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Sapevate che i puffi sono socialisti?

E' così, e il capitalismo è innaturale

(21 Agosto 2005)

I puffi, i piccoli gnomi azzurri, sono anticapitalisti. L'ho scoperto leggendo con mia figlia una loro storia ove vengono contagiati dal denaro e dal mercato. Uno di loro si fa banchiere e convince gli altri a usare il denaro. Da una comunità fondata su «a ciascuno secondo i suoi bisogni», si passa al mercato e all'accumulazione della ricchezza. La storia finisce con il rifiuto del capitalismo da parte dei piccoli gnomi: è una creazione degli uomini che non si addice a loro.

E' una favola ma... La competitività, il mercato, la globalizzazione non sono prodotti della natura, ma dell'uomo. Non c'è nulla di più artificiale del mercato capitalistico. Ed infatti ci vogliono leggi, poteri, armi e guerre per tenerlo in piedi. Ci vuole un continuo tributo di salute e sangue del lavoro, ancora ieri alla Lucchini di Piombino un operaio è morto in condizioni allucinanti. Ora questa costruzione artificiale minaccia la natura.

In realtà la natura minacciata si difende benissimo. L'effetto serra mostra un pianeta che reagisce a suo modo alla violenza dello sviluppo umano. Non è certo piacevole e tantomeno rassicurante per le specie attualmente viventi, ma questa è una reazione. Diverse volte, dicono gli studiosi, le specie viventi sulla terra sono state completamente distrutte a causa di eventi naturali. Il fatto che ora l'agente della catastrofe sia l'uomo, non deve inorgoglirci troppo, anche noi siamo parte della natura e dei suoi cataclismi. Ai quali il nostro pianeta reagisce utilizzando soprattutto quel fattore che è indisponibile per le nostre brevi vite, il tempo.

Anche gli esseri umani reagiscono alle catastrofi sociali con il drastico cambiamento dei comportamenti. La precarietà del lavoro, la caduta dei salari e dei diritti, la stagnazione economica producono il crollo dei consumi nei più poveri. In questo non c'è nulla di positivo, è semplicemente una nuova costrizione. Tanto più infelice in quanto la società continua a sfornare modelli di consumo sempre più sfrenati, rapaci e diffusi. Nel Dubai si costruiscono alberghi ove una notte costa come due mesi di salario di un operaio occidentale, e tre anni di lavoro di un thailandese. Mentre milioni di italiani rinunciano alle vacanze, vecchi e nuovi ricchi spendono e si divertono, tra una scalata e una disavventura giudiziaria. In Cina decine di milioni di contadini sono minacciati dalla costruzione delle dighe che devono fornire energia ai vorticosi ritmi di sviluppo del Paese. E già più del doppio dell'intera popolazione italiana, là, sta diventando consumatore di tipo occidentale. E non basterà spiegare che oltre cento milioni di automobili in più sono incompatibili con l'aria, l'acqua, la terra che ancora conosciamo. Perché noi non viviamo in modo diverso, mostriamo al mondo le nostre ricchezze e chi le perde, si perde e basta.

La società del consumi induce all'acquisto di beni superflui e inutili. Lo fa per indurre i poveri ad assomigliare ai ricchi, soprattutto a pensare come loro. Se i poveri si vedono ridotti i consumi non per questo automaticamente perdono quel modo di pensare, quel modello di riferimento. Come l'effetto serra, la diversa distribuzione delle ricchezze e dei consumi annuncia di per sé solo sconvolgimenti negativi.

Nell'effetto serra, così come nella riduzione dei consumi dei più poveri, c'è lo stesso segnale di catastrofe, perché alla base di entrambi i fenomeni sta la stessa causa: la riduzione a merce di ogni bene naturale. E così la potenza della tecnologia, asservita alla mercificazione totale dei rapporti umani e di quelli fra la nostra specie e la natura finisce solo per accelerare i ritmi della catastrofe. Non c'è nulla da gioire sulla riduzione dei consumi popolari, così come sull'effetto serra perché essi sono segnali del fatto che le cose vanno sempre peggio e che il mondo, quello della natura così come quello dei rapporti sociali, sta uscendo da ogni forma di giustizia e di equilibrio.

La causa di tutto è che siamo governati invece che dalle nostre scelte razionali, dalla mano invisibile del mercato. Una mano che a volte improvvisamente si impadronisce brutalmente di noi, mostrandoci tutta la sua cruda artificialità. Mai come ora sarebbe indispensabile dire basta al capitalismo, ma mai come ora tale urgenza affonda nel vuoto della risposta politica.

Tutto ciò di cui noi discutiamo pare rinviarci ad una rinnovata necessità del socialismo, ma proprio qui ci arrestiamo impauriti. Proprio qui paiono trionfare quei riformismi che non riformano niente. Perché questa a me pare la contraddizione fondamentale del nostro momento: sentiamo l'urgenza della critica radicale alla società dominata dal mercato, ma subiamo il peso della sconfitta storica del socialismo, che pare rendere impossibile la costruzione di un altro sistema.

E' l'assenza di un'alternativa che rende naturale un sistema che travolge uomo e natura. Così dobbiamo affidare le nostre speranze di benessere diffuso all'innalzamento del Pil. Solo in quel caso, infatti le leggi economiche dominanti ammettono che vi possa essere diffusione di ricchezza. Se aumenta la produttività, aumenta il salario, dice la Confindustria, e non solo essa. Se il Pil ristagna, allora le ingiustizie sociali crescono. Se invece la ricchezza globale aumenta, i rivoli di essa possono giungere anche alle classi subalterne. Al prezzo però, della devastazione dell'ambiente.

Bisogna allora volere la costruzione di un'altra società e solo la lotta contro le leggi della competitività, del mercato, della flessibilità, costruisce un'alternativa. Ciò che dobbiamo fare è mettere in comunicazione tra loro i conflitti. Quelli che mobilitano per l'ambiente e quelli che contestano l'accumulazione della ricchezza e l'organizzazione del lavoro. Bisogna investire sui legami tra la lotta di Scanzano e quella di Melfi.

Nello stesso tempo bisogna riprendere a diffondere il rifiuto della società di mercato. Bisogna studiare, progettare, sviluppare modelli sociali alternativi, ridando piena dignità politica e morale a una rinnovata costruzione del socialismo. Che parta naturalmente da una meticolosa analisi delle cause del fallimento di quello realizzato nel '900. Questa è la sola strada per fermare la devastazione del rapporto tra la società umana e la natura che, alla fine, vedrà sicuramente perdente la prima.

A volte aiuta guardare il mondo, le assurde accumulazioni di ricchezza e benessere, contrapposte alla miseria e all'inquinamento di massa, con gli occhi di un puffo. Fa vedere che la trasformazione di ogni bene e di ogni relazione sociale in merce non è solo una mostruosità per il mondo delle favole, ma anche per quello reale.

Liberazione 19 agosto

Giorgio Cremaschi

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