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Il coordinamento nazionale dei giovani comunisti del 6 aprile

una nota informativa di Fabiana Stefanoni

(12 Aprile 2003)

Domenica 6 Aprile si è svolta una riunione del coordinamento nazionale dei Giovani comunisti. La relazione del coordinatore nazionale Fratoianni, dopo un fuggevole accenno alla guerra in corso, s'è essenzialmente soffermata sulla pratica del "trainstopping", il cui successo è stato da lui interpretato quale riconferma della giustezza dell'approccio disobbediente.

Da notare - tra le mille parole volte ad esaltare la "fruibilità", l'"attraversabilità" e altre non meglio precisate qualità della disobbedienza stessa - un curioso "contrordine compagni" circa la questione dell'egemonia rispetto all'ultima Conferenza nazionale dei Giovani comunisti. Il compagno Fratoianni, rivedendo apparentemente l'impostazione del documento 1 presentato dalla maggioranza alla scorsa conferenza nazionale (Bertinotti-Bandiera Rossa), ha esplicitamente rivendicato la "necessità di esercitare nel movimento egemonia sul terreno della disobbedienza". Sennonché, come dimostrato dal seguito della sua relazione, ben lungi da lui è l'intento di riconoscere la necessità di una battaglia d'egemonia quale lotta aperta e leale nei movimenti al fine di ricondurne le istanze ad una prospettiva anticapitalistica (è questo il concetto di egemonia che i compagni e le compagne di Progetto comunista hanno sempre rivendicato). Di fatto, secondo la lettura della maggioranza dirigente dei Giovani comunisti, l'egemonia si esercita nel momento in cui i disobbedienti acquistano visibilità massmediatica a scapito delle altre componenti politiche attive nei movimenti. Emblematico, da questo punto di vista, è un esempio citato dal coordinatore nazionale a dimostrazione della presunta capacità egemonica della disobbedienza: il fatto che "un blocco dei treni organizzato da Bernocchi e i Cobas" sia stato definito dai massmedia un'azione disobbediente, nonostante la contrarietà degli organizzatori nei confronti di tale richiamo (sic!). Evidentemente, i dirigenti nazionali dei giovani del Prc oggi parlano di egemonia slegandola da qualsiasi volontà di offrire ai movimenti una prospettiva anticapitalistica e di classe (l'unica in grado di dare una risposta alle istanze poste dai movimenti stessi). L'egemonia, nell'interpretazione disobbediente, pare essere ricerca di visibilità a tutti i costi, nella totale indifferenza circa le sorti dei movimenti.

Per quanto riguarda le linee essenziali del mio intervento al coordinamento nazionale (nei pochi minuti concessi), ho ribadito la necessità, a fronte della feroce aggressione imperialista all'Iraq, di una chiara presa di posizione a difesa del popolo irakeno. Circa la riflessione sulle "pratiche" (che è stata al centro della gran parte degli interventi), ho espresso un giudizio positivo del fatto che, sin da prima dello scoppio del conflitto, hanno preso vita in maniera pressoché spontanea e notevolmente partecipata azioni dirette contro la guerra: blocchi dei treni, boicottaggi, assedi alle basi Nato e, successivamente, occupazioni di Università e manifestazioni improvvisate. Ho ribadito il fatto che si tratta di azioni di rottura della legalità borghese - con potenzialità di radicamento di massa - che i comunisti non possono che rivendicare e sostenere attivamente. Allo stesso tempo, si tratta di azioni che hanno chiaramente dimostrato chi sta veramente dalla parte dell'opposizione al conflitto: la burocrazia Cgil e i vertici dell'Ulivo, formalmente contrari alla guerra, hanno immediatamente preso le distanze da tutti gli atti di protesta che sfuggissero dai confini della legalità: una presa di posizione tanto più grave se si associa al fatto che la Cgil - dopo aver annunciato per mesi l'indizione di uno sciopero generale all'indomani dello scoppio del conflitto - si è limitata ad uno "scioperino" di due ore il pomeriggio dopo l'inizio dei bombardamenti e ha rifiutato di aderire allo sciopero generale del 2 aprile convocato dai sindacati extraconfederali.

Nel mio intervento ho, inoltre, criticato l'identificazione arbitraria - avallata anche dai massmedia - tra azioni dirette contro la guerra e "disobbedienza": questo non solo perché la partecipazione alle stesse è stata molto ampia (i disobbedienti ne sono stati solo una delle tante componenti) ma anche perché parlare di disobbedienza significa far riferimento ad un gruppo politico ben preciso, che ha scelto una strategia riformista (v. l'entrismo nei Verdi e quindi la subordinazione alle forze del centrosinistra) e che privilegia gli "atti eclatanti e simbolici" in funzione "massmediatica" a scapito della radicalizzazione ed estensione delle lotte. Inoltre il "partito disobbediente" di Casarini ha preso, in relazione alla guerra, una posizione filoeuropeista (si vedano le parole di Toni Negri sulla rivista disobbediente Global: Francia e Germania vengono dipinte quali Paesi in grado dare una positiva "spinta" alla costruzione di un'Europa anti-liberale... un evidente misconoscimento degli interessi imperialistici insiti nell'Europa stessa).
Di contro all'europeismo dei disobbedienti (che negli esiti ricalca perfettamente, tra l'altro, la lettura bertinottiana), ho ribadito la necessità di portare nel movimento contro la guerra una chiara posizione nei confronti dell'Onu, che va riconosciuto quale luogo di mediazione tra i vari appetiti imperialistici - e non a caso s'appresta a reclamare un proprio ruolo nella "ricostruzione" (leggi "spartizione") dell'Iraq.

Soprattutto, mi sono soffermata sulla necessità di riflettere sulle prospettive del movimento contro la guerra (e più in generale di tutti i movimenti di protesta sociale): una parola d'ordine che i Giovani comunisti - e più in generale il Prc - dovrebbero portare è quella dell'indipendenza dei movimenti da ogni prospettiva di futuro governo borghese di centrosinistra (come dimostra anche la posizione assunta da maggioranza Ds e Margherita nei confronti del referendum sull'estensione dell'art. 18, una rottura con queste forze è essenziale per garantire l'autonomia di classe dei movimenti) . In quest'ottica, ho fortemente criticato - chiedendo anche al coordinatore nazionale un'esplicita presa di posizione in proposito - il fatto che agli inizi di marzo vi sia stato un incontro tra i dirigenti del Prc e i dirigenti dell'Ulivo che, non solo ha rilanciato le alleanze di governo locale per le prossime amministrative, ma ha anche dato vita a commissioni di lavoro che vedono da una parte compagni dirigenti del nostro partito, dall'altra personaggi del calibro di Treu - quello del pacchetto Treu...- e Mastella (commissione sul lavoro: Ferrero-Treu; commissione sul meridione: Gianni-Mastella; commissione sull'ambiente: Musacchio-Pecoraro Scanio). Si tratta di gruppi di lavoro che intendono aprire un confronto programmatico in vista dell'alleanza di governo del 2006 e che, quindi, fanno sì che il Prc (e i Giovani Comunisti), anziché lavorare nei movimenti per un'alternativa di sistema, s'appresti a diventare forza di governo in compromesso con la borghesia italiana - "tradendo" in questo modo le istanze stesse poste dai movimenti.
La risposta del compagno Fratoianni al problema da me sollevato è degna di nota: secondo il coordinatore nazionale, l'autonomia dei movimenti è sacra ma - testuali parole! - ciò non toglie che poi la politica si muove anche nelle sfere istituzionali. Per questo è a suo avviso "da valutarsi positivamente l'apertura di un tavolo di discussione con i partiti dell'Ulivo..." (ossia con Treu e Mastella, n.d.r).
Data la risposta inaccettabile data dal coordinatore alla richiesta di presa di posizione su questo punto, il compagno Nicola Di Iasio ha dichiarato l'astensione dei compagni di Progetto comunista sull'ordine del giorno finale (del quale pure condividevamo - fatte salve le differenze d'analisi - i momenti centrali: la condanna della guerra e l'impegno per la campagna referendaria).

Fabiana Stefanoni

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