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L’INTERNAZIONALE DELLA RIVOLTA: ECCESSO DI DOMANDA E RICOLLOCAZIONE DI CLASSE

(25 Giugno 2013)

Moises Naim, scrittore venezuelano di origine libica, interviene sulle colonne di “Repubblica” cercando di individuare le “cause comuni” che starebbero alla base delle motivazioni al riguardo delle rivolte in atto in diversi paesi del mondo: Tunisia, Cile Turchia e adesso Brasile.

Nell’articolo sono individuate sei questioni che qui vengono riassunte in maniera del tutto schematica: 1) La casualità di piccoli incidenti che poi si allargano sostenuti da movimenti che da locali si trasformano in nazionali; 2) la cattiva reazione da parte dei governi, dimostratisi incapaci di anticipare l’esprimersi delle turbolenze; 3) Le proteste non hanno né capi né catene di comando; 4) La conseguenza di ciò è che i governi non trovano interlocutori diretti per aprire negoziati; 5) E’ impossibile prevedere le conseguenze politiche delle proteste; 6) Evidentemente la prosperità non compra la stabilità.

Quest’ultimo punto sembra essere quello che sta maggiormente a cuore all’autore che, addirittura, s’interroga: perché scendere in piazza a protestare, invece di festeggiare?

Allo scopo di cercare una spiegazione a questo fenomeno, Naim rispolvera un classico della destra americana: un testo del 1968, autore il politologo Samuel Huntington dal titolo “Ordinamento politico e mutamento sociale”.

Si tratta del testo base su cui si è basata la cosiddetta teoria “dell’eccesso di domanda”, vero e proprio assunto fondamentale dell’ideologia “reaganian-tachteriana” che ha, partendo dagli anni’80, esercitato una vera e propria funziona egemonica nello sviluppo del rapporto tra economia e finanza, trovando conferma successivamente nel crollo del sistema bipolare (in quel periodo Huntington con Fukuyama fu uno dei principali elaboratori della teoria relativa alla “fine della storia”) e negli ulteriori sviluppi della politica internazionale sia al riguardo della guerra intesa come “esportazione della democrazia” sia rispetto all’assalto feroce verso il “welfare state”.

Il testo “Ordinamento politico e mutamento sociale” ha sicuramente ispirato anche la teoria di Niklas Luhmann circa la necessità di tagliare proprio l’eccesso di domanda, riducendo lo spazio tra la politica e la società: da qui le esigenze di accentuare i termini del decisionismo da parte delle elite, rafforzare il concetto di governabilità, ridurre il ruolo dei corpi intermedi portatori di richieste sociali e di sintesi di cambiamento.

Naim raccoglie dunque, nella sua analisi, gli elementi portanti dell’ondata neo-liberista che dura da vent’anni ed ha portato alla gestione distruttiva della crisi che il capitalismo sta attuando a tutte le latitudini.

L’autore non perde occasione, inoltre, di ribadire la sua fiducia nel “disordine” della protesta come forza di turbolenza che, alla fine, non avrà esito pratico, ma porterà comunque a un progresso generale.

Dal nostro punto di vista appare, invece, necessario contrapporre subito a questo tipo di analisi l’insieme di un ragionamento alternativo, partendo da un’analisi delle condizioni materiali delle grandi masse popolari, proprio nei Paesi che hanno avuto nel corso di questi anni un più elevato tasso di sviluppo capitalistico (includendo anche Cina e India).

Il punto di partenza deve esser quello di considerare la situazione che si è creata non derivante dal cosiddetto “eccesso di domanda”, bensì dalla crescita enorme di diseguaglianza che è stato provocato dal particolare tipo di gestione dello sviluppo a livello globale.

Una crescita enorme delle diseguaglianze segnata anche dall’emergere violento di contraddizioni “altre” rispetto a quella centrale dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo: pensiamo ai temi ambientali, all’inasprirsi terribile della contraddizione di genere, all’affollamento nelle grandi metropoli dei paesi in via di sviluppo che ha provocato condizioni di vita insostenibili anche dal punto di vista culturale e del complesso delle relazioni umane.

Sullo sfondo, quasi da cornice, ancora la guerra, una guerra endemica, diffusa, combattuta magari per interposti mercenari e la violenza espressa nelle forme più diverse di vera e propria sopraffazione per i più deboli.

Non c’è “eccesso di domanda” come teorizzava nel ’68 Huntington e come rilancia oggi Naim, ma una pesante, complessiva e articolata nella sua composizione reale, “ricollocazione di classe” che riguarda milioni e milioni di donne e di uomini che ne soffrono, per di più, alla presenza di modelli di vita falsi tali da produrre bisogni indotti, magari superflui, causa ulteriore di conflitto e di emarginazione sociale.

Questo della “ricollocazione di classe” appare davvero il punto da cui ripartire non solo sul piano teorico, ma della visione del mondo e della progettazione del cambiamento: il primo passo non potrà che essere quello del promuovere nuovi livelli di lotta per ridurre le diseguaglianze nel loro complesso.

Per muoversi in questa direzione serve, però, rivitalizzare, ricomporre, ricollegare i soggetti rappresentativi della classe in forma politica, a tutti i livelli e a tutte le latitudini.

Una sola indicazione finale, in sintesi: riprendiamoci il primato della politica.

Franco Astengo

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