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UN POSSIBILE CAMPO DI RICERCA: IL DECLINO DELLE CONTRADDIZIONI POST-MATERIALISTE

(8 Novembre 2013)

Abbiamo davanti a noi la necessità di aprire un campo di ricerca particolarmente “largo” al fine di definire al meglio possibile i punti teorici sulla base dei quali costruire un’adeguata identità politica dei comunisti, alla luce delle grandi trasformazioni tecnologiche, culturali, sociali e politiche in atto da alcuni decenni.
Naturalmente questo brevissimo testo conterrà soltanto i punti per una possibile agenda: la proposta è però quella di aprire una discussione di fondo, a tutti i livelli e in tutte le sedi, cercando di analizzare la qualità delle contraddizioni in atto, senza farci fuorviare dalla ricerca comunque del “nuovo” e senza abbandonare il filone centrale della nostra storia sul piano della strutturazione politica.
I comunisti si distinguono, infatti, nella loro capacità di elaborazione , di proposta e di iniziativa politica, dal partire dalle concrete fratture sociali: questo punto appare di fondamentale importanza in una fase in cui la politica appare percorsa da una specie di “frenesia dell’astratto” dove il tema della governabilità e della personalizzazione cancellano completamente la possibilità di un’azione politica collettiva, finalizzata a obiettivi di carattere generale di grande respiro caratterizzati dall’idea di una trasformazione radicale dell’intero assetto sociale.
Si tratta di mantenere questa distinzione e questa positiva “diversità” sapendo che è necessario evitare l’astrattezza del politicismo, riferirci a reali blocchi sociali esprimendo la volontà di produrre egemonia al riguardo dell’insieme delle relazioni politiche e sociali in atto.
Sul piano teorico la nostra riflessione si è bloccata nel momento in cui, all’interno delle società “affluenti”, non si è riusciti a sciogliere il nodo della connessione, all’interno della definizione di una prospettiva teorica e di un progetto di mutamento dell’esistente, tra la “contraddizione principale” relativa allo sfruttamento e le cosiddette “contraddizioni post-materialiste” legate all’ambiente, alla differenza di genere, alla fortissima innovazione prodotta nel campo comunicativo che è stata in grado di produrre mutamenti profondi negli stili di vita a livello di grandi masse.
Ambiente, differenza di genere, comunicazione indicati soltanto per fare alcuni esempi tra i tanti possibili in questo senso.
La reazione dell’avversario a questo stato di cose è stata quella di individuare nel cosiddetto “eccesso di domanda” il punto da abbattere e stroncare, attraverso il taglio del rapporto tra politica e società: su scala globale è stato così imposto il meccanismo del cosiddetto “neo-liberismo” adottato su vasta scala, introiettato anche dalle forze della sinistra moderata presente nei punti nevralgici dell’Occidente sviluppato.
L’affermazione egemonica del “neo-liberismo” ha prodotto l’assoluto sconvolgimento dei rapporti sociali e politici a vantaggio dei fautori della diseguaglianza e dell’impoverimento generale a favore dell’arricchimento dei pochi puntando così all’obiettivo (in gran parte riuscito) di una contrazione, a livello globale, delle possibilità di esercizio della stessa democrazia liberale.
Naturalmente questa spinta distruttiva imposta dal capitalismo globalizzato non è risultata eguale per le diverse aree del pianeta.
Abbiamo verificato l’emergere di una duplice spinta: industrializzazione nelle aree cosiddette “emergenti”; finanziarizzazione nelle aree cosiddette “mature”.
Il quadro di riferimento complessivo era comunque quello appena citato dell’egemonia teorica da parte del “neo-liberismo” in grado di esprimere un proprio pensiero compiuto (si è parlato, non a caso, di “pensiero unico”) alimentando, di fatto, la crescita esponenziale delle differenze sociali complessive.
L’altro elemento su cui l’esercizio di questa egemonia si è misurato è stato quello delle guerre locali, condotte dall’unica superpotenza rimasta dopo il crollo del sistema sovietico. Gli USA hanno svolto fin qui il ruolo di “gendarme del mondo”, senza raccogliere però, nonostante la messa a disposizione di una quantità enorme di risorse, i risultati sperati sul piano dell’esercizio di un incontrastato dominio del loro “potere planetario”.
Oggi questo elemento rappresentato dall’esistenza di un’unica superpotenza appare in via di superamento e si affaccia l’ipotesi di un rinnovato multipolarismo (molto diverso, comunque, da quando a lato di USA e URSS si era affermato il movimento dei “non allineati” che pure ebbe una sua grande importanza, in particolare nella fase più alta della decolonizzazione).
Un rinnovato multipolarismo al riguardo delle cui configurazione appare, però del tutto prematuro articolare giudizi.
E’ stata questa la cornice complessiva all’interno della quale è stata inserita la grande crisi finanziaria avviata negli USA a partire dal 2008, traslata poi nel resto del mondo e trasformatasi, com’era facilmente prevedibile, in una crisi economica di vastissime dimensioni capace di mandare in crisi interi settori produttivi: dalle nostre parti l’incapacità dei diversi governi succedutisi nel corso degli ultimi decenni, soprattutto al riguardo dei temi europei ha fatto sì che, in particolare nell’area del Sud Europa e del Mediterraneo i colpi inferti dalla crisi risultassero durissimi e pressoché impossibili da sopportare per le masse popolari.
Qualcuno ha tentato di contrapporre a questo stato di cose un’idea di alternativa che, appunto riunificando l’insieme delle contraddizioni nel frattempo esplose cui si accennava all’inizio si fondasse sull’idea- forza della “decrescita”.
Un’idea –forza tale da liberare parti del pianeta dalla stretta più forte imposta dalle contraddizioni emergenti, attraverso un nuovo modello di economia e di società.
Questa proposta non ha funzionato sul piano politico dell’aggregazione di soggetti in grado di contrapporre ai settori dominanti una proposta e una pratica davvero alternative, restando infatti l,come del resto quelle avanzate dai cosiddetti movimenti “no global” all’interno di un generico “antiliberalismo”, senza fosse compiuto il vero saluto di qualità, almeno sul piano teorico, verso un coerente ed efficace anticapitalismo.
Sono stati compiuti, in questo senso, errori sia di valutazione analitica sia di timidezza politica.
Nel frattempo le condizioni materiali di “riduzione dello sviluppo” imposte dalla gestione capitalistica della crisi hanno imposto il brusco e imperioso ritorno sulla scena della centralità di quella che abbiamo storicamente definito come contraddizione principale, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo in nome dei valori di un capitalismo slegato dai lacci e dei lacciuoli capace, nel suo concreto esercizio, di liberare, a livello soggettivo, gli “spiriti animali”.
Egualmente la previsione del superamento nel ruolo e nelle funzioni dello “Stato – Nazione” ha avuto sicuramente uno sviluppo inferiore alle aspettative di molti che ne erano stato fautori, come nel caso della costruzione dell’Unione Europea.
Nel frattempo stanno mutando le condizioni complessive: il processo di globalizzazione è in fase di arresto e l’industria manifatturiera sta “tornando” nei luoghi originari dell’Occidente del “capitalismo maturo”: squilibri di nuovo conio stanno apparendo all’orizzonte.
Questi ultimi due fattori del ritorno alla centralità della contraddizione principale e del ritardo nel superamento della realtà rappresentata dallo “Stato – Nazione” impongono ai comunisti e alla sinistra d’alternativa proprio rispetto al piano internazionale, l’apertura di una riflessione di fondo attorno a due elementi costitutivi della nostra storia rappresentati da una visione internazionalista delle contraddizioni posta a livello planetario e regionale (il caso dell’Europa) e la materialità della “frattura” riguardante lo sfruttamento capitalistico.
Una possibile e auspicabile riflessione su questi punti dovrebbe portare a definire l’obiettivo del recupero e, insieme, dell’innovazione della tradizione della sinistra comunista in funzione della costruzione di una adeguata autonoma soggettività politica.
L’autonomia della propria soggettività politica, questo appare proprio essere il tema dimenticato dalla sinistra comunista non solo in Italia: ma rispetto all’intero Occidente il nostro paese è sicuramente quello che rappresenta, nella fattispecie, la situazione più arretrata essendosi ormai completamente rovesciato quello che storicamente era indicato come “caso italiano”.

Franco Astengo

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