poi a incensarla con gli stessi argomenti.

Fu l’azione corruttrice dei partiti riformisti (il PCI e il PSI) a spezzare la forza del movimento operaio, riuscendo dove la violenza statale aveva fallito, sconfiggendo la tradizione sindacale di classe dentro la Cgil e concedendo al regime capitalista questi decenni di pace sociale, nei quali ha potuto mettere provvisoriamente da parte la sua congenita violenza antiproletaria, potendo infliggere continue sconfitte ai lavoratori col metodo concertativo.

A fronte della avanzata inesorabile della crisi economica mondiale del capitalismo, però, ai regimi borghesi di tutti i paesi – a prescindere dal colore della vernice con cui si coprono – non rimane, per rimandare il tracollo di questo modo di produzione moribondo, che aumentare lo sfruttamento della classe lavoratrice. Gli attacchi contro i lavoratori diventano sempre più duri. Le regole del gioco della concertazione vengono ricalibrate fino a farla apparire per quello che è sempre stata: collaborazionismo di classe.

Lo stesso accade alla democrazia che gradualmente lascia intravedere sempre più chiaramente il vero volto di questo regime, la dittatura del capitale, di cui è solo la maschera.

Sul piano internazionale matura una nuova guerra mondiale, unica soluzione generale del capitalismo alla sua crisi, come già fu per la prima e per la seconda.

Questo regime è contro la classe lavoratrice, lo è stato e lo sarà sempre qualunque sia la sua Costituzione e il suo sistema elettorale. Il potere politico della proprietà, industriale e fondiaria, e della finanza, cioè della borghesia nazionale ed internazionale, non passa più per il Parlamento. Parlamenti e governi sono burattini al servizio della classe dominante. I partiti che additano in uno o nell’altro di questi fantocci il solo nemico dei lavoratori servono a salvare i veri padroni. La “sovranità popolare” è una grande frottola con cui la classe capitalista nasconde il suo dominio, con il vantaggio di scaricare la responsabilità dei suoi governi su coloro che li avrebbero scelti col voto. È evidente che le elezioni sono facilmente pilotate dalla borghesia che, col suo dominio politico ed economico, attraverso i media e le mille leve corruttrici e ricattatorie, condiziona le scelte dell’elettorato, per altro composto anche dai membri delle classi che vivono tanto meglio quanto più sono sfruttati i lavoratori. Col voto è impossibile dare il potere a un partito che difenda gli interessi della classe lavoratrice.

Per questo lottare in un fronte interclassista di forze e di rivendicazioni per “la caduta del Governo” come obiettivo a sé è fuorviante e pericoloso. Bisognava e bisognerà lottare contro le riforme delle pensioni, del mercato del lavoro, contro le leggi antisciopero, per una legge per la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro. In questa lotta può essere che un governo cada ma mai deve diventare un obiettivo in sé perché in tal modo si darebbe adito a credere che nel capitalismo possa esistere un governo amico dei lavoratori. Si è visto, per fare l’esempio più recente, come la caduta dell’ultimo governo Berlusconi, additato per vent’anni dalla sinistra, riformista moderata o radicale, come il principale nemico dei lavoratori, abbia aperto la strada al governo Monti, poi all’attuale, ancora peggiori.

Tutti i partiti, anche sedicenti operai e rivoluzionari, che sostengono il fronte del NO alla riforma costituzionale, ambiscono a un ingresso in parlamento e sognano impossibili “governi operai” nel quadro di questo regime politico. Sono destinati a veder fallire i loro progetti e soprattutto a far cadere i lavoratori in nuove amare disfatte.

Queste illusioni vanno combattute e sconfitte: la classe operaia deve battersi nell’immediato solo per i suoi obiettivi sindacali e sul piano delle attuali istituzioni non ha nulla da difendere e deve solo lottare per abbatterle, per la conquista rivoluzionaria del potere politico, per l’instaurazione della sua dittatura di classe, sola via per la distruzione del capitalismo e per il Comunismo: una libera società perché senza classi, senza Costituzioni e senza Stato.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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