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Per un'altra Padova

Analisi e proposte per la costruzione di un'alternativa di classe - documento presentato al coordinamento dei circoli cittadini di Padova

(7 Novembre 2001)

1. Gli anni '90 hanno segnato gli assetti sociali e politici del nostro paese. L'accelerazione nella formazione di blocchi continentali, seguita al crollo dell'Urss e del suo sistema, ha determinato una nuova fase che ha stravolto partiti politici, poteri economici e soggetti sociali. La lunga crisi di sovrapproduzione di merci e capitale, iniziata alla fine degli anni sessanta, scompone e ricompone continuamente le frazioni del capitale, i lavoratori, popolazioni intere del nostro mondo. La competizione mondiale che sottende l'attuale "globalizzazione" porta un'impronta di sfruttamento e di guerra che non ha risparmiato il nostro territorio.

2. Padova, in questo contesto, ha subito un profondo processo di ristrutturazione. In questo cambiamento emergono però anche significativi elementi di continuità: capitali e gruppi di potere hanno consolidato la loro presa sulla città, rinnovando e allo stesso tempo mantenendo il profilo soci-economico di Padova. Un potere ed un controllo sociale che rimane basato sullo sfruttamento del lavoro vivo, sull'estrazione di plusvalore dalla forza lavoro di questo e altri territori. Questi ultimi anni hanno fatto chiarezza sui luoghi comuni e le ideologie moderniste che hanno dominato il decennio, anche a sinistra. Non si è dato il superamento dello sfruttamento nel processo lavorativo e l'autovalorizzazione del libero produttore, un comunismo già dispiegato nella sua essenza che deve semplicemente rompere in ambito locale il dominio politico dello Stato ieri, dell'Impero oggi, come alcuni teorici padovani hanno sostenuto. Non è sparito il lavoro, come risultato di una nuova produzione tecnologica, comunicativa e cognitiva che libera gli uomini dalla fatica della produzione, come hanno ritenuto intellettuali ed economisti della nuova sinistra. Non si è registrato un balzo in avanti nella qualificazione e nella professionalità dei lavoratori, in grado di determinare una condivisione nella gestione dell'impresa, un nuovo "patto dei produttori", come propagandato dai cantori del riformismo nostrano.

UN (PICCOLO) PASSO INDIETRO: ALCUNI CENNI SULLA PADOVA DEMOCRISTIANA

3. Lo sviluppo di Padova dopo gli anni sessanta è stato caratterizzato da alcuni fattori, in particolare:
- dalla forte concentrazione del commercio al minuto e all'ingrosso (una città di bottegai), che ne ha fatto un polo provinciale e regionale del settore;
- dalla posizione geografica, che ne ha fatto un nodo nazionale dei trasporti ferroviari ed autostradali;
- dalla presenza di tre poli di servizio: l'Università, con la concentrazione di una crescente popolazione studentesca; l'ospedale, con centri nazionali di ricerca e di intervento; l'area turistica e termale intorno ai colli.

Inserita tra le realtà industriali di Venezia (Petrolchimico) e del vicentino (tessile-metalmeccanico), il terziario dei servizi e l'industria dei trasporti hanno connotato questa città anche nei decenni passati.

4. Questo non significa che Padova era una città senza operai. Sede di alcune industrie rilevanti, insediate per favorire la presa clientelare democristiana e per sfruttare la sua posizione nel sistema nazionale dei trasporti (Domenichelli, Officine Meccaniche Stanga, Campari, Peroni, Utita, ecc), negli anni settanta e ottanta ha favorito e incubato il grande sviluppo delle piccole e medie imprese del nord-est, industrializzando la campagna circostante. Questa realtà è stata incentivata con la fondazione delle Zone Industriali (Zip e Limena), ed ha determinato il successo di una serie di piccole multinazionali (come la Golfetto per i mulini, la Safilo per gli occhiali, la Finmek nelle tlc), l'espansione della meccanica di base e delle aziende del "ciclo del freddo" (il 40% della produzione europea del settore è concentrato in Veneto e in particolare nel padovano, basti ricordare aziende come Hiross, Arneg, ecc) e la creazione di alcuni distretti industriali (come quello della calzatura in Riviera del Brenta, o del mobile nel Montagnanese).

GLI ANNI '90: INNOVAZIONI DEI SISTEMI E CONTINUITÀ DEI POTERI

5. La vecchia Padova del commercio e dei servizi ha attraversato negli anni '90 un grande mutamento, rivisitando il proprio profilo produttivo per sopravvivere e rilanciarsi nella crescente competizione internazionale. La crisi di sovrapproduzione, la difficoltà a garantire l'accumulazione, ha portato ad allungare il ciclo del capitale, ampliandone la sfera produttiva. I servizi alle imprese e alle persone sono diventati un nuovo terreno per l'estrazione di plusvalore, si sono avviati processi di privatizzazione e si sono creati nuovi mercati (sociale, educativo, sanitario, comunicazioni). In questo processo si è registrata una crescita del ruolo e dell'importanza del capitale finanziario e delle agenzie di credito, prima in questo territorio semplice anello della catena di comando della Chiesa e della Dc. Contemporaneamente l'accelerazione del ciclo del capitale e il taglio dei costi (magazzino) ha reso centrale il trasporto e la movimentazione delle merci. Il profilo che la città ha avuto nei decenni passati (trasporto, università, servizi) può quindi essere ristrutturato, valorizzato e sviluppato nella nuova fase. Tutto cambia affinché nulla cambi nel governo della città e del territorio.

6. Alcuni elementi di questo nuovo profilo possono quindi essere sottolineati, per la rilevanza che stanno assumendo nell'assetto sociale e produttivo della città:

Le banche. Nel processo di fusione fra capitale finanziario e industriale, la riforma del 1992 del sistema di credito ha reso di nuovo possibile, dopo sessant'anni, la commistione tra banca e industria. I principali istituti della città (Popolare veneta, Antoniana, Cassa di Risparmio), anche grazie a fusioni e accordi, sono diventate capofila di due gruppi che si sono inseriti fra le prime 10 banche italiane, subito dopo le "grandi" (Intesa-Bci, Unicredito, ecc). Queste banche diventano soggetti centrali nei processi di fusione e ristrutturazione del capitale, a livello sia regionale che nazionale. In particolare Antonveneta si è legata ad ABN Amro, banca multinazionale olandese, ha avviato una lunga serie di acquisizioni su tutto il territorio nazionale (in Friuli, Lombardia, Emilia, nel meridione, ecc), ha curato lo sviluppo di una nuova generazione di imprenditori del nordest intorno al gruppo Benetton (legato da alcuni anni alla Popolare Veneta), sino a partecipare in prima persona ad operazioni industriali come l'acquisto di Telecom da parte di Olivetti e ad organizzare, in questi mesi, una cordata per l'acquisizione di Alitalia. La Cassa di risparmio di Padova e Rovigo è riuscita a federare intorno a sé le casse di risparmio della regione fuori dal circuito di Unicredito, creando in alleanza con la Cassa di Bologna il gruppo Cardine, che proprio in queste settimane ha avviato una fusione con la S.Paolo-Imi, portando tre esponenti della Cassa Padovana nel Cda di uno dei tre principali poli bancari del paese.

Università. L'autonomia amministrativa è stata impiegata per rilanciare una forte presenza dell'Ateneo nella città e nel sistema produttivo regionale, in particolare durante i rettorati Bonsembiante (una delle principali famiglie padovane), Muraro (consigliere di amministrazione di Antonveneta, coordinatore cittadino del Movimento del Nordest di Cacciari) e Marchesini ("un borghese dalla schiena ritta", secondo la recente definizione del Sole 24 ore). Alcune delle operazioni tentate in questa direzione sono riuscite pienamente, altre sono fallite pienamente, mostrando una difficile integrazione tra la Ricerca e Sviluppo e l'apparato produttivo veneto. Basti ricordare che nel decennio sono state investiti più di 800 miliardi in nuove strutture (Portello, Agripolis, campus umanistico in centro, case dello studente, ecc); nei primi anni 90 si è tentato di implementare un centro di ricerca (Agripolis) collegato ad Agrimont (unico tentativo italiano di creare una multinazionale agroalimentare nell'era delle biotecnologie), ipotesi che è tramontata a causa delle note vicende Montedison; si è supportato i bisogni di tecnici dei distretti veneti con la creazione di Ingegneria gestionale a Vicenza e Tecnologia dell'occhiale a Belluno; intorno a Veterinaria (ancora Agripolis), Biologia e Medicina si sta formando un centro sperimentale per gli xenotrapianti (tra i primi aperti in Europa); sono state costruite strutture di servizio all'impresa come il Centro Innovazione (Zona Industriale) e il Sil (per la certificazione di laboratorio). In questo elenco non va sottovalutato il ruolo del CNR, dove oltre che il famoso consorzio Rfx (fusione nucleare, in collaborazione diretta con Acciaierie Venete), ha sede ad esempio l'Itef, l'Istituto nazionale di tecnologia del freddo (ovviamente legato alle industrie del ciclo del freddo del territorio). L'università di Padova, giova ricordarlo, è anche uno dei due principali datori di lavoro della provincia, avendo circa 2.000 dipendenti tecnico-amministrativi, 2.500 docenti e qualche centinaio di precari post-studenti (area lavorativa grigia, spesso non retribuita, in forte espansione).

Azienda Ulss e Azienda Ospedaliera. L'ospedale di Padova è praticamente la prima azienda del territorio (4.500 dipendenti, a cui si deve aggiungere il personale universitario delle cliniche, 650 persone, e il numeroso personale delle cooperative di pulizia, ristorazione, ecc). L'Ulss aggiunge a questi altri 2200 dipendenti, distribuiti nei distretti (di cui circa 500 medici). Lo sviluppo dell'attività entra-moenia, di alcuni centri di eccellenza europea nella ricerca (come i trapianti), la progressiva rilevanza del mercato della salute (uno dei pochi previsti in costante espansione nei prossimi decenni, grazie anche all'invecchiamento della popolazione), contemporaneamente ai processi di privatizzazione della sanità e di smantellamento del SSN, ne fanno uno dei luoghi principali di gestione del territorio, di modificazione della struttura sociale e quindi di conflitto tra capitale e diritti del territorio.

Servizi su grande scala. Aps. La privatizzazione delle aziende municipalizzate è strettamente legata alla liberalizzazione dei mercati dei bisogni primari (acqua, energia, gas), tendente alla formazione di nuovi monopoli multinazionali a forte valorizzazione di capitale. Il processo nel nostro paese è ancora in corso, in una fase in cui non è ancora chiaro se le nuove multy-utility sono solo un grande terreno di caccia per le multinazionali del settore (in particolare quelle francesi e tedesche, e le italiane Enel, Edison ed Eni) oppure il tentativo di dare luce ad un nuovo polo capitalistico italiano (come sembrano provare l'Aem di Milano e Torino, l'Acea di Roma, l'Acegas di Trieste). La nascita di Aps, con la fusione di Amag, Acap e Amniup, l'allargamento nelle telecomunicazioni con l'acquisto di Telerete Nordest, la creazione di nuove controllate per l'acquisizione di appalti nella provincia e anche oltre, si situa in questo quadro. Con più di 1.000 dipendenti, oltre al crescente precariato delle cooperative per i servizi a bassa remunerazione (pulizia parchi, strade, ecc), con un mercato di mezzo milione di utenti in espansione, Aps è uno dei principali attori veneti del settore, alla ricerca di un mercato sufficientemente ampio ed una capitalizzazione adeguata per reggere la competizione: le ipotesi in campo sono un holding delle municipalizzate ragionali (Vicenza, Verona, ecc) e quella di una "grande multy-utility" patavina, con dentro tutte le principali infrastrutture cittadine (Aps, Interporto, Magazzini generali, ecc). Non è escluso che, una volta sul mercato borsistico, non venga semplicemente rilevata da qualcuno di più grosso. Un certo rilievo lo sta anche assumendo il nuovo polo delle telecomunicazioni. Sfruttando la posizione geografica e il ruolo della città, i grandi monopoli del settore stanno concentrando a Padova le proprie sedi per l'area, con annessi call-center e centrali di rete. Tim ha realizzato il proprio palazzo proprio all'imbocco di Padova est, con più di 1000 lavoratori, mentre più di 500 si trovano alla Omnitel di piazzale Stanga.

Logistica. L'interporto di Padova è ormai diventato uno snodo centrale del Nord est, ma più ancora si è inserito nei corridoi che dal mediterraneo (in particolare da Gioia Tauro, principale terminale europeo per le meganavi oggi in grado di passare il canale di Suez, recentemente allargato) arrivano nel centro industriale europeo (Baviera), o che da questo (Barcellona, Lione, Milano, Veneto) vanno verso l'est europa. Nonostante l'assenza di un grande porto di riferimento (il collegamento con Venezia -idrovia, ferrovia o camionabile- è ancora molto arretrato), 30 treni lo collegano ogni giorno con i porti di La Spezia, Genova, Gioia Tauro, Trieste, Livorno, Le Havre, Rotterdam, Amburgo. 321.000 teu (unità di misura per il traffico dei conteiner) sono passati l'anno scorso per Padova, se ne prevedono 400.000 per il 2002: per dare un ordine di riferimento, Genova ha un traffico di un milione e mezzo di teu, ma Padova ha lo stesso traffico di Napoli, 396.000 teu, e quasi quello di Venezia e Trieste messe insieme (218.000 la prima, 206.000 la seconda). L'80% di questo traffico non è diretto o proveniente dal territorio, ma transita in questa area lungo i corridoi internazionali di trasporto. Non è un caso se recentemente le più grosse multinazionali della logistica (come Evergreen, Hutchinson Wampoa, Psa) abbiano pensato di localizzare il loro terminale europeo nell'area portuale di Venezia-Trieste-Capodistria.

Banche, Interporto, Aps, telecomunicazioni, università, ospedali. Una città del terziario avanzato, ma un "terziario" direttamente inserito nei circuiti del capitale, zeppo di lavoro sfruttato, intellettuale, manuale, semischiavistico che sia.

7. Questo cosiddetto "terziario" è preminente nel panorama cittadino, ma anche il tessuto industriale padovano muta e non scompare. La Campari, la Domenichelli, le Officine Meccaniche Stanga sono smagrite o smantellate. Dopo la crisi dei mercati asiatici e l'introduzione dell'euro, si sta determinando una forte ristrutturazione dei vecchi distretti della provincia e di tutto l'arcipelago delle piccole e medie imprese. L'imprenditoria diffusa è destinata a ridursi sotto il peso della competizione, con processi di acquisizione, chiusura e costruzione di alleanze a rete. Alcuni medi imprenditori infatti crescono, sono in grado di fare un salto di qualità, emergere e proiettarsi all'esterno, disegnando una nuova mappa del potere imprenditoriale nel nordest, una rete di relazioni che ha proprio a Padova uno dei suoi centri regionali (Antonveneta). Imprenditori padovani come Paolo Sinigaglia (calzatura Simod e AlpiEagles), si uniscono quindi in operazioni industriali e finanziarie ai Pittarello, ai Dolcetti (Fiamm), agli Stefanel, ai Bastianello (Coin), ai Boscolo (alberghi), agli Amenduni (acciaio), alla Diesel, ecc.

Una ristrutturazione che lascia un tessuto industriale significativo in tutta la provincia, con realtà importanti per produzione e numero di lavoratori sia in città che in periferia (Zf, Sit Precisa, Carraro, ecc), nell'alta padovana (Arneg, Cartiere, ecc), e nella bassa (Hiross, Galileo, FKI-Komatsu). 20.000 lavoratori si concentrano oggi in Zip, creando la più grande concentrazione industriale del Veneto.

PROFITTI, DIVISIONI E SOLITUDINI: LE TRE CITTÀ DEI POTENTI, DEI LAVORATORI, DEGLI SPAVENTATI.

8. Le contraddizioni della precedente fase di espansione, già poco regolata e pianificata, sono ampliate e approfondite da questo nuovo sviluppo, sino a produrre una concentrazione urbana caotica e nociva. I grandi centri di potere, il capitale fondiario, le banche, i poli di servizio (università, ospedale, interporto, telecomunicazioni), i centri commerciali, le reti di piccole e medie imprese hanno usato liberamente il territorio per sviluppare i propri interessi, scaricando i costi economici, sociali e ambientali di queste scelte sui cittadini. La città si è allargata, creando una concentrazione urbana di 400.000 abitanti, divisa quasi a metà tra un comune di 212.000 persone (in significativa diminuzione rispetto 10 anni fa, di circa il 10%) e un hinterland di 155.000 abitanti (in espansione demografica). Un aggregato urbano senza soluzione di continuità formato dalle amministrazioni di Padova, Abano, Albignasego, Cadoneghe, Legnaro, Limena, Noventa, Ponte San Niccolò, Rubano, Saonara, Selvazzano, Vigodarzere, Vigonza. In città si sono realizzati e si stanno realizzando significativi processi di "riqualificazione" edilizia e modificazione urbanistica (quartiere cinese, ampliamento della fiera, nuovo tribunale, Portello, centro direzionale della Stanga, nuove sedi universitarie, la nuova fermata ferroviaria e snodo di San Lazzaro, l'Arco di Giano, nuovi quartieri di villette e palazzoni oltre Camin, Guizza e Montà). Questi interventi, spesso non pianificati ed inseriti in un contesto urbanistico inadeguato, hanno congestionato o stravolto intere porzioni di territorio (basti pensare a via Venezia, la zona del piovego, fiera e tribunale; al casello di Padova est; alla prossima trasformazione di Mortise in quartiere ad alto scorrimento; alla zona industriale di Limena; all'espulsione dei ceti popolari dal quartiere cinese, dal Portello, ecc). I paesi della cintura stanno subendo in prima persona una forte trasformazione della propria composizione sociale: in questi anni si è andata sfibrando la compatta rete, di stampo parrocchiale e familiare, che sorreggeva queste comunità. I vecchi paesi dove tutti si conoscevano si trasformano sempre più in nuovi quartieri dormitorio, seppur ovattati dall'assenza di contesti metropolitani, che nascondono un forte disagio sociale, l'isolamento e la stigmatizzazione di giovani, immigrati, donne e anziani (che non hanno riconoscimento di loro problemi, luoghi di incontro, servizi e sostegni concreti). Le contraddizioni di questa conurbazione diventano tragicamente evidententi considerando il problema del traffico veicolare, incoraggiato da un servizio di trasporti inesistente (utilizzato dal 4% della popolazione, la stessa percentuale che utilizza la bicicletta, contro il 78% che si muove in auto) e dallo snodo regionale e internazionale che Padova rappresenta per il traffico di merci. In città sono registrati 510.000 ingressi giornalieri, pari a quelli di una metropoli come Roma e superiori del 40% a Bologna, città con uno dei maggiori rapporti auto per abitante (1,8).

9. In questa aggregazione urbana, la grande Padova, si stanno ridefinendo classi e gruppi sociali. Le divisioni sociali, le stratificazioni e l'incomunicabilità fra le diverse componenti della società si stanno amplificando, in un quadro scomposto e in movimento in cui è difficile cogliere i processi di fondo, in cui gli stessi soggetti coinvolti fanno fatica a identificare sé stessi e a definire i propri interessi. Se alcuni circoli capitalistici si promuovono sullo scenario nazionale, consolidano la propria struttura e il proprio peso economico, alcuni settori del commercio e delle professioni vedono ridimensionati la propria influenza, mentre crescono povertà vecchie e nuove. In questo quadro frammentato sembrano delinearsi tre città nella città:

10. La città potente. Alcuni gruppi sociali hanno vissuto e sono cresciuti grazie allo sviluppo squilibrato di questi anni: le banche cittadine; il potere fondiario che controlla i terreni delle aree riqualificate o in espansione; le imprese al centro del flusso di merci e capitale; il managment delle ex aziende pubbliche; il settore dirigenziale del pubblico impiego; le piccole, medie e grandi imprese che hanno sfruttato a fondo i bassi salari e la svalutazione della lira. Questi soggetti hanno costruito un proprio bacino di consenso, formato dalla nuova piccola e media borghesia dei servizi, da chi gestisce le cooperative sociali o i mercanti di braccia, dai tecnici ad alta professionalità, dai dirigenti e gli impiegati di medio livello del pubblico impiego, da una parte di lavoratori, che nella frammentazione della classe sono stati premiati e valorizzati.

Ma se la classe in questa fase è divisa, lo è anche il capitale. Il nucleo di banche, grande capitale e medie imprese che costituisce il centro del potere economico e politico di questo territorio è spaccato da interessi diversi. Ci sono soggetti industriali o finanziari che giocano sul piano nazionale ed europeo (come le banche cittadine, l'Interporto, la Carraro, la Finmek, l'ospedale e l'università, ecc), altri che stanno difendendo e consolidando un proprio ruolo regionale (come Aps, il pubblico impiego, molte piccole imprese, il settore turistico), altri ancora che vogliono costruirsi una nicchia per sopravvivere alla crisi e all'integrazione europea. Ci sono soggetti che guardano ai mercati dell'est, ad una competizione centrata sul costo del lavoro, in grado di inserirsi nel territorio con una rete di sostegno appropriata ed una produzione flessibile e competitiva. Altri soggetti guardano ai mercati dell'Unione europea, ad agganciarsi alle filiere produttive della Baviera e di Lione o a raggiungere standard qualitativi elevati, in grado di erodere spazi al capitale francese o tedesco. Altri soggetti, infine, guardano al mercato americano, ad una produzione di qualità che in questi anni è stata favorita dalla svalutazione e da un ruolo subalterno dell'economia europea agli Stati Uniti. L'entrata nell'euro ha amplificato alcune divergenze, iniziando a colpire gli interessi di alcuni e preparandosi a colpirne altri quando il cambio euro/dollaro inizierà ad essere meno sfavorevole per la Ue. Questi gruppi hanno priorità di sviluppo non coincidenti. C'è chi vede la necessità di implementare centri di ricerca nel territorio, costruendo infrastrutture adeguate ed una forza lavoro con una maggiore qualificazione. C'è chi intende mantenere ampi margini di precarizzazione ed instabilità del mercato del lavoro, concentrando il sostegno pubblico sugli sgravi fiscali, la riduzione dei controlli e l'accelerazione della movimentazione delle merci. Interessi che portano a disegnare città diverse, ad individuare diversi assi di investimento: la rete stradale con la provincia; il collegamento con il porto di Venezia; l'alta velocità con Venezia, Trieste, Lubiana; il raddoppio dei collegamenti con il Brennero. Interessi e divisioni che, proprio in virtù della gestione del potere, trovano spesso spazi ed ambiti di mediazione, scaricandone i costi sui lavoratori e sui cittadini.

11. La città operaia. Il processo di allargamento della produzione di plusvalore, connesso con la privatizzazione dei servizi, ha aumentato il numero e la forza dei lavoratori in città. Una nuova classe operaia (nelle telecomunicazioni, nelle poste, in Aps, all'Interporto, ecc) si sta congiungendo ai lavoratori delle fabbriche. Questa forza lavoro complessiva è sicuramente stratificata e divisa al suo interno: separata tra fabbrica e ufficio, comprende professionalità, competenze e mansioni molto diverse fra loro, storie e percorsi collettivi differenti. Un insieme di lavoratori produttivi a sua volta diviso dalla realtà del pubblico impiego (scuola, Ussl, università, enti locali), che pur subendo un pesantissimo processo di aziendalizzazione e taylorizzazione, rimane fortemente ancorata a circuiti di consenso politico e clientelare, separata dalla produzione di valore, dalla sua necessità di controllo e sfruttamento della classe. Una classe divisa quindi dalla storia di questi 30 anni, non solo dalla frantumazione delle sedi sul territorio, ma anche dalla moltiplicazione dei contratti, dalle discriminazioni di sesso (differenziali di soldi, diritti, mansioni), nazionalità e cittadinanza, da una retribuzione sempre più individuale ed un orario differenziato. Queste stratificazioni producono e alimentano rappresentazioni di sé e coscienze di classe differenziate, dal call center ai tecnici informatici, dal magazziniere all'autotrasportatore, dal postino all'operaio a catena. Una classe che comprende lavoratori migranti, precariato giovanile, operai a tempo indeterminato e manodopera femminile.

Aumentati i ritmi e la velocità, aumenta, deve aumentare, la disponibilità al lavoro: l'obbiettivo è portare il tasso di attività della popolazione italiana dal 50 al 70 per cento in pochi anni, per le donne in particolare dal 35 al 50 per cento. Questo obbiettivo sarà scaricato in particolare sulle donne, sulla loro gestione della riproduzione sociale, sul raddoppio del loro carico di attività dentro e fuori la casa. Aumenterà l'emarginazione di quei soggetti, come gli anziani, i bambini, i malati che oltre a non produrre diventano un peso nella gestione quotidiana di famiglie nucleari sempre più isolate.

In questi anni questi soggetti hanno subito pesantemente la controffensiva del capitale, hanno visto il blocco o la diminuzioni dei propri salari e l'aumento del costo dei servizi (acqua, gas, elettricità, salute, scuola). Crescono i nuovi poveri, con un salario insufficiente per una vita dignitosa, e crescono le contraddizioni sociali. Questi soggetti, anche nel nostro territorio, producono una continua e molecolare resistenza, comitati, lotte e conflitti che non sempre acquistano visibilità e molto raramente sanno fare fronte e collegarsi con gli altri lavoratori: gli studenti contro le speculazioni sugli affitti, il numero chiuso, la segmentazione del mercato del lavoro; i lavoratori degli ex-servizi pubblici (Aps, Poste, ferrovie) contro la frammentazione dei contratti, il lavoro in affitto, le dismissioni; il precariato dei lavoratori delle cooperative e delle grosse associazioni "no-profit", strozzati da appalti e trattative private; i lavoratori del pubblico impiego, che subiscono pesanti tagli e la moltiplicazione delle mansioni; gli abitanti dei quartieri sottoposti all'inquinamento (Camin, quartiere cinese, ecc), al collasso del sistema di viabilità urbana (Arcella, ecc.), alle ondate di sfratti; gli operai che resistono alla continua accelerazione dei ritmi e a un'asfissiante controllo (straordinari obbligatori, flessibilità, ecc). Problemi, lotte e soggetti che rimangono divisi, che stentano a collegarsi e a trovare elementi di unità e percorsi comuni, ma che quando si incontrano si scoprono sempre più simili, legati come sono dalla comune sottomissione al capitale e alla sua valorizzazione.

12. La città spaventata. In mezzo fra queste due città, quella dei vincitori e quella degli sfruttati, sta una composita realtà sociale, con un nucleo formato da quella piccola e media borghesia colpita dai processi in corso capace di raccogliere intorno a sé strati popolari e sottoproletari, emarginati e sbandati. Un nucleo dove si raccolgono diverse figure sociali, piccoli imprenditori colpiti dalla competizione e dall'integrazione europea, contadini, negozianti e commercianti schiacciati dalla centralizzazione dei punti vendita, impiegati pubblici, professionisti. A questa realtà si aggancia spesso un tessuto sociale composto da anziani, casalinghe, persone che sono state progressivamente isolate in questi anni dalle vecchie relazioni di quartiere o di paese, in uno stravolgimento complessivo delle proprie vie, dei propri negozi, delle proprie case, del proprio panorama antropologico. Non c'è un dato che li accomuna, se non il loro stare in mezzo fra capitale e lavoro. Non sarebbe corretto definirli ceti medi, perché non sono gruppi caratterizzati da una vita sicura, benestante, ordinata. Sono soggetti che subiscono direttamente il processo di crisi e ristrutturazione in corso, che in questi anni sono stati investiti dallo smantellamento dello stato sociale, dagli aumenti del costo della vita, dalla cresciuta competizione dei mercati. Il loro universo tranquillo è stato spezzato, e da questa rottura nasce un profondo senso di insicurezza. Un fronte sociale che si sente confuso, rabbioso, spaventato: attaccato nel suo ruolo e nella sua identità, risponde rafforzando la sua richiesta di ordine e stabilità, differenziandosi politicamente e mobilitandosi (con una politicizzazione ed un attivazione sociale inusuale per molti di questi soggetti). Un blocco che fa opinione, egemonia sociale e politica. Comprende al suo interno figure centrali della rete di comunicazione informale (il negoziante, il barista, il medico, l'insegnante, la pensionata) e riesce a costruire conflitti molto visibili (comitati di quartiere, cobas del latte, ecc). Un fronte politico che in questi anni ha garantito il consenso e la forza necessari ad un grande capitale diviso, per tenere la barra e sfondare con le sue politiche neoliberiste.

UOMINI E DONNE DEL DESTINO, SALTIMBANCHI E PORTATORI D'ACQUA: LA RAPPRESENTANZA POLITICA DELLA CITTÀ

13. Dentro questo panorama, un quadro politico disarticolato cerca di ritessere una propria rappresentanza sociale e di stabilizzare gli equilibri sociali. Questo ceto politico è stato terremotato dalle divisioni e dai contrasti dei primi anni '90, dalla velocità e dalla profondità di processi di ristrutturazione ed integrazione europea: basti pensare all'ascesa della Lega Nord, alla dissoluzione del Pci, a tangentopoli, alla scomparsa del pentapartito e la nascita dei nuovi partiti della destra. Nella scomposizione e ricomposizione dei propri soggetti sociali di riferimento, il mondo politico si è fortemente autonomizzato, radicalizzando il processo realizzato nel decennio precedente, dove i partiti dovevano comunque relazionarsi e rapportarsi con compatte organizzazioni sociali. Un mondo politico che sta cercando di consolidare questo equilibro istituzionale, per cristalizzare gli attuali blocchi sociali, forzandoli rispetto alla dinamica dei processi in corso. Alcune forze sociali più organizzate, non a caso, scelgono in questi anni di candidarsi direttamente alla gestione del potere politico, locale e nazionale, senza mediazioni di sorta. Queste tendenze della politica danno vita a moderni bonapartismi, politici o corporativi, nazionali e locali, che attraversano l'intero arco politico, concentrando su singole persone gli equilibri e le mediazioni dei propri blocchi, il potere di prescindere dai reali rapporti di forza e di perpetrare quindi forzature politiche ed istituzionali.

14. Questa tendenza è stata visibile anche nel centrosinistra, da Di Pietro a Bassolino, da Cacciari a Zanonato. A Padova il Pds ha approfittato del crollo dei gruppo dirigenti socialisti e democristiani, accreditandosi con la prima giunta Zanonato come i migliori gestori della ristrutturazione della città. Con la seconda giunta Zanonato si sono promossi a organico partito della modernizzazione capitalista, nuovo partito di centro, interclassista, in grado di comprendere e mediare al suo interno classe e capitale (con una battuta, Carraro e la Fiom), e quindi di rappresentare compiutamente gli interessi di stabilità e di efficacia delle politiche di ristrutturazione. In questa città i DS sono l'asse politico e organizzativo di un centrosinistra che sceglie come nucleo sociale di riferimento quei settori che sono in grado di realizzare una convergenza con il grande capitale: tecnici, professionisti, livelli medioalti del pubblico impiego, piccola e media impresa innovatrice. Per questo puntano ad una modernizzazione partecipata e condivisa, ovviamente dai loro soggetti di riferimento, ed acquistano posizioni e consenso in quelle aree urbane (come Padova) dove si concentrano questi gruppi sociali. Un progetto politico che tenta di unire una parte della città dei potenti con una parte della città operaia, quella più centrale con cui ha ancora un rapporto mediato dalla loro storia e dalla Cgil. Smussatori di conflitti, tessendo un nuovo clientelismo con le realtà associative (Pedro, Legambiente, Arci, ecc), con il coraggio dell'autoritarismo quando necessario, i DS hanno assunto come compito la trasformazione della città in funzione di questo capitalismo dei servizi. Il loro governo ha garantito la realizzazione delle tangenziali, l'espansione della Zip, la realizzazione dell'Interporto, la privatizzazione dell'Aps, la riprogettazione dei quartieri (Cinese, Arcella, ecc). Un programma di giunta sconfitto dalla propria arroganza, dalle contraddizioni e dai conflitti sociali che hanno innescato, da un progetto di tram calato sulla cittadinanza. Un programma riconfermato il giorno dopo la sconfitta, vissuta senza nessuna autocritica: in questi anni si sono caratterizzati, dall'opposizione, per la critica alle incapacità e agli sprechi della Giunta Destro, ma soprattutto per la riproposizione del proprio programma a favore del capitale dei servizi: dall'ipotesi di creazione di un holding da mille miliardi Aps-interporto-mercati generali all'ipotesi della città metropolitana con Venezia. Spostato Flavio Zanonato a livello regionale, stanno creando le condizioni per una prossima candidatura a sindaco di Massimo Carraro, massimo rappresentante, per la sua condizione sociale e per il suo pensiero, di questa linea politica. Alcune forze del centrosinistra, in questo assetto, registrano delle difficoltà, la necessità di un'articolazione e di una differenziazione dai Ds: i popolari, legati da una parte a vecchi interessi e dall'altra ad un radicamento sociale, la sinistra dei Verdi (Legambiente-Radiosherwood), della Cgil, del Pdci. Un area che funge da critica, raccoglie il dissenso e le spinte conflittuali anche rispetto questa prospettiva politica (come i comitati cittadini), ma che al fondo offre pieno sostegno a questa politica, non toccando o mediandone gli elementi fondamentali, ed accettandone lo schema di fondo.

15. Il centrodestra ha mostrato chiaramente in questi anni, nei governi locali e a livello nazionale, la propria divisione, la difficoltà a costruire un programma condiviso dai partiti e dai blocchi sociali che lo compongono. Aggregato intorno a Forza Italia, a comitati d'affari ed una imprenditoria d'assalto criminale, raccoglie le frazioni più liberiste del grande capitale, la piccola e media impresa che vuole sopravvivere all'Unione europea, la borghesia professionale, come anche il sottoproletariato delle metropoli e del meridione, ampie fasce di pubblico impiego, i settori popolari schierati su posizioni nazionaliste e populiste. Un aggregato di interessi, di lobby e di spinte sociali fra loro spesso contraddittorie. In questo contesto la funzione degli "uomini forti", al di là della loro reale statura personale o politica, è centrale per la tenuta del centrodestra, soprattutto in quelle realtà dove la sua composizione è più eterogenea: da Berlusconi a livello nazionale, a Galan (Veneto), Albertini (Milano), Formigoni (Lombardia), Guazzaloca (Bologna) o Ghigo (Piemonte). Tutte figure politiche con un'estrema autonomia dai partiti e dalle coalizioni di riferimento, in grado di sganciarsi dalle loro pressioni e mediazioni, con una capacità di imposizione decisionista anche nei confronti della propria coalizione. Queste maggioranze politiche subiscono infatti continui terremoti, contrapposizioni e scontri duri tra sindaci (o presidenti), giunte e consigli comunali che spesso paralizzano la vita politica ed istituzionale. Queste amministrazioni sono spesso ventri molli per circuiti dell'affarismo e per interessi privati, bloccati dal conflitto tra forze populiste, radicate nella piccola e media borghesia (la città spaventata), le necessità della frazione più conservatrice del grande capitale e le richieste delle forze più competitive dell'imprenditoria italiana. Nonostante questo, raggiungono spesso un'unità micidiale, una estrema compattezza nel portare l'attacco ai lavoratori e alla ripresa di un conflitto di classe nel territorio, tentando di sfondare con un "sovversivismo delle classi dirigenti" quegli elementi di stato sociale che ancora permangono o i momenti di resistenza/ricomposizione che la classe produce. Questa è anche la realtà della destra padovana e della Destro. Una maggioranza composita, che raccoglie la piccola e media borghesia, d'ordine e disciplina, e il sottoproletariato delle periferie di AN; i circuiti clientelari e delle grandi famiglie padovane che si riconoscono nel Cdu-Ccd o in settori di FI, il tessuto aggressivo della piccola imprenditoria locale e dei gruppi più liberisti del grande capitale. Una prospettiva che ha messo insieme la città spaventata con una parte della città potente, che ha vinto sull'onda delle contraddizioni aperte dalla giunta Zanonato e dalla sua gestione autoritaria del potere. Una maggioranza che si è incontrata con la Destro, che ha vinto grazie alla sua capacità di rappresentare un'unità inesistente, e che tiene congelata la città. L' Aps è ferma nell'individuazione dei suoi assetti strategici e della sua mission economica; la speculazione edilizia è contrastata, nelle piazze e nei tribunali (vedi il caso dell'Ikea), il Consiglio comunale è bloccato da liti di corrente per mesi; la giunta rimpastata continuamente, sottoposta a frequenti passaggi di consiglieri da una formazione all'altra; i progetti infrastrutturali confusi e contraddittori (secondo anello tangenziali, interramento stazione, aeroporto, ecc). Una gestione politica che sembra portare ad amplificare le divergenze del suo blocco elettorale più che a smussarle.

16. Dentro questa città si è mosso e si sta muovendo il movimento no global. Genova ha rappresentato un salto di qualità rispetto al ciclo di Seattle, per il numero di partecipanti e per la ripresa di una convergenza tra realtà sociali diverse. Questo processo ricrea un immaginario, un luogo condiviso in cui poter rinsaldare il proletariato, spezzare il blocco populista della città spaventata, entrare negli ambienti cattolici e della piccola borghesia tecnica ed intellettuale. Genova può essere l'occasione in cui far riprendere una critica, riaprire una speranza, ridefinire un progetto.

Ci sono due caratteristiche di questo movimento che dobbiamo tener presenti:

1) il processo di ricomposizione del proletariato, elemento centrale di questa fase senza cui non c'è prospettiva anticapitalista che tenga, non è ancora visibile, può essere rallentato e ostacolato dalla confusione sociale e del movimento, dall'egemonia di tendenze ideologiche riformiste e comunitariste. La contraddizione capitale/lavoro può essere marginalizzata, producendo una nuova spaccatura fra movimento dei lavoratori e no global, fra movimento e sinistra di classe.

2) Il movimento raccoglie individualità più che soggettività, masse più che realtà organizzate. Fra appuntamento e appuntamento, fra corte e corteo manca un tessuto di vita e ragionamento collettivo del movimento. Il Gsf e i Social Forum, in questo senso, non sono stati il movimento, non sono capace di organizzarlo e di rappresentarlo, ma solo di convocarlo (non è poco in questa fase, anzi è stato l'essenziale), insieme ad altre aggregazioni di minor grandezza, variamente intrecciati con esso (Network per i diritti sociali, Cub, ecc). In questo vuoto si muovono le organizzazioni politiche e i loro progetti. Non è un caso che nella nostra città il social forum abbia forti difficoltà a nascere. Radiosherwood, i Verdi e Legambiente formano un compatto blocco politico, in grado di tenere e mobilitare la piazza, con una forte proiezione nazionale, che non ha interesse in questa fase ad aprire processi di confronto che non è in grado di controllare e di far convergere verso la sua prospettiva politica, articolandosi dal centrosinistra per convergerci nella futura gestione della città. Il mondo cattolico padovano, che raccoglie gruppi e organizzazioni estremamente radicali nella loro azione locale e internazionale (dai comboniani a don Bizzotto), ha difficoltà ad essere trascinato in una dinamica politica, connaturata ad una dimensione di radicamento e strutturazione dei social forum, preferendo muoversi su un terreno esclusivamente sociale e di mobilitazioni puntuali (Fmi, G8, immigrazione, ecc). La Cgil, attraversata dal congresso dei DS e dal proprio, si muove con estrema prudenza, inserendosi in questi processi ma senza mettere in campo nessuna forza reale, legata alla difesa di un quadro concertativo della conflittualità sociale. Bisogna imprimere una svolta a questa situazione concreta ed ai suoi equilibri, lavorando per non spaccare noglobal e lavoratori, per avviare processi concreti, dal basso, che coinvolgano i partecipanti alle manifestazioni di questi mesi. L'obbiettivo del partito in questa fase deve essere la costruzione di comitati, coordinamenti, social forum di scuola, di quartiere, di zona, di fabbriche.

IL PARTITO, TRA SINISTRA D'ALTERNATIVA E ALTERNATIVA DI SINISTRA.

17. Dentro questa situazione, queste prospettive e questi conflitti, come intende muoversi il PRC? In questi anni nella città si sono perse occasioni importanti, per definire la propria linea politica e compattare un proprio blocco sociale, dal referendum sul tram alla privatizzazione dell'Aps. Il partito, come hanno mostrato le ultime elezioni comunali, è sottoposto a spinte diverse, senza un proprio asse sociale e politico. Manca un'analisi condivisa della situazione sociale e politica della città, una scelta di collocazione e di indicazione politica ai propri circoli, ai propri militanti, alla cittadinanza.

Per questo riteniamo utile ripartire dai ragionamenti sviluppati dal Partito alle ultime elezioni comunali, le energie e le analisi sviluppate sulla periferie, i migranti, i lavoratori. La città del capitale, la città del populismo e quella delle grandi famiglie non sono le nostre città. Il principale obbiettivo del Partito in questa fase è ricompattare il mondo del lavoro, il proletariato stratificato che vive dentro questa città, favorendo e accelerando la ripresa di un nuovo ciclo di lotte. Per questo scopo è utile e necessaria una chiara indicazione di prospettiva politica, l'individuazione dei conflitti e delle contraddizioni su cui agire, un radicamento dei compagni e del partito nella classe ed una sua diretta azione sociale.

18. Una chiara indicazione di prospettiva politica: né con la Destro (o chi per essa), né con Carraro (o chi per esso). Il nostro spazio politico, i nostri interessi, il nostro progetto politico è un altro. Crediamo che esista una città che non ha rappresentanza politica, quella dei lavoratori, e che abbia un senso provare a costruirla. Una scelta che non è di isolamento, ma al contrario di immersione in una realtà e in un tessuto sociale in formazione, consapevoli di dover scontare la difficoltà di una composizione di classe frammentata, di un lungo percorso di ricostruzione di egemonia e conflitto, di una rifondazione della propria teoria e del propria programma in senso rivoluzionario, segnando un uscita a sinistra dalla crisi del socialismo reale. Per questo bisogna impegnarci nella costruzione di un nuovo polo di classe nella città, che renda visibile la possibilità di un'alternativa e dia vita ad un percorso partecipato della rifondazione comunista. Non ci sono scorciatoie, l'esperienza di questi anni ci ha mostrato che è illusorio spostare l'asse sociale e politico del centrosinistra, in quanto questo ha scelto la modernizzazione capitalista come proprio obbiettivo politico, la piccola e grande borghesia come propri soggetti sociali di riferimento. Una presa di distanza radicale da un progetto della città che non si condivide è necessaria, anche se sicuramente non sufficiente, per iniziare a dare gambe ad una prospettiva di classe.

19. L'individuazione dei conflitti e delle contraddizioni su cui agire. Bisogna rimettere al lavoro il Partito nell'analisi di quanto si muove nella nostra città, rimettere in comunicazione compagni ed energie, per definire piattaforme e proposte di intervento. A partire, crediamo, da alcuni elementi fondamentali:



La privatizzazione dei servizi. La completa liberalizzazione dei servizi di base si sta ancora attuando nel nostro paese, il costo sui lavoratori e sui cittadini di questa scelta diventerà sempre più pesante ed evidente. Per questo è importante mantenere viva una battaglia intransigente contro la privatizzazione dei servizi, per la loro ri-nazionalizzazione o ri-municipalizzazione. A questo fine bisogna costruire una visibilità di questa battaglia, facendo convergere lavoratori ed utenti, con manifesti, assemblee, comitati di lotta. Con particolare rilievo questa lotta va condotta sui servizi pubblici ancora esistenti, e contro l'implementazione, lenta e progressiva, di un mercato della salute nel nostro paese. In questo senso vanno condotte delle azioni sia nei confronti degli ospedali pubblici, di laboratori e case di cura private, delle farmacie.

Salario. La continua perdita di potere d'acquisto dei lavoratori, l'obbiettivo del capitale di attaccare progressivamente il salario contrattuale verso una sua sempre maggiore individualizzazione, ci indica la necessità di concentrare la nostra battaglia per un aumento generale del salario diretto, indiretto e sociale. In questa direzione il Partito deve giocare una propria autonomia di proposta ed intervento, occupandosi anche direttamente della contrattazione, favorendo l'autorganizzazione e l'unità dei lavoratori. E' necessario iniziare a dare materialità alla proposta di una rifondazione del sindacato di classe, attraverso percorsi in grado di far emergere, in situazioni concrete e specifiche, comitati e coordinamenti che raccolgano delegati e lavoratori su piattaforme di classe, al di là della loro appartenenza sindacale.

La riproduzione sociale e i suoi costi. La trasformazione in mercato dell'assistenza, dell'educazione, della socialità aumenterà i costi e abbasserà la qualità di questi servizi, parallelamente all'aumento dei tempi di lavoro e alla forte crescita del lavoro femminile ed anziano. La battaglia a difesa del salario sociale, dei servizi pubblici, gratuiti e universali deve probabilmente segnare in questa fase un salto di qualità, passando dalla rivendicazione e dalla resistenza nei confronti degli enti locali, alla costruzione di un movimento articolato e di una pratica di autorganizzazione ed implementazione di servizi autogestiti, per intervenire nelle situazioni di maggior disagio e con cui rivendicare una "pubblicizzazione" nei prossimi anni.

Migranti. Negli ultimi anni la manodopera migrante, del sud Italia e di altri paesi, è nuovamente cresciuta nel nostro territorio, dando vita a contraddizioni ed emarginazioni di un'altra epoca. La divisione etnica della forza lavoro, operata dal capitale dentro le aziende ma soprattutto nella società, va combattuta costruendo pari cittadinanza e diritti per tutti gli immigrati. Queste battaglie, relative alla casa, alla prima accoglienza e all'integrazione, vanno condotte non solo con le fasce più disagiate, ma coinvolgendo ed attivando i lavoratori, i "regolari", i soggetti con maggior potere e possibilità di presa di parola. In un difficile percorso che favorisca non la tutela e la speculazione delle organizzazione italiane di solidarietà, ma l'autorganizzazione e l'autonomia dei lavoratori, senza incentivare corporativismi etnici e guerre fra poveri. Nel nostro territorio va particolarmente segnalato il problema delle donne immigrate, che subiscono la doppia discriminazione del proprio sesso e della propria nazionalità, il mercato della sessualità e il neoschiavismo servile, in una quasi totale indifferenza sociale (basti pensare che per le donne ci sono solo 4 posti per l'accoglienza pubblica in città).

L'ufficio Casa. La liberalizzazione del mercato della casa sta emergendo con i suoi effetti nefasti proprio in questi mesi, con la progressiva scadenza dei milioni di sfratti esecutivi sinora bloccati. In questa direzione, oltre che supportare con continuità il lavoro dell'Unione Inquilini, è importante costruire un intervento puntuale contro gli sfratti in corso, puntando a ricostruire una mobilitazione partecipata su questi appuntamenti, sull'occupazione delle case sfitte, sul controllo degli affitti e delle speculazioni.

L'hinterland. Nel momento in cui si evidenzia la formazione di una nuovo periferia diffusa nell'hinterland, è importante investire politicamente su questo territorio, in cui si evidenziano conflitti palesi e nascosti, ed anche significativi risultati elettorali del nostro partito. In questo contesto vanno inserite le nostre battaglie sulla riproduzione sociale, i servizi, il salario; concentrando uno sforzo politico e organizzativo di tutto il Partito cittadino sulla cintura metropolitana. Il nodo del traffico, dei mezzi pubblici, delle strade e del trasporto merci interessa particolarmente questa dimensione urbana, concentrandosi in particolare non nel movimento intercittadino, ma proprio nell'area periurbana.

20. Il radicamento dei compagni e del partito nella classe, alcune indicazioni organizzative. Per costruire questo percorso politico è necessario darsi una diversa organizzazione del partito, una diversa metodologia del dibattito interno e della sua gestione.

Il dibattito e le scelte politiche devono essere compiuti coinvolgendo tutto il corpo del Partito, anche vista la significativa presenza nella base militante e nei quadri dirigenti di compagni con una recente militanza, che hanno bisogno di comprendere e di essere consapevoli dell'analisi e della proposta del Partito. Per questo è utile la presentazione di documenti, proposte, indirizzi di lavoro scritti, che possano essere portati dentro i circoli, a tutti i compagni e non solo all'esiguo quadro attivo. I circoli mancano spesso di un'organizzata e trasparente vita politica autonoma, è necessario incentivarla offrendo un terreno di discussione e di scelta sulle diverse questioni.

I circoli non possono essere chiusi nella vita elettorale del partito, nella sua dimensione istituzionale o nel ripetersi di una dimensione autocentrata incontro-attacchinaggio-festa. Ogni circolo deve sviluppare di un'analisi del proprio territorio, delle sue contraddizioni e dei suoi conflitti, scritta e discussa, per individuare scelte politiche e priorità operative, coordinare ed incentivare l'attività dei compagni dentro comitati di lotta, scuole, posti di lavoro, ecc.

La "grande Padova", non solo e non tanto il comune cittadino, acquistano per noi rilevanza politica e terreno principale di azione. Per questo riteniamo necessario un collegamento con i circoli e i nuclei di compagni dell'hinterland, per iniziative politiche coordinate. Gli attivi cittadini, i coordinamenti e gli organismi di indirizzo devono avere questa dimensione di riferimento.

Proponiamo, piuttosto che un comitato o coordinamento cittadino, una commissione "grande Padova", a norma di statuto e ratificata dal CPF, con un mandato politico e non solo organizzativo; una commissione che formuli e attui un programma di analisi e proposte di intervento, integrata da periodici attivi dei circoli allargati all'hinterland; che organizzi una sistematica partecipazione ai consigli comunali e ricerca di informazioni su delibere e progetti comunali.

E' prioritaria l'organizzazione, come si è fatto in qualche occasione nel passato (ad esempio sulla questione casa) l'organizzazione di seminari formativi rivolti ai dirigenti e militanti dei circoli, sulle principali questioni che investono la politica cittadina: privatizzazione servizi pubblici, viabilità e tangenziali (arco di giano), questione casa e sfratti, questioni relative all'immigrazione;

E' importante la razionalizzazione degli incarichi all'interno dei circoli, in modo da responsabilizzare singoli militanti in settori parziali e connetterli fra loro. Il principio della delega non può essere continuamente improvvisato, ma deve essere organizzato, coordinato e trovare momenti di verifica politica.

Proponiamo la creazione di una commissione per le donne (non necessariamente formata da solo donne), che non solo si occupi delle questioni di genere e che tessa relazioni con le organizzazioni di donne presenti in città, ma soprattutto inizialmente che si occupi di incentivare la politica attiva delle donne comuniste, di formare e aiutare anche "praticamente" (sostegno figli, ore libere) le compagne iscritte che vogliono impegnarsi nell'attività politica e operativa dei vari settori.

Viste le esperienze passate, riteniamo fondamentale la pianificazione annuale della festa di Liberazione, che deve assumere almeno un carattere metropolitano (la grande Padova), diventare un luogo di esposizione del lavoro di analisi svolto dalla commissione città e del lavoro politico svolto dai Circoli. La pianificazione annuale consente di costruire un contenitore adeguato che può diventare stimolo per i circoli ad ordinare la propria attività e raccogliere per tempo i materiali utili. Contemporaneamente deve essere avviata una pianificazione economica, ed organizzativa, individuando responsabilità non solo generali ed individuali, ma affidando ai Circoli la gestione e la verifica dei diversi spazi.

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