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Anche in Nicaragua il sangue proletario fa cader la maschera del “Socialismo del 21° secolo”

Da "Il Partito Comunista" n° 389 maggio-giugno 2018

(18 Luglio 2018)

Non è che il governo nicaraguense sia diventato borghese e sanguinario oggi, all’improvviso. Il sandinista Fronte di liberazione nazionale (FSLN) era già borghese fin dalle sue origini quando, movimento di guerriglia, appoggiandosi sulle masse oppresse, rovesciò il governo di Anastasio Somoza.

Il suo governo ha poi gestito gli interessi della borghesia, garantendo il controllo sociale con la propaganda, il politicantismo e la violenza.

Con l’imporsi di Chavez in Venezuela, che sventolava la bandiera del “socialismo del XXI secolo”, e l’emergere di una serie di governi ugualmente caratterizzati in Bolivia, Ecuador, Brasile, Argentina, El Salvador e Honduras, il borghese governo del Nicaragua non ha esitato ad allinearsi nello spandere quel populismo e quella demagogia che hanno permesso il sicuro perpetuarsi dello sfruttamento capitalista e l’accrescersi dei profitti delle imprese.

Il numero di lavoratori iscritti all’Istituto Nicaraguense di Previdenza Sociale (INSS) nel marzo 2018 è sceso dell’1,5% rispetto allo stesso mese del 2017: 896.869 contro 910.621. A marzo lo stipendio medio mensile nominale era di 10.737,8 córdobas, circa 342 dollari. Tra aprile 2017 e aprile 2018 il tasso di inflazione è stato del 4,75%. Però in Nicaragua l’occupazione illegale, con bassi salari e nessuna sicurezza sociale, continua ad essere superiore al 70%. Della popolazione totale di 6.279.712 il 50% è considerato economicamente attivo, ma conteggiando anche i disoccupati e chi ha lavorato anche una sola ora.

L’agricoltura è una delle attività principali del Paese rappresentando il 60% delle esportazioni, e con forte occupazione, ma vi sono anche alcuni centri industriali e per l’estrazione di minerali preziosi.

Il governo di Managua ha inoltre adempiuto ai suoi impegni con il FMI, siglati nel 2005, quando ne ebbe condonato il debito, purché rispettasse un piano di aggiustamento per l’economia, tanto che nel 2012 il debito del Nicaragua verso il FMI si è ridotto a zero. Nel 2006 il Paese ha anche firmato l’Accordo di Libero Scambio (FTA) tra la Repubblica Dominicana e gli altri Stati dell’America centrale e gli Stati Uniti.

In intesa con aziende cinesi il governo del Nicaragua nel 2014 ha presentato il progetto del “Grande Canale Interoceanico”: un tracciato di 278 chilometri, dalla foce del fiume Punta Gorda sulla costa caraibica alla foce del fiume Brito sulla costa del Pacifico, sul quale dovrebbero lavorare di 50.000 operai. Questo progetto apre un nuovo spazio di scontro commerciale e geopolitico tra gli Stati Uniti e la Cina.

Insomma, in Nicaragua ai capitalisti va bene, sebbene con qualche contrasto con il FMI riguardo le politiche da attuare circa le pensioni e la sicurezza sociale, e con il governo degli Stati Uniti principalmente a causa della penetrazione del capitale cinese.

Così per molti anni il Nicaragua non è arrivato sulle prime pagine dei giornali internazionali: benché i media dicano solo ciò che la borghesia vuol far sapere, e con versioni distorte della realtà, la verità è che è passato molto tempo senza che si sentisse nulla di conflitti sindacali, della situazione sociale e dell’azione repressiva del governo. Ma, come in un vulcano, la pressione sotterranea si accumula fino a quando la lava della lotta sociale esplode spinta dalle contraddizioni fra capitale e lavoro.

Il governo aveva preannunciato una serie di leggi volte a garantire la sostenibilità finanziaria dell’INSS, riforme che intendeva concordare con la rappresentanza degli imprenditori, il Consiglio Superiore dell’Impresa privata (COSEP). Però, senza aver raggiunto un accordo con il COSEP, ha approvato un decreto che aumentava i contributi che le aziende e i lavoratori versano al sistema pensionistico nazionale. Il COSEP ha respinto il decreto perché avrebbe aumentato il costo del lavoro lanciando grida sulla diminuzione della competitività e capacità di occupazione delle aziende. Ovviamente si è opposto al decreto non in difesa dei lavoratori, delle pensioni e della sicurezza sociale, ma per la minaccia ai profitti delle imprese.

Il governo ha allora ammesso che l’INSS non avrebbe avuto i fondi per pagare le pensioni già prima della fine dell’anno. Per questo il provvedimento prevedeva che i lavoratori assicurati avrebbero versato di più (dal 6,25 al 7%), i datori di lavoro dal 19 al 22,5%, mentre ai pensionati sarebbe stata ridotta la pensione del 5% e lo Stato avrebbe contribuito, seppure con un minimo.

Ma lo scorso aprile un’esplosione spontanea di rabbia e di protesta ha sorpreso sia il governo sia i vari movimenti e gruppi politici. La reazione dei lavoratori è stata immediata. Solo la Unione Nazionale degli Impiegati ha appoggiato la riforma e si sono viste alcune piccole concentrazioni di lavoratori del settore pubblico che hanno espresso il loro sostegno al governo, contro la “violenza destabilizzatrice delle destre”.

Il governo borghese, guidato da Daniel Ortega e da Rosario Murillo, ha ordinato allora un massacro in tutto il paese, sangue proletario è tornato a scorrere sui lastricati a Managua, dove si sono contati almeno 27 morti, poi nelle città di Masaya, Leon, Esteli, Matagalpa e Bluefields, con oltre 50 morti e più di 400 feriti.

La sproporzionata risposta militare e di polizia contro i manifestanti è arrivata dopo oltre un decennio di stretto controllo politico e repressivo sui lavoratori, di un’intensa azione di soppressione delle loro organizzazioni di lotta economica difensiva, di estendersi della corruzione e capitolazione dei sindacati esistenti. Ecco perché la reazione delle masse alla riforma del regime previdenziale ha dovuto necessariamente avvenire in questo modo, spontaneo e anarchico, poiché non esistono forme organizzate di classe e di base che possano incanalare e dirigere le lotte.

Naturalmente la versione ufficiale, come quella di tutti i governi “operai” e “progressisti” dell’America Latina, in linea con il “socialismo del XXI secolo”, ha proclamato che è per difendere i lavoratori che questa riforma è stata imposta ai datori di lavoro, e per “non piegarsi al FMI”. In questa propaganda i sandinisti sono accompagnati dall’opportunismo internazionale che ripete che Ortega ha “affrontato il FMI” e la “destra imperialista”, impegnata a destabilizzare il suo governo, e che difende la classe operaia.

Quindi il governo credeva che a controllare la reazione delle masse sarebbero stati sufficienti, come in passato, i suoi Collettivi o le sue squadre di picchiatori: non è stato così. Sebbene anche gli studenti universitari abbiano manifestato pubblicamente nel loro stile piccolo-borghese, ad essi si sono uniti vasti strati di lavoratori che si mobilitavano nei quartieri. Si sono alzate barricate e ci sono stati scontri di strada. Il governo ha spento il wi-fi gratuito che dal 2014 aveva installato in tutti i luoghi pubblici, visto che era utilizzato per coordinare le azioni di protesta.

La situazione ha raggiunto dimensioni tali che il governo ha deciso di richiamare al dialogo e di rivedere la riforma dell’INSS con la comunità imprenditoriale.

Nel frattempo il COSEP aveva indetto una manifestazione per il 23 aprile a Managua; la popolazione della capitale si è unita al corteo degli industriali e la folla ha straripato. Successivamente si è cercato di allargare le trattative anche agli studenti e alla Chiesa. Il 28 aprile è stata la Chiesa ad indire un “Pellegrinaggio per la pace”, che ha avuto di nuovo una massiccia partecipazione. Il governo da parte sua ha organizzato una manifestazione in occasione del 1° Maggio, conclusa con un discorso del Presidente Ortega.

I movimenti di opposizione hanno visto in questa occasione la possibilità di aumentare le loro deboli forze. Sanno che se la borghesia decidesse che il governo FSLN non le garantisce più la capacità di sfruttare i lavoratori in un clima di pace sociale, come negli ultimi anni, ha la possibilità di scegliere fra gli oppositori, che possono ugualmente garantire i loro interessi.

Se il COSEP rigetta la riforma dell’INSS, perché colpisce gli interessi padronali, gli imprenditori hanno però beneficiato dal governo di una riduzione di molte tasse e hanno avuto facilitato lo sfruttamento dei lavoratori. Inoltre il COSEP, così come oggi gli imprenditori in tutto il mondo, premono per un aumento dell’età pensionabile a 70 anni e per l’aumento dei contributi a carico dei lavoratori.

Lo sbocco borghese che hanno preso le trattative è chiaro nei punti all’ordine del giorno: a) indagini sugli omicidi durante le manifestazioni; b) riforma del sistema elettorale per garantire elezioni “libere e trasparenti”; c) riforme istituzionali che garantiscano lo “Stato di diritto” ed eliminazione della corruzione; d) risoluzione della crisi dell’INSS.

Entrambe i fronti politici borghesi, governo ed opposizione, agiranno per impedire alle masse dei salariati di unirsi e organizzarsi alla base per i loro scopi, come la richiesta di un aumento di stipendio, una riduzione dell’orario di lavoro e una riduzione dell’età pensionabile.

Il presidente Daniel Ortega il 22 aprile ha infine annunciato l’abrogazione della riforma. Ma blocchi stradali, barricate e scontri tra i manifestanti e la polizia sono proseguiti nel mese di maggio. Parte dei blocchi sono stati attuati dal “movimento contadino anti-canale”, contro l’esproprio delle terre. Sono cominciati anche dei saccheggi nei negozi. Pertanto l’elenco dei morti, feriti ed arrestati ha continuato ad allungarsi. Il 13 maggio una carovana di veicoli, con grande partecipazione, è partita da Managua per Masaya, in solidarietà di quella città dove gli scontri di sabato 12 avevano lasciato almeno 1 morto e circa 150 feriti.

Il 12 maggio, l’Esercito in una dichiarazione si è appellato alla “non violenza” e alla ripresa del “dialogo”. Il 14 maggio, il governo ha annunciato di aver autorizzato la Commissione Interamericana per i Diritti Umani a venire ad osservare la situazione nel paese, dopo la morte di almeno 54 manifestanti !

È certo che si deve alla coraggiosa rivolta delle classi inferiori il successo nel far abrogare la riforma, almeno per il momento. Però, in tutto questo scontro, sebbene violento e generale, non è emersa ancora la partecipazione indipendente della classe operaia, né si sono udite le sue esclusive rivendicazioni, né si sono imposte le sue forme di lotta, prima di tutte lo sciopero.

L’opposizione sta ora spingendo per le dimissioni di Ortega o per l’indizione di elezioni. Sia che dopo questa crisi rimanga in carica il governo dell’FSLN, sia che ne prendano il controllo gli oppositori, i lavoratori nicaraguensi non hanno nulla da aspettarsi da entrambi. Come nel resto del mondo, devono percorrere la strada dell’unità e dell’organizzazione alla base, per riprendere la lotta rivendicativa e di classe, fuori dalle unioni sindacali del regime e dagli appelli alle soluzioni elettorali e alla difesa della patria e dell’economia nazionale, proclamata da tutti gli opportunisti.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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