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(No basi, no guerre)

Dal Molin: da che parte stare

(6 Febbraio 2007)

Proletari!
Sulla vicenda relativa all’areoporto Dal Molin di Vicenza, noi comunisti abbiamo le nostre classiche posizioni di sempre: infatti sul militarismo, il pacifismo e l’antiamericanismo, non condividiamo nulla di quanto detto e scritto finora, soprattutto da quanti oggi si dicono “contro”.
Per gli Stati Uniti, la saldatura fra i capitali "islamici" e quelli dell'Europa e dell’Asia (Giappone, Cina, India, ecc.), cioè dei paesi loro concorrenti sul piano industriale e finanziario, sarebbe una catastrofe. Oggi questi paesi pagano un pesante tributo alla rendita petrolifera, ma non beneficiano di capitali di ritorno come è successo finora a USA e Inghilterra. Il controllo dei flussi petroliferi è perciò un'arma potentissima contro i concorrenti. Il gendarme di Washington ha così dominato il mondo rendendoselo nemico e, se dovesse mostrare debolezze, sarebbe spazzato via. Non di certo da una guerra diretta, che per ora nessuno gli può muovere, ma dalla semplice situazione politico-economica che sta maturando.
Gli Stati Uniti sono dunque costretti ad attaccare per ragioni vitali. "Terrorismo" e "paesi canaglia" sono solo propaganda da cowboys della “democrazia da esportazione”. Ecco perché scaturiscono teorie di guerra preventiva globale. I preparativi per una vasta campagna politico-militare, dopo l’Afghanistan e l'Iraq, mirano a conservare l’odierno sistema di equilibri, a garantire alla borghesia americana il controllo del processo sempre più spinto di “globalizzazione”, e a cercare di subordinare all'interno di questo quadro, volenti o nolenti, le altre potenze capitalistiche mondiali.
La questione dell’allargamento della presenza militare americana in Italia deve essere allora inquadrata nel contesto dell’approfondirsi dei contrasti interimperialistici oggi in atto, determinati a loro volta dall’incancrenirsi della crisi economica internazionale. Lo sbocco necessario di quest’ultima - in assenza della Rivoluzione proletaria internazionale - è infatti la Terza Guerra Mondiale, unico mezzo per rianimare il ciclo del profitto grazie alla distruzione su vasta scala di capitale costante (mezzi di produzione) e di capitale variabile (forza-lavoro). Gli Stati Uniti, ormai col fiato dei concorrenti sul collo – e, per quanto ci riguarda, anzitutto dell’Unione Europea - non possono che reagire con un interventismo militare sempre più spinto su tutti i fronti sensibili, utilizzando anche nel modo più efficace e spregiudicato quel vero e proprio ponte geopolitico tra l’Europa, il Medio Oriente e il Nord Africa, che è rappresentato dalla penisola italica.
Ora, il governo di “sinistra” afferma di aver ereditato dal precedente governo di “destra” la decisione di concedere agli USA il Dal Molin per trasformarlo nella seconda base militare yankee presente a Vicenza. E questo già la dice lunga sulla presunta opposizione tra “destri” e “sinistri”. Ma il fatto è che anche il governo Berlusconi aveva a sua volta ereditato una decisione maturata da ben sette anni nelle viscere opportunistiche del capitalismo italiano, come risulta evidente dalle vicissitudini della guerra nei Balcani: l’interventismo tricolore accanto agli USA fu infatti espressione della sinistra socialdemocrazia targata D’Alema. Così il capitalismo italiano, se è ancora indeciso se aderire in via definitiva (si fa per dire…) al partito europeo o al partito americano, è intanto ben deciso però a trarre profitto dalle occasioni economico-militari che via via gli si presentano. Gli affari sono affari … E i burattini, di qualsiasi colore essi siano, si avvicendano sul palcoscenico della “grande politica” parlamentare, ma il burattinaio e cioè il centro di accumulazione capitalistica nazionale - con buona pace dei gonzi pronti a correre alle urne per “cambiare le cose” - è sempre quello!
Allora, se dopo l’Iraq le truppe americane non trovano più in Germania un terreno “favorevole” alla loro permanenza, l’italico imperialismo straccione, che ha sempre perseguito la conquista - in tutte le fasi del suo dominio (liberale, fascista, repubblicano) - del tanto agognato “posto al sole” accanto alle grandi potenze, per il momento dà loro il benvenuto, riservandosi naturalmente la possibilità di fare domani o dopodomani, se avrà qualcosa da guadagnarci, lo sgambetto agli ospiti accolti oggi con tanto favore (come nelle due ultime guerre mondiali: gli amici sono poi diventati i nemici!).

Proletari!
La nostra classe non ha ancora trovato la forza di scrollarsi di dosso un torpore che dura ormai da più di ottant’anni, e quindi è ancora ben lontana dal possedere il senso e la direzione del proprio percorso storico, un percorso di cui l’antimilitarismo proletario è parte integrante. Non stupisce quindi che altre forze sociali e politiche occupino oggi il proscenio e diano la loro impronta al movimento di protesta contro il raddoppio della presenza militare USA a Vicenza. Non sorprende affatto anche la posizione dei sindacati tricolori, che non si discosta da quella del governo e che si preoccupa di tenere comunque legati i lavoratori al carro della borghesia, ovviamente fuori da ogni prospettiva di lotta di classe autonoma.
In questa situazione, è evidente che il movimento di protesta che si è levato contro la concessione del Dal Molin agli americani deve essere disertato dai comunisti e da tutti i proletari coscienti, e cioè da quei proletari decisi a non trasformarsi in una partigianeria a servizio dell’uno o dell’altro schieramento imperialista. Noi comunisti dobbiamo tuttavia portare una parola di chiarificazione e di netta demarcazione politica dall’esterno di tale movimento, come era corretto fare nel 1983 in occasione della protesta contro i missili americani a Comiso. Una parola che indichi nella mobilitazione contro le imprese militari italiane la reale alternativa ai movimenti a sfondo nazionalista da cui noi ci dissociamo con fermezza. E questo non solo per il carattere apertamente interclassista di entrambi gli schieramenti “pro e contro”, e per il carattere “trasversale” che contraddistingue a maggior ragione il cosiddetto “comitato del no”, costituito da no-global, rifondatori “comunisti”, suore, boy scout, leghisti atipici e fascisti “puri e duri”, ma anche e soprattutto per due fondamentali motivi:
perché si tratta di un movimento che dietro l’apparenza di un pacifismo melenso ed imbelle, nasconde la vocazione alla difesa integrale ed intransigente degli interessi della borghesia nazionale italiana, che verrebbero oggi sacrificati da un governo succube dell’odiato straniero a stelle e strisce; tanto è vero che nessuna voce di protesta contro le basi militari italiane si è mai levata nemmeno da parte della cosiddetta “sinistra radicale”, assistiamo anzi allo spettacolo di un Bertinotti che si fa paladino della forza militare integrata europea. Il proletariato invece non ha nulla a che spartire con simili parole d’ordine, perché la sua consegna specifica - diametralmente opposta a quelle ascoltate sinora - afferma senza mezzi termini che il nemico principale è nel proprio paese, a chiunque si allei e di chiunque sia o appaia succubo il governo di turno.
perché è un movimento che solleva la bandiera reazionaria del decentramento democratico e referendario, che è poi l’espressione del più becero localismo: dietro la retorica piccolo-borghese della difesa del proprio verde orticello minacciato dal rombo dei B-52, contro i quali si vorrebbero mobilitare tutte le sacre icone delle autonomie locali - dal Comune fino ai Comitati di circoscrizione e di quartiere -, si nasconde infatti la realtà di un’oppressione sociale e militarista che quanto più è democratica e decentrata tanto più è ferrea ed inesorabile, come l’esempio del “poliziotto di quartiere” illustra nel modo più evidente. Più democrazia significa più militarismo, e questo sono proprio i “campioni” della democrazia americana ad insegnarcelo!

Nel frattempo, cento milioni di lavoratori statunitensi sono sempre più schiavizzati da un capitalismo infame e senza briglie, militarista fino al midollo. Chi "dimentica" i proletari di ogni paese, avanzato o meno; chi si getta in romantiche difese di indistinti "popoli oppressi" o, peggio che mai, di borghesie retrograde; chi non si rende conto che l'esercito fondamentale per la sconfitta dell'imperialismo planetario è il proletariato internazionale con quello americano in prima fila; chi si offre come partigiano per uno degli schieramenti borghesi in guerra è inequivocabilmente fuori dal campo comunista rivoluzionario.
In ogni caso qui la consegna è: non tradire. Occorre almeno lottare contro il coinvolgimento dei proletari in una partigianeria per l'uno o per l'altro fronte borghese, sia esso americano, europeo o islamico, e non illudersi che il pacifismo possa evitare la guerra.

Contro la guerra tra Stati, non pacifismo ipocrita e imbelle, ma guerra di classe!
Contro l’antiamericanismo piccolo-borghese e nazionalista!
Per la rinascita dell’antimilitarismo proletario!
Il nemico principale dei proletari italiani ed europei è il militarismo italiano ed europeo!



3/02/2007

Partito Comunista Internazionale
Schio (VI)
http://www.sinistracomunistainternazionale.it

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