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Il trasformismo italico in un vicolo cieco?

La crisi governativa apre prospettive buie e tempestose...

(10 Agosto 2019)

politicanti trasformisti

Nato nel 1861, dal compromesso risorgimentale, lo Stato italiano si è sempre barcamenato tra governi che erano il frutto di compromessi dettati dalle circostanze contingenti, il cosiddetto trasformismo. Con esiti destinati, a volte, a durare a lungo, come il Ventennio fascista. O il Quarantennio democristian-social-piccista. E successive metastasi.

Il trasformismo italiano è stato (ed è, vedi governo giallo-verde!) una soluzione politica che esprime una struttura economico e sociale assai contorta, in cui si mescolano conflittualmente retaggi del passato e spinte verso l’avvenire. Ieri come oggi, considerati i mutamenti intervenuti.

Questa breve premessa mi consente di avanzare alcune osservazioni sull’attuale crisi governativa.

L’elemento scatenante è stata la Tav, alla cui opposizione il Movimento 5 Stelle (M5S) aveva costruito gran parte delle sue fortune. Prima di soffocare nelle spire della Lega Nord, il M5S ha cercato di costruirsi una verginità, almeno su questo fronte, dopo aver ingoiato il rospo del salviniano Decreto sicurezza! E ha avuto uno scatto d’orgoglio.

I commenti che ho letto sulla crisi governativa brillano per una superficialità condita di moralismo (quante frasi fatte!), a parte le solite encomiabili eccezioni. Sorvolo, decisamente, sui logorroici pateracchi che dicono tutto e nulla, parti di nostalgici della fu estrema sinistra. Dulcis in fundo, ecco gli immancabili accenni a possibili svolte golpiste ... Come se in Italia non si vivesse in regime di «libertà vigilata» da più di 40 anni (Legge Reale, 1975).

Ma tutto è possibile!

Ora, cerchiamo almeno di abbozzare il profilo sociale delle principali forze parlamentari in campo – Partito Democratico (PD), Lega Nord e M5S –, per stimare quali possibili soluzioni potrebbero sortire dalle prossime (imminenti?) elezioni.

Il PD rappresenta il grande capitale, in tutte le sue espressioni industriali, commerciali e finanziarie, legate alla globalizzazione, e quindi alla Ue. Queste forze economiche rappresentano una bella massa critica, in grado di attrarre molte piccole e medie imprese, nonché professionisti, con gli immancabili «intellettuali organici». Costoro danno il tocco politically correct a un partito che, altrimenti, avrebbe l’allegro volto dei faccendieri e degli affaristi del clan Renzi-Boschi. O quello truce del ex ministro di polizia Minniti.

La Lega Nord esprime soprattutto quel coacervo di piccole e medie imprese, con lo sciame petulante di lavoratori in proprio (Partita IVA), tutti nemici giurati delle tasse e dei «diritti» dei lavoratori. Sono fautori del lavoro «nero», insofferenti delle ingerenze Ue e delusi dal Berlusca. Invece che dagli intellettuali politically correct del PD, il volto ideologico della Lega è connotato dai razzisti, «rozzi ma sinceri», del Nord, del Centro e del Sud. Che abbraccia molti proletari, un po’ distratti, di fronte alla disinvolta gestione dei fondi del partito.

Ultimo arrivato, il M5S ha avuto il suo exploit in seguito alla deriva moderata (se non reazionaria) del PD. Ha fatto proprie le tematiche ambientaliste (in primis il Movimento NO Tav) e ha cavalcato il dilagante disprezzo verso i politicanti (ladroni). Socialmente, rappresenta le varie sfumature del ceto medio italiano. Con tutte le sue inevitabili oscillazioni, verso sinistra e verso destra, là dove li porta il cuore (di tenebra). Da cui i chiari di luna del vice premier Luigi Di Maio.

Non considero gli altri partitini, sono irrilevanti ai fini di possibili coalizioni. Con l’eccezione di Fratelli d’Italia che potrebbe fornire una stampella a un governo leghista. Ma a che prezzo? Come la metterebbero con le Autonomie Regionali?

Infine, forse a livello ideologico più che politico, è significativa l’influenza cattolica, in netta opposizione al razzismo leghista.

Nella composizione sociale dei tre «grandi» partiti, la presenza proletaria (lavoratori dipendenti e pensionati) è marginale o subalterna ad altri ceti. Sullo sfondo, vediamo crescere le astensioni e i voti nulli (alle politiche 2018 oltre il 30%). Come ho avuto occasione di precisare, vista l’ampia offerta di partiti al mercato del voto, l’astensione potrebbe alludere a un rifiuto del sistema democratico parlamentare.

Finora, le possibili implicazioni politiche dell’astensione sono state eluse. Ma l’aria sta cambiando.

All’orizzonte, si profilano nettamente le turbolenze di un’incipiente crisi economica: dazi di Trump, recessione tedesca, con pesanti ricadute sull’Italia. Già in cattive acque.

La crisi economica è accompagnata dalla crescente instabilità politica in molte aree del mondo, in particolare in Medio Oriente e nell’Africa subsahariana, con l’incremento dei flussi migratori verso il Bel Paese. E non ci saranno muri che tengano! Come già i fatti dimostrano, nonostante Salvini & Co. che, anzi, hanno generato solo eccidi, soprusi, degrado e malessere sociale.

E poi, ecco i mutamenti climatici che contribuiscono al dissesto ambientale e che le Grandi Opere (inutili e dannose) aggravano. Con buona pace di PD & Lega.

È uno scenario in cui il malcontento popolare, finora strisciante o episodico, potrebbe scaldarsi. Una prospettiva che nessuna delle forze parlamentari in campo (PD, Lega, M5S) è in grado di affrontare, elaborando mediazioni/ compromessi sociali (trasformismo politico) all’altezza dei tempi. E non c’è neppure l’uomo «forte». O il «tecnico»!

E allora, forse ha ragione il vecchio Rino Formica. Vedi: Daniela Preziosi, Rino Formica: «È l’ultima chiamata prima della guerra civile. Ora il Presidente parli», «il manifesto», 8 agosto 2019.

E se il Presidente parla, sarà come la Sibilla Cumana, chi ci capisce è bravo! Quindi ... A meno che tutto finisca a tarallucci e vino. Tanto, il conto lo pagano i proletari.

Milano, 10 agosto, 2019

Dino Erba

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