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ATTUALITA’: TRA CONCETTO DI RIBELLISMO E CONCETTO DI RIVOLUZIONE

(18 Dicembre 2013)

Dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it

Il movimento dei cosiddetti “Forconi” manifesta oggi a Roma dopo aver incontrato già una scissione sul classico asse massimalismo/moderatismo (un vero archetipo): tutto in una settimana, grande battage mediatico, scissione, sostanziale ridimensionamento. Altro che: “La Rivoluzione che divora i suoi figli”, e intanto la destra, quella estrema, e quella in doppiopetto di tipo populista preme per impadronirsi al più presto di una possibile riserva di caccia elettorale.
Non si recita il “de profundis” sia ben chiaro perché la ragioni del disagio sociale nella situazione italiana di oggi sono enormi e nessun soggetto politico appare essere in grado di raccoglierle e trasformarle in istanze concrete e, soprattutto, di darsi una veste di rappresentanza politica adeguata partendo, purtroppo, da sinistra laddove è assente la capacità di porre in primo piano – come necessario – la contraddizione di classe resa sempre più aspra dalla ferocia della gestione capitalistica della crisi.
Può essere comunque il caso di misurarsi con alcuni concetti teorici che sono comparsi nel dibattito di questi giorni e che, mal adoperati, possono (ed hanno già) ingenerato equivoci e fraintendimenti.
Prima di tutto è necessario affermare con forza che il movimento alle cui manovre di piazza abbiamo assistito in questi giorni non ha alcun obiettivo di carattere rivoluzionario: ha anzi assunto le caratteristiche precipue di un ribellismo d’antico conio che può essere considerato diverso anche dalle classiche “jacquerie”.
Ribellismo perché?
Nell’intento proclamato dagli organizzatori, almeno all’inizio e al di là delle infiltrazioni che pure ci sono state e quanto mai evidenti, la ribellione era priva di motivazioni ideologiche e non propugnava un sovvertimento totale dell’ordine costituito.
Anzi: dietro al “Tutti a Casa” che ha rappresentato lo slogan principale di questo movimento (oltre a temi come quelli fiscali e del lavoro: assolutamente sacrosanti in questa fase, ma di marca tipicamente “riformista”) non si nascondeva infatti una proposta di radicale alternativa: anzi, la fase di transizione dovrebbe essere “coperta” da una sorta di giunta formata dai più alti gradi delle forze armate e di quelle dell’ordine.
Un vero e proprio sbocco autoritario, di conseguenza di regressione rispetto all’ordinamento democratico costituzionale.
Uno sbocco autoritario da collegare a una richiesta di soddisfacimento immediato di rivendicazioni di tipo economico : nella sostanza un indirizzo di tipo neo-corporativo.
L’altro elemento che ci consente di definire questo movimento come di carattere ribellistico e non rivoluzionario è quello del riferimento a una limitata area geografica: nel nostro caso lo “Stato – Nazione” identificato nell’altro slogan “siamo italiani”. L’assenza di una tensione di tipo internazionalista (non sovranazionale, beninteso) è l’altro elemento che - appunto – consente una precisa definizione di questo movimento.
La rivoluzione è cosa lontana dal “ribellismo” dei Forconi : non possono esserci dubbi per dei militanti che guardano proprio all’esigenza di riattualizzare le concezioni portanti dell’agire rivoluzionario.
In sostanza e per concludere.
Scriveva Hannah Arendt nel 1963: “Soltanto dove il mutamento si verifica nella direzione di un nuovo inizio, dove si costituisce una forma di governo del tutto nuova e si da vita alla formazione di un nuovo ordinamento politico, dove la liberazione dell’oppressione miri almeno all’instaurazione della libertà, possiamo parlare di rivoluzione.
Una definizione del tutto lontana da ciò che può essere identificato nel ribellismo: un ribellismo che significa soltanto conservazione e, di conseguenza, arretramento sociale e politico.

Franco Astengo

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