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No more wars

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(21 Maggio 2012) Enzo Apicella
Manifestazione a Chicago contro il vertice Nato

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(Il nuovo ordine mondiale è guerra)

FETICCI, FANTOCCI E FANTACCINI DELL’IMPERIALISMO

(18 Aprile 2024)

step in your place

L’innalzamento del livello di tensione tra Israele e Iran ha avuto un effetto mediatico immediato: la questione delle condizioni della martoriata popolazione palestinese nella Striscia di Gaza è improvvisamente scivolata nelle pagine interne, lontano dai titoli di testa, dalle aperture dei telegiornali e dalle scalette dei programmi di (in genere presunto) approfondimento.

In un istante, il dramma delle centinaia di migliaia di persone, di famiglie intere intrappolate nel Sud della Striscia ad attendere l’offensiva delle forze armate israeliane è scomparso dall’attenzione della pubblica opinione. Rafah è stata dimenticata.

La prova di forza militare tra Israele e Iran ha rapidamente conquistato il centro del dibattito politico e della selva delle esternazioni delle cancellerie e delle istituzioni internazionali. Ad ennesima conferma, lo riconoscano o meno i feticisti “di sinistra” della liberazione nazionale, di come la questione palestinese sia tragicamente assorbita e subordinata al gioco delle potenze regionali e delle centrali imperialistiche. Quando accennano a muoversi i veri soggetti del confronto, gli oggetti di questa dinamica imperialistica possono tranquillamente scivolare nell’ombra, con tutte le loro sofferenze, la loro disperazione, le loro vite calpestate. La loro condizione, con i suoi risvolti e implicazioni nella situazione regionale, tornerà a campeggiare sulle prime pagine e nei talk show quando verrà nuovamente impugnata, in un senso o nell’altro, dalle potenze e dalle frazioni borghesi in competizione, quando tornerà utile agli interessi di questi soggetti capitalistici.

Mentre gli ideologi borghesi impartiscono ordini di scuderia e parole d’ordine utili alla bisogna, mentre gli Stati maggiori delle grandi potenze, di quelle regionali e di formazioni politiche come Hamas, subalterne all’azione e alle direttrici provenienti da questo livello del confronto imperialistico, perseguono le loro linee guida, rimangono solamente gli internazionalisti – quelli che non usurpano questo degno appellativo – a ricordare sempre la condizione di classe della massa delle vittime dei conflitti scaturiti dalle viscere del capitalismo, a denunciare il carattere di classe della violenza esercitata da Stati e organismi politici borghesi nel divenire dello scenario imperialistico globale.

A modo loro, le esplosioni della notte tra il 13 e il 14 aprile, oltre ad illuminare i cieli del Medio Oriente, hanno aggiunto un elemento di chiarezza.

Insieme ai missili e ai droni, sono andate ancora una volta in fumo tutte quelle categorie fasulle, buone solo a veicolare interessi borghesi nella veste più funzionale possibile a ingannare e a favorire l’intruppamento dei proletari al servizio di interessi estranei e ostili ai propri.

La chiave di lettura delle tensioni e degli scontri in Medio Oriente, il criterio intorno a cui schierarsi è quello della contrapposizione tra Occidente ed Oriente o tra mondo arabo e Israele, avamposto dell’imperialismo “occidentale”? Se così fosse, dovremmo registrare il passaggio di Stati come la Giordania e l’Arabia Saudita, che hanno contribuito alle operazioni di intercettazione dei droni e dei missili iraniani diretti contro obiettivi israeliani, nel mondo – ormai disinvoltamente mutevole e proteiforme – delle potenze “occidentali”. Regimi autoritari contro democrazie? In attesa di capire meglio la posizione di una potenza regionale di cruciale importanza come l’Egitto (la cui assai discutibile caratura democratica non gli ha impedito di ricevere la visita di dignitari europei con il relativo versamento di miliardi di prestiti e sovvenzioni), dovremmo registrare quindi anche il passaggio di Amman e Riad nel ridente novero delle democrazie compiute, e da difendere in quanto tali, contro il mondo non occidentale e autoritario (senza dimenticare quanto le garanzie della tanto celebrata democrazia israeliana abbiano un’applicazione drasticamente diversificata a seconda dell’appartenenza etnica, religiosa, sociale). Al cuore dello scontro regionale ci sarebbe la fatale contrapposizione tra sunniti e sciiti? Anche in questo caso, la perentorietà della chiave interpretativa finisce, al confronto con la realtà, per perdersi in un labirinto di incongruenze, fino a sfociare in conclusioni surreali. Mentre Stati arabi fieramente sunniti si schiererebbero nientemeno che con l’America cristiana e miscredente, con la Francia laica ed il Regno Unito anglicano, con lo Stato ebraico, pur di contrastare lo sciismo, la sunnita Hamas agirebbe in alleanza con l’Iran e gli sciiti Hezbollah. Il tutto mentre andrebbe chiarito, in questo categorico schema confessionale, lo spazio di intervento e di manovra di potenze dell’imperialismo come Russia e Cina.

Dove si può rintracciare, nello scontro tra Iran e Israele e negli schieramenti che ruotano intorno a questa contrapposizione, il divario politicamente risolutivo tra Nord e “Sud del mondo”? Dove inizia e dove finisce il Sud del mondo? Sono Sud del mondo i governanti sauditi? Teheran, con i suoi 14 milioni di abitanti, i suoi oltre 900 km di autostrade, superstrade, svincoli, le sue linee di metropolitana, i suoi grandi quartieri borghesi e proletari è una località del Sud del mondo precapitalistico, una roccaforte dell’Oriente misterioso e radicalmente estraneo alla civiltà “occidentale” o è una megalopoli capitalistica?

I momenti della verità nel confronto imperialistico mettono le cose in chiaro. Almeno per chi ha occhi per vedere e l’onestà intellettuale per fare i conti, sulla scorta dei fatti, con le rappresentazioni e gli schematismi ideologici borghesi, per quanto evocativi e suggestivi. L’imperialismo mondiale non conosce punti cardinali. I conflitti, le ferite aperte mediorientali, così come la guerra in Ucraina e le crescenti tensioni nell’Indo-Pacifico, trovano la loro principale fonte di alimento nella dinamica dell’imperialismo, nelle sue ineliminabili contraddizioni, nella carica di violenza che inevitabilmente accumula. È sulla base di un’analisi rigorosamente classista di questa dinamica che si possono individuare e comprendere gli schieramenti più autentici, effettivi, comprendendo anche la reale funzionalità delle divisioni e delle specifiche identità etniche, religiose, nazionali rispetto all’azione profonda e determinante delle forze e dei fattori in definitiva basilari.

Sulla base di questa consapevolezza, i comunisti rivoluzionari possono riaffermare, con sempre più forza e convinzione ad ogni ulteriore e cruento sviluppo del confronto imperialistico, come solo l’internazionalismo proletario – contro tutti gli utilizzi della nostra classe da parte delle più disparate espressioni borghesi che agiscono e si misurano in questo scenario imperialistico – costituisca la via di uscita per il proletariato e per l’umanità intera da un mondo altrimenti condannato a subire la logica sanguinaria del capitale.

Solo sulla base di una discriminante di classe, assolutamente prioritaria, ferma e coerente, è possibile orientarsi negli sviluppi odierni dell’imperialismo e in quelli, ancora più convulsi e drammatici, che ci attendono. Solo sulla base di questa rigorosa discriminante, che va difesa con passione e determinazione contro le logiche campiste dei fantaccini ideologici dell’imperialismo e contro le lerce formule di “incondizionato” sostegno, o, per meglio dire, di incondizionata subordinazione della nostra classe ai fantocci borghesi di potenze presuntamente “progressiste”, come comunisti rivoluzionari potremo davvero assolvere al nostro compito, indicando alla nostra classe e percorrendo insieme ad essa un tracciato strategico tra le macerie e i massacri della feroce senescenza del dominio capitalistico.

Prospettiva Marxista – Circolo internazionalista «coalizione operaia»

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