">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Air America

Air America

(4 Ottobre 2011) Enzo Apicella
Gli USA chiedono sanzioni contro la Siria al Consiglio di Sicurezza Onu

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

Apprendisti stregoni

(12 Agosto 2014)

fuad

Fuad Massum

Gli Stati uniti hanno ini­ziato l’invio di armi – senza spe­ci­fi­care quali – ai pesh­merga kurdi per­ché impe­di­scano l’avanzata dei jiha­di­sti dello Stato isla­mico in Iraq e nel Levante (Isil). Nel frat­tempo è stato eva­cuato il per­so­nale del con­so­lato Usa a Erbil, la capi­tale del Kur­di­stan ira­cheno. Forse è il segno che nem­meno Obama crede nella sua strategia.

Lo stato ira­cheno infatti si sta fran­tu­mando non tanto e non solo per l’arrivo dell’Isil o per il man­cato raf­for­za­mento mili­tare dell’opposizione siriana – come rim­pro­vera Hil­lary Clin­ton al pre­si­dente sta­tu­ni­tense – ma come risul­tato finale dell’occupazione mili­tare Usa dell’Iraq nel 2003. L’obiettivo per­se­guito fin dal 1991: la spar­ti­zione dell’Iraq in tre zone in base alle appar­te­nenze etnico-religiose, si sta rea­liz­zando con gli effetti più devastanti.

Seb­bene i com­bat­tenti kurdi siano stati gli unici a con­tra­stare, in parte, l’avanzata dei fana­tici jiha­di­sti non baste­ranno gli «aiuti» sta­tu­ni­tensi (i bom­bar­da­menti che con­ti­nuano da parte Usa e l’invio di armi) a scon­fig­gere al Qaeda, non potranno infatti essere i kurdi a «libe­rare» l’Iraq. Sem­bra di assi­stere al remake dell’avventura afghana quando gli Usa pun­ta­rono tutte le loro carte sui tagiki dell’Alleanza del nord. Il fal­li­mento afghano con il ritorno dei tale­ban evi­den­te­mente non è bastato.

I raid ame­ri­cani – il primo inter­vento in Iraq dopo il ritiro delle truppe nel 2011 – avreb­bero col­pito obiet­tivi dell’Isil, ma non è dato sapere quali. Del resto non è facile avere infor­ma­zioni dalla zona dei com­bat­ti­menti, soprat­tutto dopo che la gior­na­li­sta kurda Deniz Firat, dell’agenzia Firat, è stata uccisa da una scheg­gia. Deniz si tro­vava nella zona di Makh­mur la città che sarebbe stata ricon­qui­stata dai pesh­merga insieme a Gwer. L’Isil avrebbe invece occu­pato Jala­wla, più a est.

Nella pro­vin­cia di Ninive si sta con­su­mando la tra­ge­dia dei pro­fu­ghi delle mino­ranze: gli yazidi e i cri­stiani. Migliaia di yazidi soprav­vis­suti alle minacce, ai mas­sa­cri e alla fame, dalla zona di San­jir si sareb­bero diretti prima in Siria e poi nel Kur­di­stan, dove si tro­vano anche gran parte dei cristiani.

Ma l’attenzione nel frat­tempo si è spo­stata a Bagh­dad dove è in corso il brac­cio di ferro tra il nuovo pre­si­dente Fuad Mas­sum e l’ex pre­mier Nuri al Maliki, che non vuole rinun­ciare al terzo man­dato. Mas­sum ha dato l’incarico per for­mare il nuovo governo a Hai­der al Abadi, ma al Maliki sem­bra deciso a sfi­dare il presidente.

Al Maliki, abban­do­nato anche dagli ame­ri­cani, è uno dei mag­giori respon­sa­bili della situa­zione ira­chena. Dispo­tico, auto­ri­ta­rio – nello scorso man­dato aveva tenuto per sé il mini­stero della difesa, degli interni e il comando dell’intelligence – e ultra­set­ta­rio: ha escluso da tutti i ruoli di potere, dall’amministrazione pub­blica e dall’esercito, i sun­niti. Tanto che l’avanzata dell’Isil nelle zone sun­nite non ha tro­vato alcuna oppo­si­zione. Ma con­tro una nuova nomina di al Maliki, seb­bene il suo par­tito – Stato di diritto – abbia vinto le ultime ele­zioni (senza otte­nere la mag­gio­ranza), si è schie­rata anche gran parte dell’Alleanza nazio­nale sciita.
L’ex pre­mier por­terà la sua deter­mi­na­zione a restare al potere alle estreme con­se­guenze con un golpe, come lasce­rebbe inten­dere il dispie­ga­mento nei luo­ghi stra­te­gici di Bagh­dad dell’esercito, delle forze di poli­zia e delle unità di élite che rispon­dono solo a lui?

Il pre­si­dente Mas­sum, kurdo secondo la costi­tu­zione, forse in attesa degli ame­ri­cani, sta in qual­che modo ten­tando di fer­mare il «nuovo dit­ta­tore» come viene chia­mato al Maliki dall’opposizione.Ma comun­que for­nendo armi non si è mai posto fine alle guerre, la deriva in Libia lo dimostra.

Giuliana Sgrena, Il Manifesto

5581