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(25 Febbraio 2023)
Che il capitalismo conduca alla pace è la più grande menzogna
Da quasi 80 anni esso ha tenuto la guerra lontana da un pugno di paesi imperialisti ma solo dopo avervi provocato 70 milioni di vittime con la prima e la seconda guerra mondiale. In gran parte del mondo invece le guerre non sono mai venute meno: dal Medio Oriente al Corno d’Africa, dallo Yemen al Caucaso, dall’Afghanistan ai Balcani, è stato lo scontro fra gli imperialismi ad aver prodotto una ininterrotta catena di conflitti, morti e distruzioni.
Ora la guerra in Ucraina segna un passo decisivo verso un terzo conflitto imperialista mondiale: è una guerra nel cuore dell’Europa, uno dei maggiori agglomerati capitalistici del mondo, i cui combattimenti avvengono con modalità che non si vedevano da decenni, il cui carattere “per procura” sempre più tende a trasformarsi in scontro diretto fra gli imperialismi.
È già una guerra imperialista su entrambi i fronti: lo è dal lato dell’imperialismo russo come dal lato dell’Ucraina, la cui borghesia, prima pedina di Mosca, lo è diventata di Washington e Londra. Ed è una guerra che si inquadra nella contrapposizione fra l’imperialismo statunitense e quello cinese.
Come tutte le guerre imperialiste a provocarla non è lo Stato aggressore: indicarne la causa nell’invasione russa, o nell’espansionismo della Nato verso Est, significa in entrambi i casi fermarsi alla superficie del problema. Lo stesso bisogna avere il coraggio di affermare per la prima come per la seconda guerra mondiale.
Tutti i paesi imperialisti mai cessano di ordire trame e azioni a danno degli avversari, ai fini della tutela degli interessi capitalistici. Gli accordi internazionali sono frutti temporanei della diplomazia fra Stati borghesi, per la sopraffazione, non la pace, che è impossibile nel capitalismo, sia esso a egemonia statunitense, cinese, o “multipolare”.
Responsabile della guerra imperialista è il capitalismo nella sua interezza: tutti gli Stati borghesi coltivano le loro direttive di espansione, i loro “giardini di casa”, proporzionalmente alla potenza economica. L’imperialismo straccione italiano da sempre affonda le grinfie nel Mediterraneo, nel Nord Africa, nei Balcani; la Russia nell’Asia centrale, in Medio Oriente, in Africa; la Cina e gli Stati Uniti si contendono l’egemonia mondiale.
Tutti gli Stati borghesi sono aggressori e aggrediti allo stesso tempo. E sono tutti aggrediti dalla crisi dell’economia capitalistica mondiale: è l’aggravarsi ineluttabile della crisi di sovrapproduzione a esacerbare lo scontro fra gli Stati borghesi per la tutela – sempre più impossibile – degli interessi capitalistici.
La guerra imperialista è la soluzione del capitalismo alla crisi di sovrapproduzione: con le immani distruzioni di città, infrastrutture e fabbriche elimina le merci in eccesso – fra cui la forza-lavoro – permettendo un nuovo folle ciclo di accumulazione del capitale. Fu la seconda guerra mondiale, con i suoi 50 milioni di vittime, a far uscire il capitalismo mondiale dalla crisi economica in cui affondava negli anni ‘30 del Novecento, non le politiche economiche di interventismo statale in economia – cosiddette keynesiane – allora praticate tanto dai regimi borghesi democratici quanto da quelli nazi-fascisti, e ancora oggi invocate dai partiti opportunisti della cosiddetta sinistra radicale.
Ciò che minaccia mortalmente tutti gli Stati borghesi è la rivolta delle masse proletarie che le inevitabili bancarotte di industrie, banche e Stati provocheranno, è la lotta di centinaia di milioni di schiavi salariati che il capitalismo impoverisce ogni giorno di più.
La pace, per un capitalismo in piena decadenza, condannato al collasso economico, significa attendere inerme d’essere aggredito dalla lotta della classe sfruttata, oppressa e affamata. Il capitalismo non può sopravvivere alla pace! Deve aggredire il proletariato internazionale con la guerra: sottoporlo ai bombardamenti terroristici sulle città, trascinarlo al massacro fratricida sui fronti!
Non sono perciò gli “uomini di buona volontà” a poter impedire o fermare la guerra imperialista, secondo la predica pelosa e consolatoria della Chiesa e come infatti non è mai stato. Né tantomeno la diplomazia degli aguzzini che la provocano, cioè gli Stati borghesi.
L’esperienza storica del movimento operaio – della Comune di Parigi (1871), della Rivoluzione d’Ottobre (1917), del tentativo rivoluzionario in Germania (1919) – mostra come sia la classe lavoratrice, con la lotta per le sue condizioni di vita e per la sua fraterna unità internazionale, a poter impedire o fermare la guerra: è il disfattismo proletario sul fronte interno, con gli scioperi e la rivolta dei soldati!
Per arrivare a questa mèta occorre innanzitutto ricostruire il movimento di lotta sindacale per i bisogni immediati, elementari, economici dei lavoratori: per forti aumenti salariali, maggiori per le categorie e qualifiche peggio pagate; per la riduzione generalizzata e a parità di salario dell’orario di lavoro; per il salario pieno ai lavoratori disoccupati!
A tale scopo è necessaria l’unità d’azione di tutto il sindacalismo conflittuale – dei sindacati di base, e di questi con le aree conflittuali entro la Cgil e coi lavoratori combattivi ancora inquadrati in essa e negli altri sindacati collaborazionisti – per liberare la classe lavoratrice dal controllo dei sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil), contrapponendo alla loro unità sindacale tricolore un fronte unico sindacale di classe.
La lotta per i bisogni immediati dei lavoratori è intrinsecamente disfattista perché rompe la pace sociale, rigetta i sacrifici che il regime borghese vuole imporre loro, prima in pace poi in guerra, in nome del “bene del paese”, che altro non è né può essere che il bene del capitalismo.
Ma oltre al sindacato di classe, ai proletari occorre il partito autenticamente comunista, il quale dica loro chiaramente:
- che, come già fu nella prima e nella seconda guerra mondiale, anche oggi tanto l’autodeterminazione dei popoli quanto l’antifascismo e la difesa della democrazia non sono altro che alibi, con cui i regimi borghesi giustificano il massacro di centinaia di migliaia di vite proletarie perpetrato per interessi meramente capitalistici;
- che oggi i lavoratori in tutto il mondo non hanno nessuna patria da difendere né da conquistare ma solo da lottare, uniti al di sopra dei confini nazionali, per difendere le loro condizioni di vita, per conquistare il potere politico, per spezzare gli Stati nazionali borghesi con l’instaurazione di una Repubblica internazionale dei lavoratori;
- che le lotte contro l’oppressione nazionale, progressive in passato, oggi non possono che divenire strumento della guerra fra gli imperialismi;
- che la classe lavoratrice deve rigettare la difesa della patria e lavorare per la sconfitta del proprio regime borghese in guerra perché questa crea la condizione più favorevole al suo rovesciamento rivoluzionario, come la storia insegna;
- che in caso di occupazione militare i lavoratori non devono lottare per scacciare l’ “invasore” ma per fraternizzare coi soldati-proletari dell’esercito occupante, per fomentare anche fra di essi la ribellione alla guerra imperialista e la rivoluzione sociale;
- che bisogna opporsi con lo sciopero generale a oltranza all’ingresso in guerra voluto dal proprio Stato borghese;
- che laddove il movimento operaio non riesca a impedirla, esso lavora per la trasformazione della guerra imperialista in rivoluzione, rompendo il fronte interno con gli scioperi e fraternizzando coi soldati-lavoratori dell’esercito “nemico”.
– Alla guerra imperialista va opposta la guerra di classe, la Rivoluzione!
– Per l’unità internazionale dei lavoratori di tutti i paese!
– Per un Fronte Unico Sindacale di Classe!
– Guerra alla guerra!
Partito Comunista Internazionale (il partito comunista)
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